La Rivista del Sindaco


La trasmissione della cittadinanza italiana per via materna

Gli effetti sulle generazioni successive
Studi e Ricerche
di Mugnai Roberta
11 Ottobre 2023

La cittadinanza italiana
La cittadinanza è uno status giuridico che instaura un vincolo tra il singolo individuo e lo Stato. In virtù della cittadinanza posseduta, il cittadino ha facoltà di esercitare i diritti civili e politici.
Ogni Stato disciplina le modalità di trasmissione, acquisto e perdita della propria cittadinanza attraverso un costrutto normativo che, nel corso del tempo, può subire profondi cambiamenti.
Attualmente, in Italia, la normativa che regola la cittadinanza è la Legge 5 febbraio 1992, n. 91 ed il relativo regolamento di esecuzione della stessa ovvero il D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572.
L’art. 1 della Legge n. 91/92 elenca i criteri sulla base dei quali si è cittadini italiani per nascita. 
Il primo criterio dell’elenco fa riferimento allo ius sanguinis (diritto di sangue): è cittadino per nascita il figlio di padre o di madre cittadini. Lo ius sanguinis è il criterio principale (anche se non esclusivo) nel nostro ordinamento per l’attribuzione della cittadinanza italiana. In base a tale criterio è irrilevante il luogo dove avviene la nascita (in Italia o all’estero), purché sia rispettata la linea di sangue ovvero la discendenza da persona con cittadinanza italiana.
La maggior difficoltà nell’esame delle pratiche di cittadinanza è espressa dall’art. 20 della Legge n. 91/1992 che recita: “1. Salvo che sia espressamente previsto, lo stato di cittadinanza acquisito anteriormente alla presente legge non si modifica se non per fatti posteriori alla data di entrata in vigore della stessa.” Ovvero, tutto quello che è avvenuto prima dell’entrata in vigore della legge n. 91/92, attualmente vigente, è regolato dalla normativa in vigore all’epoca dei fatti. 

La trasmissione della cittadinanza italiana per via materna
La trasmissione della cittadinanza italiana per linea di sangue non è stata sempre attribuita ad entrambi i genitori.
La legge n. 555 del 13.6.1912 stabiliva il principio (derivato dal codice civile del 1865) della trasmissione della cittadinanza per via paterna. 
La norma attribuiva al solo uomo un ruolo sociale di rilievo (non dimentichiamo che le donne ottengono il diritto di elettorato attivo e passivo soltanto il 10 marzo 1946 con decreto legislativo luogotenenziale n. 74), che non creava problemi a livello di trasmissione della cittadinanza italiana fin tanto che entrambi i genitori erano italiani.
La trasmissione per via materna era eccezionale e limitata unicamente ad evitare casi di apolidia (mancanza di una qualsiasi cittadinanza del neonato). In particolare, era possibile la trasmissione della cittadinanza italiana della madre nei casi eccezionali descritti all’art. 1, punto 2 della predetta legge: “E’ cittadino per nascita … il figlio di madre cittadina se il padre è ignoto o non ha la cittadinanza italiana, né quella di altro Stato, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza del padre straniero secondo la legge dello Stato al quale questi appartiene”.
La logica della norma era promuovere il principio dell’unicità della cittadinanza all’interno della famiglia. La cittadinanza del coniuge di sesso maschile prevaleva; la moglie si trovava in posizione subalterna e (salvo casi eccezionali) perdeva la propria cittadinanza di nascita per acquistare ipso iure con il matrimonio quella del marito. La conseguenza immediata e diretta per i figli di donne native italiane e coniugate con cittadini stranieri era che i figli non erano cittadini italiani.

Perdita della cittadinanza italiana della donna per matrimonio con cittadino straniero
L’art. 10, comma 3, della legge n. 555/1912 così recitava: “La donna cittadina che si marita ad uno straniero perde la cittadinanza italiana, sempreché il marito possieda una cittadinanza che per il fatto del matrimonio a lei si comunichi. (omissis)”
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 87 del 16 aprile 1975 e la successiva legge 19 maggio 1975 n. 151 sul diritto di famiglia, rividero completamente la questione. Fu dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 10, comma 3, della legge n. 555/1912 nel¬la parte in cui prevedeva la perdita della cittadi¬nanza, indipendentemente dalla volontà della donna italiana, che si trovava ad acquistare la cittadinanza straniera del coniuge per effetto di matrimonio. La norma, dunque, non fu più applicabile dal 24 aprile 1975, giorno successivo a quello della pubblicazione della sentenza di incostituzionalità sulla Gazzetta Ufficiale.
La Legge n.151/1975, entrata in vigore a breve distanza dalla sentenza della Corte Costituzionale, oltre a stabilire che la moglie conservava la propria cittadinanza in¬dipendentemente dalle vicende di cittadinanza del marito, introdusse l’art. 219 che consentiva alle donne, che avevano perso la cittadinanza per matrimonio con straniero, di riacquistarla tramite espressa dichiarazione (art. 219: “La donna che, per effetto di matrimonio con straniero o di mutamento dicittadinanza per parte del marito, ha perso la cittadinanza italiana prima dell'entrata in vigore della presente legge, la riacquista con dichiarazione effettuata all'autorità competente per l'art. 36 delle disposizioni di attuazione del codice civile. È abrogata ogni norma della legge del 13 giugno 1912, n. 555, che sia incompatibile con le disposizioni della presente legge.”)

La Costituzione italiana e la possibilità di recupero della cittadinanza italiana per la donna
In questo percorso normativo, la scriminante è dettata dalla Costituzione italiana.
In particolare, l’art. 3 della Costituzione italiana recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso (omissis)” dunque, con l’entrata in vigore della Costituzione il 1° gennaio 1948, le disposizioni della Legge n. 555/1912 non erano più compatibili con la prima fonte del diritto italiano.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 16 aprile 1975 stabilì che:
- le donne, cittadine italiane, che avevano contratto matrimonio con cittadini stranieri prima del 1° gennaio 1948 perdevano automaticamente la citta¬dinanza italiana, in forza dell’art. 10, comma 3, della legge n. 555/1912 (la perdita non è rilevabile in un atto di stato civile di cittadinanza e neppure in un’annotazione sull’atto di nascita dell’interessata, perché nella visione dell’epoca la perdita della cittadinanza italiana della donna che sposava un cittadino straniero era talmente scontata che il Legislatore aveva ritenuto sufficiente una variazione anagrafica da inserire con una nota nel cartellino e giustificata dall’atto di matrimonio); 
- le donne italiane coniugate con cittadino straniero a decorrere dal 1à gennaio 1948, invece, non potevano essere private della cittadinanza italiana con un automatismo.
Ed infine, in data 9 febbraio 1983 la Corte Costituzionale, con una nuova sentenza, la n. 30, dichiarò l’incostituzionalità dell’art. 1 della Legge 555/1912 nella parte in cui non prevedeva che anche la madre potesse trasmettere la cittadinanza italiana ai discendenti, riconoscendo alla donna la facoltà di trasmettere la cittadinanza ai propri figli in considerazione della parità giuridica tra i sessi sancito dall'art. 3 della Costituzione.
Anche in riferimento a quest'ultima sentenza, riguardo alla decorrenza, il Consiglio di Stato – Sezione V, in sede consultiva, espresse il proprio parere (n.105, in data 15 aprile 1983), nel quale specificò che per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 1983 potevano considerarsi cittadini italiani soltanto gli individui nati da madre cittadina a far data dal 1° gennaio 1948, sul presupposto che la efficacia della sentenza della Consulta non poteva retroagire oltre il momento in cui si produce il contrasto tra la legge anteriore e la Costituzione, e per questo prima della data di entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, cioè il 1à gennaio 1948. Di conseguenza, sono cittadini italiani i figli nati da madre cittadina italiana dopo il 1à gennaio 1948.
A seguito della sentenza n. 30, il Legislatore promulgò la Legge n.123 del 21 aprile 1983 che, all’art. 5, finalmente recita: “E’ cittadino italiano il figlio minorenne, anche adottivo di padre cittadino o di madre cittadina.”

Procedure di stato civile e trasmissione della cittadinanza italiana ai figli
Prendiamo preliminarmente in esame la situazione della donna che, prima del 1° gennaio 1948, ha perso la cittadinanza italiana (ex L. 555/1912) - per effetto del matrimonio con uno straniero - o per mutamento della cittadinanza del marito. Costei può riacquistarla (tale facoltà è espressamente previ¬sta dall’art. 17, comma 2, della legge n. 91/92 che rinvia al predetto art. 219 della legge n. 151 del 1975) rendendo apposita dichiarazione da iscrivere nei Registri di cittadinanza.
Per questa ipotesi il Formulario ufficiale approvato con D.M. del 5 aprile 2002 prevede la formula n. 90 con titolo: «Dichiarazione fatta da donna che, avendo perduto, anteriormente al 1° gennaio 1948, la cit¬tadinanza italiana per effetto di matrimonio con uno straniero o di mutamento di cittadinanza da parte del marito, intende riacquistarla». 
La cittadinanza decorrerà dal giorno successivo alla manifestazione di volontà con un’interruzione nella trasmissione della cittadinanza.
Con l’entrata in vigore della legge n. 151/1975 (20 settembre 1975) la donna italiana conserva la cittadinanza anche in caso di matrimonio con cittadino straniero che le trasmette la propria cittadinanza, salvo sua espressa rinuncia.
Dunque, è molto diversa la situazione delle nostre connazionali che hanno contratto matrimonio con cittadino straniero dopo il 1° gennaio 1948. In questo caso, la Circolare del Ministero dell’Inter¬no n. K.60.1/5 del 18 gennaio 2001 ha disposto che, se fossero state private dello status civitatis italiano, hanno la possibilità, con una manifestazione di volontà, di chiedere il riconoscimento del possesso ininterrotto della cittadinanza italiana secondo quanto disposto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 87/1975. Quindi, il riacquisto retroagisce fino a coprire completamente il periodo di interruzione della cittadinanza italiana essendo intervenuto dopo l’entrata in vigore della Costituzione. 
La dichiarazione dovrà essere resa per scrittura privata ed annotata sull’atto di nascita secondo la form.140 quater: “A seguito di richiesta in data… è stato verificato il possesso ininterrotto della cittadinanza italiana nei riguardi di ...“.
Il recupero del possesso ininterrotto di cittadinanza italiana porta al reintegro della linea di sangue ai fini del riconoscimento della cittadinanza italiana dei figli. 
Da rilevare che questa procedura è estendibile anche ai figli, che possono rendere la dichiarazione circa il possesso ininterrotto della cittadinanza della madre, quando questa non ha più la possibilità di renderla. In questo caso la dichiarazione verrà resa dai figli (anche da uno soltanto di loro) e sarà annotata sull’atto di nascita della madre ai sensi dell’art.140-quater con la seguente modifica: “A seguito di richiesta di …, figlio/figlia dell’intestataria del presente atto, in data… è stato verificato il possesso ininterrotto della cittadinanza italiana nei riguardi di ... “.

Altri aspetti da tenere presente
La situazione di perdita di cittadinanza italiana delle donne che hanno contratto matrimonio con cittadino straniero va valutata, oltre che alla luce degli avvicendamenti normativi, anche in relazione alle condizioni di trasmissione della cittadinanza del coniuge.
Abbiamo evidenziato come il matrimonio della donna italiana con cittadino straniero prima dell’entrata in vigore della Costituzione italiana portava alla perdita della cittadinanza italiana della nostra connazionale. Ci sono, però, importanti eccezioni. Infatti, qualora lo Stato di cittadinanza del marito non avesse previsto la trasmissione della cittadinanza per effetto del matrimonio, la donna rimaneva italiana (così accadeva, per esempio, alle donne che sposavano cittadini argentini o brasiliani).
Tuttavia, anche in questo caso, la trasmissione della cittadinanza italiana ai figli nati prima del 1° gennaio 1948 è possibile soltanto se il marito, cittadino straniero, non trasmetteva la propria cittadinanza ai figli.
Infatti, come già ricordato, prima della Costituzione italiana la cittadinanza si trasmetteva per via paterna e solo eccezionalmente per via materna.
Infine vale la pena ricordare che la Corte di Cassazione con sentenza n.4466 del 25 febbraio 2009 ha espresso il principio secondo cui gli effetti prodotti da una legge ingiusta nel rapporto di filiazione e di coniugio perdurano nel tempo e non si possono considerare “esauriti” all’epoca dell’entrata in vigore della Costituzione e tale assunto può portare al riconoscimento della cittadinanza italiana anche a chi è nato prima del 1° gennaio 1948 da donna che ha perduto la cittadinanza italiana per matrimonio con cittadino straniero. Questo nuovo orientamento giurisprudenziale, però, attualmente non è stato recepito in una legge, pertanto all’ufficiale dello stato civile, che si trova ad esaminare richieste con queste caratteristiche, non rimane che esprimersi con un rifiuto scritto ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. n. 396/2000. In sede di ricorso, ai sensi dell’art. 95 del D.P.R. 396/2000, però, il tribunale potrà prendere in considerazione il predetto nuovo orientamento della Cassazione.

Articolo di Roberta Mugnai 


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