Eventualità contemplata nel contratto del possibile/probabile nuovo Governo. Secondo stime l’imposta nel 2018 varrà tra i 450 e gli oltre 600 milioni
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La Posta del Sindaco
24 Maggio 2018
Il nuovo Governo non è ancora ufficialmente nato, ma sta già facendo molto discutere la possibile novità contemplata nel “Contratto per il governo del cambiamento”, sottoscritto dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega Nord, e che, al proposito, recita: “in considerazione del rifinanziamento delle risorse a favore degli enti locali prevediamo di abolire la tassa di soggiorno”. Se, da un lato, le associazioni che raggruppano gli esercenti turistici, soprattutto quelli del settore alberghiero, che di fatto sono quelli maggiormente interessati dall’imposta (oltre ai turisti, ovviamente), sono state sempre contrarie alla tassa di soggiorno e, quindi, hanno già pronte le bottiglie di spumante per brindare all’eventualità di una sua abolizione, i Comuni che la tassa la applicano si sono dichiarati invece, nella maggior parte dei casi, contrari e molto preoccupati dall’ipotesi. Del resto nel 2017 sono stati ben 746 i Comuni a vocazione turistica o città d’arte ad applicarla e, secondo le previsioni, nel 2018 si prevede che aumenteranno a 845. Nel 2016 sono stati raccolti complessivamente 416 milioni di euro provenienti da imposte di soggiorno. Ben 126 sono finiti a Roma, 41,4 a Milano, 30 a Firenze, 29 a Venezia, 7 a Rimini, 6,25 a Torino e così via. Si capisce quindi la levata di scudi a difesa dell’imposta fatta dai Comuni, non soltanto da quelli in cima alla classifica con ricavi milionari, ma anche dalle cittadine turistiche che non vogliono rinunciare a ricavi nell’ordine delle (a volte anche parecchie) decine di migliaia di euro e che, fatte le debite proporzioni, sono comunque risorse preziose da mettere in bilancio. Risorse che, per legge, andrebbero riutilizzate per attività legate al turismo e alla promozione del territorio e che invece, si sospetta, a volte finiscano soltanto per rimpinguare le dissestate casse comunali.
Questa ultima, peraltro, è la tesi sostenuta da molte associazioni del settore turistico. Ad esempio sulla tassa Vittorio Messina, presidente di Assoturismo Confesercenti, ha dichiarato: «è una misura che ha sempre sollevato polemiche. Certamente riduce la competitività delle imprese, non piace ai turisti e non è omogenea sul territorio nazionale. E, soprattutto, accanto alla realtà virtuose che ne hanno usato i proventi per il turismo, come era previsto, ci sono troppi Comuni che l’hanno adoperata solo per fare cassa». Sulla stessa posizione, più o meno, Federalberghi che, inoltre, sostiene che l’abolizione comporterebbe un aumento dei redditi da turismo e, a cascata, anche delle entrate per i Comuni. Contrario invece all’ipotesi di abolizione il Touring Club Italiano che, attraverso le parole del suo presidente Franco Iseppi, ha dichiarato: «Ci sembra condivisibile che la tassa di soggiorno, finalizzata al miglioramento dell’offerta turistica sia affidata al Comune, l’ente locale più omogeneo e capace di motivarne e documentarne l’uso. Come Associazione auspichiamo che la tassa di soggiorno venga utilizzata sempre nella prospettiva di una politica del turismo che renda il nostro Paese sempre più conosciuto, attrattivo, competitivo e accogliente».
Contro l’ipotesi dell’abolizione si sono espressi, come dicevamo, numerosi Comuni (alcuni freschi di accordi per far versare la tassa anche ai clienti del colosso del turismo on line Airbnb): dal sindaco di Firenze Nardella a quello di Bologna Virginio Merola, dall’assessore alla Cultura di Milano Filippo Del Corno al vicesindaco del Comune “amico” di Roma Luca Bergamo, al sindaco di Parma Federico Pizzarotti, per nulla tenero con i suoi ex colleghi di partito: «Pensare di eliminare con un tratto di penna l’imposta di soggiorno è raccapricciante, vuol dire non conoscere per nulla le politiche turistiche degli enti locali».