A oltre due anni dalla loro introduzione, soltanto Genova e Firenze sono al passo con gli adempimenti previsti
La falsa partenza delle Città metropolitane (di Antonello Cherchi su “Il Sole 24 Ore” del 3 luglio 2017)
Quando si è scelto di introdurre le Città metropolitane in Italia, probabilmente il modello che si aveva in testa era quello di altre grandi città europee - come Londra, Amsterdam o Barcellona - veri cuori pulsanti al centro dello sviluppo delle regioni in cui si trovano, se non dell’intera nazione. Per il momento almeno però, non sembrerebbe essere andata esattamente in questo modo. Nate ormai da oltre due anni e mezzo, le 10 Città metropolitane istituite dalla Legge Delrio - quelle delle Regioni a statuto ordinario - navigano ancora a vista, con la parziale eccezione di Genova e Firenze. Le 4 istituite dalle Regioni autonome Sicilia e Sardegna, invece, sono addirittura nel buio più pesto, specialmente le tre siciliane (Palermo, Catania e Messina). Stando all’analisi condotta dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” le Città metropolitane di Firenze e Genova sono le uniche finora “in regola” con gli adempimenti previsti: infatti dopo essersi insediate e dotate di uno statuto (il che equivale al minimo sindacale, almeno questo raggiunto da tutte le 10 Città delle Regioni a statuto ordinario), hanno approvato il rendiconto 2016, il bilancio preventivo per il 2017 e si sono dotate del piano strategico triennale. Il Piano costituisce l’atto di indirizzo dell’Ente e deve essere aggiornato ogni anno. Tolte Genova e Firenze, quelle in teoria messe meglio in un’ideale lista sarebbero Roma e Milano: il che è tutto dire. Roma, che ha un ordinamento a sè in quanto capitale, ha compiuto tutti i passaggi previsti ma sta ancora combattendo con il bilancio preventivo 2017. Milano invece, pur avendo il Piano strategico triennale, sta incontrando molte difficoltà con l’approvazione dei bilanci, anche il consuntivo 2016. In particolare, per quanto riguarda l’approvazione del rendiconto 2016, pende giusto in questi giorni la minaccia di dimissioni di massa da parte dei consiglieri a meno che il Governo non ufficializzerà, entro la fine di questa settimana, una proroga sui tempi di approvazione. Infatti Milano è la Città che presenta la situazione finanziaria peggiore: mancano all’appello ben 47 milioni di euro. Ma non stanno bene neanche Torino (- 20 milioni), Roma (- 16,7) e alla stessa Genova mancano 2 milioni. Più in generale, sono tutte le Città metropolitane a non poter dormire sonni tranquilli e ad avere difficoltà a chiudere i bilanci. Una boccata di ossigeno potrebbe arrivare dalle misure contenute nella cosiddetta manovrina, che assegnano 12 milioni alle Città sia per quest’anno che per il prossimo. Comunque la si voglia vedere, siamo ancora anni luce da una situazione di piena, o anche soltanto accettabile, funzionalità in cui il nuovo Ente introdotto dalla Delrio avrebbe dovuto avere un contributo utile allo sviluppo e al rilancio delle principale aree urbane del nostro Paese. Se questa è la situazione delle Città metropolitane nelle Regioni a statuto ordinario, ancora più indietro è quella nelle Regioni autonome. Cagliari è messa leggermente meglio delle colleghe siciliane, visto che è diventata operativa da quest’anno raggruppando 17 dei 77 Comuni della ex provincia capoluogo sardo. Al momento si sta combattendo per cercare di capire come debbano essere suddivisi i proventi dell’imposta di trascrizione al Pra e di quella sulla Rc auto tra il neonato Ente metropolitano e la nuova Provincia del Sud Sardegna, cui spettano in dote gli altri Comuni dell’ex Provincia di Cagliari. A Messina, Palermo e Catania la riforma - che aveva addirittura anticipato al Delrio - non è mai partita e si è ancora nelle mani dei commissari. Anche qui però si fanno sentire i problemi finanziari, tanto per cambiare. Alla Città metropolitana di Palermo, ad esempio, fanno notare come, su un bilancio di entrate correnti pari a 90 milioni, 62 debbano essere trasferiti allo Stato come contributo alla finanza pubblica. Le risorse restanti bastano appena a pagare il personale, che è sceso da 1.300 a 800 addetti. Insomma tra Province e nuove Città metropolitane è una bella gara, a chi sta messo peggio.