Uno degli aspetti più delicati della recente riforma in materia di cittadinanza, e oggetto di frequente incertezza applicativa, riguarda il rapporto tra l’articolo 3-bis (come modificato dalla legge n. 74/2025) e l’articolo 14 della legge n. 91/1992: si tratta dell'acquisto della cittadinanza da parte dei figli minori nati all’estero da genitori che si sono naturalizzati italiani.
Molti operatori, infatti, rischiano di applicare in modo automatico l’articolo 14 anche in casi in cui il minore, pur convivente con il genitore naturalizzato, non può dirsi rientrante nel perimetro applicativo della norma, perché non sono rispettati i presupposti stabiliti in via preliminare dall’articolo 3-bis.
È essenziale partire da un principio chiave: non è mai cittadino italiano un minore nato all’estero, in possesso di un’altra cittadinanza, salvo che ricorrano le condizioni specifiche previste dall’articolo 3-bis. Questo vale anche nei casi in cui il genitore abbia acquisito la cittadinanza italiana. Di conseguenza, prima di applicare l’articolo 14 a tali minori, è necessario verificare se si siano realizzate le condizioni poste dalla lettera d) dell’articolo 3-bis.
La norma, a una prima lettura, sembrerebbe richiedere che:
Questa interpretazione, però, porta a una contraddizione logica: se il genitore fosse già cittadino italiano al momento della nascita del figlio, quest’ultimo sarebbe italiano iure sanguinis, in forza dell’articolo 1, senza necessità di richiamare né l’articolo 14 né il 3-bis. Inoltre, il requisito della residenza “da cittadino italiano” non può precedere la nascita del figlio, se quest’ultima è avvenuta prima del giuramento del genitore.
Per evitare che la norma resti inapplicabile in un gran numero di casi, è necessario adottare una lettura funzionale, che tenga conto della finalità sostanziale della disposizione: garantire un forte legame tra il genitore e il territorio italiano. In quest’ottica, si potrebbe ritenere sufficiente che il genitore:
Caratteristiche dei due periodi:
Questa interpretazione valorizza la ratio della norma, evitando automatismi eccessivamente restrittivi e consentendo l’accesso alla cittadinanza solo nei casi in cui vi sia un effettivo inserimento familiare e sociale nel territorio italiano.
E quindi in base ad un orientamento espresso in alcuni pareri del Ministero dell'Interno, forniti ad alcuni comuni, si amplia l'applicazione dell'articolo 3-bis.
Una volta verificata la condizione posta dall’art. 3-bis, lett. d), è allora possibile applicare l’articolo 14. Nella nuova formulazione, questo articolo non prevede più la sola convivenza come elemento sufficiente. Sono ora richiesti:
In entrambi i casi, è comunque necessaria la convivenza effettiva con il genitore al momento dell’acquisto della cittadinanza.
Perciò:
L’applicazione coordinata delle due norme è dunque imprescindibile per garantire correttezza amministrativa e, al tempo stesso, evitare che minori nati all’estero si vedano ingiustamente precluso il diritto alla cittadinanza italiana a causa di letture eccessivamente formalistiche o semplificate.
In ogni caso, qualora il minore non possa beneficiare dell’acquisto automatico della cittadinanza, rimane aperta la strada della naturalizzazione ordinaria, una volta raggiunta la maggiore età, ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 91/1992. In particolare, può essere valutata, anche in via estensiva e costituzionalmente orientata, l’applicazione dell’art. 9, lett. b), nei confronti di figli maggiorenni conviventi con il genitore italiano, con almeno cinque anni di residenza in Italia successivi alla naturalizzazione del genitore.
La riforma, nel suo insieme, segna un passaggio importante: non nega il diritto alla cittadinanza, ma impone condizioni di maggiore stabilità e radicamento, in coerenza con una visione della cittadinanza come legame effettivo con la Repubblica italiana.
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