Nell'articolo 16, comma 2, del testo unico sulle partecipate a controllo pubblico (DLGS 175/2016) troviamo tutte le indicazioni necessarie a realizzare l'assetto organizzativo per esercitare controllo analogo nelle società in house. Come previsto dalla lettera a), negli statuti delle società per azioni è possibile inserire delle clausole come deroga delle disposizioni presenti negli articoli del codice civile 2380-bis e 2409-novies. In questi articoli si stabilisce come la gestione di un'impresa sia esclusivo appannaggio dell'organo di gestione, ovvero degli amministratori e del consiglio di gestione.
Il Tribunale di Roma si è recentemente (con una sentenza del 2 luglio 2018) pronunciato in merito alla questione, specificando che la clausola statuaria atta ad investire l'organo amministrativo "dei soli poteri per la gestione ordinaria", non può essere giustificata per mezzo della deroga, perché "in contrasto con l'articolo 2380-bis del codice civile, eccedendo i limiti derogativi previsti dall'articolo 16 del Tusp".
In primo luogo, stando alla sentenza l'articolo 16, comma 2, lettera a) prevede la deroga solo se funzionale all'attuazione del controllo analogo, oltre ad avere l'obbligo di conciliarsi con il diritto societario comune, a cui le "in house" sono soggette pacificamente. Secondo il giudice romano che ha emesso la sentenza, il controllo analogo non implica l'annullamento di tutti i poteri gestionali dell'affidatario in house, trovando invece il suo fulcro nella eterodirezione strategica, riconosciuta al socio pubblico controllane i vari poteri direttivi degli atti sociali e propulsivi nei confronti dell'organo amministrativo. In secondo luogo, attribuendo all'organo amministrativo solo l'ordinaria amministrazione, si viene a creare un sistema ibrido, con una ripartizione della gestione societaria tra più organi, stravolgendo quindi (in modo inammissibile) il modello su cui la società si basa.
Una soluzione meno drastica si sarebbe potuta trovare nel'insegnamento giurisprudenziale (sentenze Cassazione 5353/1987; 2430/1994, 8538/2004; 5151/2010; Trib. Milano 27 febbraio 2013), stando al quale, parlando di poteri spettanti agli amministratori, la discriminante tra ordinaria e straordinaria amministrazione si trova nella pertinenza o meno dell'oggetto sociale, indipendentemente da quale sia la sua rilevanza giuridica o economica. Una distinzione che cozza con quella prevista dagli articoli 320, 374 e 394 del codice civile, in riferimento a beni degli incapaci. La posizione presa dal Tribunale di Roma, quindi intendendo la clausola in discussione come finalizzata a una limitazione del potere dell'organo gestorio per quanto riguarda gli atti conservativi del patrimonio, anche se questi rientrano nell'organo sociale (cioè, di norma, competenza degli amministratori), sembra dunque convincente.
Il comma 2 dell'articolo 16 del Tusp andrebbe interpretato quindi in relazione al comma 1, giustificando la deroga dell'articolo 2380-bis codice civile, se diretta a un controllo analogo. Se l'amministrazione affidante dispone di poteri di controllo e condizionamento superiori a quelli che spetterebbero a un socio, il controllo analogo viene integrato, al fine di sottoporre al vaglio preventivo o successivo del socio pubblico le decisioni più importanti e l'individuazione degli obiettivi strategici. Insomma, l'articolo 16, comma 2, del testo unico delle società partecipate, ha quindi una chiave di lettura riguardo la limitazione all'assoluta autonomia gestionale degli amministratori e non nell'idea di sottrarre a monte all'organo gestorio una parte dell'amministrazione.
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