Per semplificare l’attività della PA, già l’articolo 5 della legge 81/2017 del jobs aveva previsto la possibilità di delegare alcune funzioni alle professioni ordinistiche da parte del Governo. Tale delega è però scaduta con un nulla di fatto, ma oggi si torna a parlare di professionisti in aiuto alla burocrazia. Assieme ai temi quali aggregazione degli studi e delle specializzazioni, anche quello delle funzioni sussidiarie della PA è un punto su cui Massimo Miani, presidente del consiglio nazionale dei dottori commercialisti, insiste con decisione. I dottori commercialisti non devono partire da zero su questi argomenti, che saranno trattati con l’arrivo dell’autunno e potrebbero essere realizzati in un tempo non troppo elevato. Miani che proprio per i motivi citati, si potrebbe raggiungere qualche risultato, già dal prossimo febbraio, ovvero prima della fine dell’attuale consiliatura.
Lo Stato si avvale già dell’opera dei dottori commercialisti per svolgere alcune funzioni, è il caso ad esempio degli obblighi introdotti dal Codice della crisi d’impresa e degli adempimenti antiriciclaggio. Anche la gestione del registro dei revisori legali era nelle loro mani fino a qualche anno fa.
L’idea è quella di espandere il loro raggio d’azione, in modo da permettere di trovare nuovi spazi di intervento creatisi con l’avanzare della digitalizzazione, per reagire alla crisi del mercato, e di supportare il rapporto tra PA e cittadini e imprese. Anche il Comitato unitario professioni (Cup) ha compilato un documento per sottolineare come un professionista qualificato e iscritto ad un Albo tenuto da un Ordine (come garanzia di qualità) possa sostituirsi alla burocrazia. E questo vale per molte professioni. Ad esempio, un commercialista potrebbe svolgere l’attestazione della regolarità fiscale dei contribuenti o la certificazione dei documenti e delle spese di quanti accedono a progetti che sono finanziati con il denaro pubblico.
Anche l’aggregazione degli studi è un punto che vede i commercialisti uniti: l’attività di forma “atomistica” non paga, risultando inadeguata ai tempi, stando ad uno studio della Fondazione dottori commercialisti e del Consiglio nazionale. In tal senso si parla anche di squilibrio economico con un reddito medio di 49.000 euro per il professionista che esercita da solo, a fronte dei 125.000 euro di chi opera in una società di professionisti o in modalità associata. Un’altra possibilità viene offerta dalla tecnologia, con il singolo lavoratore che potrebbe continuare a lavorare nel proprio studio, ma condividendo in modo “virtuale” competenze, conoscenze e clienti. Rimane anche molto discusso il tema del commercialista specializzato, che sembrava in via di definizione l’anno passato, ma che si è concluso con un nulla di fatto a causa di dissapori interni alla categoria. L'obiettivo resta quello di fornire la dovuta riconoscenza a chi, oltre alla attività base, può esibire competenze specifiche e particolari.
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