Un professionista svizzero è soggetto a pagare le imposte all'Italia, per i redditi qui prodotti.
La Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Confederazione Svizzera prevede, con l'articolo 23, comma 1, lettera d) del dpr 917/1986, che ad un professionista le attività svolte siano imponibili solamente nello stato in cui ha la residenza, tranne nel caso che disponga anche nell'altro Stato una base fissa, nel qual caso "i redditi sono imponibili nell'altro Stato ma limitatamente alla parte attribuibile a tale base fissa". In questo frangente con le parole base fissa si intende "un'accezione descrivente il puro e semplice oggettivo utilizzo di un uno spazio stabilmente adibito all'esercizio in Italia" di un'attività a carattere indipendente o libera professione, che se presente non permette di sottrarsi alla tassazione nello Stato di esercizio dell'attività stessa, basandosi sul criterio di territorialità. Basandosi su questo principio, la Cassazione ha respinto il ricorso di un contribuente avverso la sentenza n. 44/13/2011 della Ctr Toscana, con l'ordinanza 31447/2018.
Il caso risale all'impugnazione di un avviso di accertamento per Irpef, Iva e Irap del 2003: la Ctp di Salerno respinse il ricorso del contribuente, mentre i giudici di secondo grado avevano accolto l'appello per la sola Irap. Il contribuente aveva fatto ricorso sostenendo che non si poteva utilizzare la norma disciplinata con il sopracitato articolo 20, insistendo "di aver provato che l'immobile, sito in Firenze, cui si riferiva il provvedimento attributivo della partita Iva era locato a terzi nel periodo in oggetto e la mobilia in esso contenuta era stata prelevata e trasferita in un magazzino".
Le ragioni dedotte dall'Ufficio delle Entrate richiedendo il pagamento dell'imposta sono state però ritenute valide dai giudici di legittimità, dopo aver accertato che "il professionista esercitava la propria attività in Italia servendosi di una base fissa in territorio italiano (immobile sito in Firenze), evidenziando, la Ctr, che i documenti prodotti dal contribuente non erano sufficienti a provare il contrario". Nonostante la dichiarazione del contribuente di aver affidato la mobilia a terzi, non risultavano prove evidenti del fatto che si trattasse di tutta o parte della mobilia stessa, quindi anche avendo locato a terzi parte dell'immobile di Firenze, egli avrebbe potuto utilizzarne altra parte per svolgere le sue attività professionali. I giudici hanno poi sottolineato come il possesso di una partita Iva in Italia sia "ulteriore elemento di presunzione circa la permanenza del contribuente in Italia, nonostante il trasferimento all' estero, presunzione peraltro avvalorata dalla circostanza che nel 2003 il ricorrente aveva dichiarato un compenso da attività di lavoro autonomo svolta in Italia per conto di una impresa italiana".
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