Lo scorso 5 giugno l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal) ha presentato il rapporto
“Monitoraggio sulla struttura e il funzionamento dei servizi per il lavoro 2017”. Lo studio dell’Anpal ha cercato di ricostruire la geografia dei Centri per l’impiego (Cpi) in una fase definita “magmatica e mutevole”, risultato dei processi di decentramento, modifiche e riorganizzazioni che hanno caratterizzato il sistema pubblico per l’impiego (anche in conseguenza dell’attuazione della cosiddetta Legge Delrio) e che, attualmente, presenta una forte disomogeneità regionale. Va detto che, accanto ad alcuni risultati positivi, e che dovrebbero dare i “frutti migliori nel futuro prossimo”, non mancano i problemi e le carenze che, peraltro, evidenziano un forte ritardo della situazione italiana rispetto a quella dei principali partner europei. Nel complesso la rete dei Cpi è composta da 501 centri definiti come “principali”, cioè direttamente collegati al coordinamento centrale (sia che questo dipenda dalla Provincia/Ente di area vasta/Città metropolitana oppure dalla Regione/Agenzia regionale) a livello amministrativo o organizzativo. Dai Cpi “principali” dipendono poi 51 sedi secondarie a cui si aggiungono 288 sedi distaccate o sportelli territoriali. La rilevazione, tuttavia, ha preso in considerazione unicamente un campione di 397 Cpi principali che offrono servizi ad una percentuale pari al 79% della popolazione italiana.
Tra i principali risultati positivi evidenziati: lo sviluppo del programma “Garanzia Giovani”, i livelli essenziali delle prestazioni, la messa a punto di una batteria di indicatori e di strumenti metodologici (la profilazione quantitativa e qualitativa), la partenza dell’assegno di ricollocazione e l’accordo con i patronati per l’offerta di alcuni servizi. Le note dolenti invece riguardano l’organico: gli operatori sono in tutto 7.934 (contro, ad esempio, i 110 mila della Germania) e, ciascuno di essi, segue in media 380 persone. Se però si considera l’utenza potenziale (persone in cerca di lavoro più gli inattivi che non cercano lavoro attivamente) si arriva a 801 persone per addetto con una punta, al Sud e nelle Isole, di 922 persone per addetto. Secondo i dati Eurostat in Italia su 30 miliardi all’anno spesi per le politiche del lavoro, 22,3 sono riservati alle politiche passive (sussidi a disoccupati e cassaintegrati), circa 7 a quelle attive (incentivi alle assunzioni compresi) e solo 700 milioni per i servizi per l’impiego. Quest’ultima voce si traduce in poco più di 200 euro investiti per disoccupato, contro gli oltre 6.000 della Germania, i circa 3.000 di Svezia e Olanda e i 1.800 della Francia. Un’altra nota dolente riguarda la formazione del personale dei Cpi, il cui “mestiere” non risulta più adeguato quando al carico di lavoro ordinario si sommano funzioni fortemente codificate, come la gestione delle pratiche amministrative, o altamente personalizzate, che presuppongono attività preparatorie complesse e specializzate, oppure attività che richiedono un rapporto continuativo con le utenze. Quanto alle carenze strumentali, il rapporto evidenzia come il 46% dei Cpi intervistati ritenga di lavorare con dotazioni informatiche inadeguate, soltanto il 63% ritiene il collegamento in rete adeguato alle funzioni da svolgere e il 36% non è preparato ad utilizzare le nuove interconnessioni del Sistema Informativo Unitario (SIU) delle politiche del lavoro.
Maurizio Del Conte, presidente dell’Anpal, nel presentare il rapporto, ha sottolineato la necessità di un complesso lavoro di sinergia istituzionale tra Stato, Regioni e Anpal: «I servizi per l'impiego sono in affanno ed è necessario un rafforzamento qualitativo, di competenze e di infrastrutture. Risorse economiche aggiuntive sono necessarie ma non sufficienti. Bisogna ridefinire la missione e la governance dei servizi per l'impiego: il sistema non potrà continuare a reggersi su 21 modelli diversi, tanti quante sono le Regioni; è necessario sviluppare un linguaggio comune e una rete di reciproca fiducia. I servizi per l'impiego sono centrali per lo sviluppo del Paese e cruciali anche dal punto di vista dell'inclusione sociale».