L’istituto della flessibilità oraria non permette lo svolgimento e l’accumulo progressivo di ore di lavoro, da utilizzare per compensare successivamente ridotte prestazioni orarie.
Al di là della circostanza che la disciplina del Ccnl 16.11.2022 non contiene nessuna regolamentazione della flessibilità “positiva”, il che impedisce radicalmente alle amministrazioni di introdurla mediante contrattazione decentrata o altre fonti interne di qualsiasi tipo (1), in ogni caso la flessibilità ha la sola funzione di consentire al lavoratore di modificare gli orari di ingresso ed uscita (anche in combinazione) ordinari, così da poter entrare dopo o uscire prima, nelle fasce consentite, allo scopo di facilitare la conciliazione vita lavoro, nel rispetto delle fasce orarie in cui per esigenze organizzative è obbligatoria comunque la compresenza di tutti i dipendenti.
Lo spiega bene la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Sardegna, 15.12.2020, n. 313: “l’attività lavorativa che si protrae oltre l’orario ordinario per flessibilità “positiva” un certo giorno del mese, può essere compensata da una minore attività lavorativa in un altro giorno del mese e, se è pur vero che la stessa non possa essere “conservata” ed accumulata progressivamente per dare corpo ad un “monte ore” da recuperare con riposi compensativi per la semplice ragione che la flessibilità è orario “ordinario” e non “straordinario”, il quale ultimo deve essere necessariamente autorizzato”.
Non trattandosi di “straordinario”, la flessibilità non consente di andare oltre il monte orario obbligatorio mensile di 144 ore.
Un contratto decentrato o qualsiasi altra fonte organizzativa interna, anche unilaterale, come il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi o una circolare, che consenta il cumulo di “flessibilità positiva”, nella sostanza presta il fianco a trasformare, anzi finisce per trasformare la flessibilità in orario straordinario sorretto da un’autorizzazione generalizzata.
Il Cfl 35 dell’Aran evidenzia le ragioni di contrarietà alla disciplina dettata dalla contrattazione collettiva nazionale di simile regolazione della “flessibilità positiva”: “si esprimono perplessità sulla stessa ammissibilità di spazi di flessibilità positiva non collegati al recupero di quelli negativi. Infatti, al di fuori di tale fattispecie, la flessibilità positiva finisce con l’identificarsi con eventuale tempo di lavoro prestato, comunque, dal lavoratore, oltre i limiti di durata ordinaria della giornata lavorativa. Tale aspetto assume un particolare rilievo, in quanto trattandosi di prestazioni ulteriori, rispetto all’orario ordinario, potrebbe configurarsi come orario di lavoro straordinario”.
Come si nota, l’Aran esprime valutazioni in linea con quelle espresse dalla Corte dei conti (che del resto nella sentenza citata richiama il Cfl 35).
L’Aran prosegue osservando che un orario ulteriore rispetto a quello ordinario “non solo dovrebbe corrispondere a precise esigenze organizzative dell’ufficio ma dovrebbe essere, sempre, preventivamente autorizzato dal dirigente, secondo le regole generali”.
Ma, la flessibilità non risponde ad esigenze organizzative datoriali. E’, invece, come evidenziato sopra, uno strumento previsto dalla contrattazione collettiva nazionale volto a conciliare lavoro con esigenze personali e, quindi, risponde direttamente ad un interesse individuale del lavoratore e solo indirettamente ad un interesse datoriale volto ad assicurare un ambiente di lavoro inclusivo e positivo.
Per questo la flessibilità non è ovviamente soggetta a preventiva autorizzazione, ma consente ai dipendenti di conformare gli ingressi e le uscite a proprie esigenze, nel rispetto comunque dell’obbligazione oraria mensile di 144 ore.
Conseguentemente, aggiunge l’Aran “prestazioni lavorative che il personale potrebbe rendere in più, rispetto all’orario ordinario dovuto nell’arco temporale di riferimento, nell’ambito della cosiddetta flessibilità positiva ipotizzata, sostanzialmente secondo esigenze personali, potrebbero determinare una forma patologica di applicazione dell’istituto, con il rischio anche di ricadute negative ed impreviste sull’entità delle risorse destinate al pagamento del lavoro straordinario”.
Infatti:
E’ proprio per questo, ricorda l’Aran che “il lavoro straordinario deve essere sempre preventivamente autorizzato, come detto, dal dirigente o comunque dal responsabile del servizio”. Infatti, “solo su specifica richiesta in tale senso del dipendente, le prestazioni di lavoro straordinario effettivamente rese, in luogo del pagamento del relativo compenso, possono dare luogo a riposo compensativo, da fruire compatibilmente con le esigenze organizzative e di servizio”.
Dunque, un atto generale che consenta il cumulo della flessibilità positiva espone l’ente comunque ad una possibile richiesta del pagamento di straordinario da parte del dipendente che non intenda utilizzare il cumulo a compensazione di minori prestazioni orarie.
Non si deve dimenticare il problema, in merito all’autorizzazione agli straordinari, posto da recenti approdi della Cassazione, con particolare riferimento all’ordinanza 28.6.2024, n. 17912, secondo la quale, in sintesi, ogni prestazione oraria ulteriore all’orario ordinario “resa non insciente vel prohibente domino o comunque in modo incoerente con la volontà del datore”, cioè svolta con la consapevolezza e l’assenso anche implicito del datore di lavoro, costituisce in capo al lavoratore il diritto al pagamento.
E’ evidente che un contratto decentrato o una circolare o altro atto organizzativo interno con cui si ammetta il cumulo di “flessibilità positiva” fa sì che il datore non sia insciente o prohibente rispetto alla maggiore prestazione oraria cumulata, esponendolo, quindi, alle, a quel punto legittime, pretese del lavoratore.
Non c’è, oltretutto, da sottolineare più di tanto che anche laddove il lavoratore non richieda il pagamento del cumulo di flessibilità positiva, ma lo impieghi per “compensare” minori prestazioni orarie, anche se l’ente non eroga una spesa finanziaria, va incontro comunque ad un ammanco economico, pari al valore della prestazione oraria non svolta e al valore aggiunto delle conseguenze organizzative connesse alla minore produzione di attività. Nel caso della citata gestione emulativa, a fronte di prolungamenti orari di insignificante utilità per 12 minuti al giorno, l’ente si troverebbe di fronte a ben 4 ore di assenza da dover subire, con impatti organizzativi rilevanti ed un valore economico pari quasi ad una giornata lavorativa senza rientro.
Ancora, comunque c’è da evidenziare che il recupero di orario “eccedente” è comunque ammissibile solo se tale eccedenza sia sorretta da un titolo legittimo, proprio perché il recupero ha un valore economico ben preciso. Ma, solo lo straordinario autorizzato costituisce valido titolo per la permanenza in servizio oltre l’orario ordinario.
Qualora un contratto decentrato o un atto di organizzazione interna ammetta il cumulo di flessibilità positiva, allora, nella sostanza autorizza ciascun dipendente a svolgere straordinario, violando anche le previsioni secondo le quali sono vietate forme generalizzate di autorizzazione allo straordinario, in quanto non può essere metodo normale di organizzazione del lavoro.
A nulla varrebbe precisare che l’eccedenza oraria derivante da cumulo di flessibilità positiva non venga considerata riconducibile a lavoro straordinario: infatti, ogni prestazione lavorativa ulteriore all’orario mensile non ignota (anzi, favorita da simili atti interni) e non proibita (anzi, espressamente concessa da simili atti interni) non può che consistere in lavoro straordinario, per quanto non lo si denomini tale. Proprio la citata giurisprudenza della Cassazione chiarisce come l’accumulo noto, non proibito, e dunque assentito, di prestazione orarie viene considerato in ogni caso come straordinario e come tale va anche remunerato.
Per quanto, infatti, un atto interno (come una circolare) possa prevedere che il cumulo di flessibilità positiva determini un “recupero” automatico di flessibilità negativa il mese successivo, nella sostanza simile atto interno:
La previsione di cui all’articolo 38, comma 7, del Ccnl 14.9.2000 è oggi riprodotta nell’articolo 32, comma 7, del Ccnl 16.11.2022 (2). Dunque, non può essere il datore ad imporre di recuperare l’orario eccedente, che comunque è sempre e solo straordinario, ma è una scelta libera e non conculcabile del lavoratore decidere se recuperare o chiedere il pagamento. E se dovesse scegliere per il pagamento, come dimostra la giurisprudenza citata, avrebbe diritto ad ottenerlo (a comprova della scorretta gestione amministrativo-contabile retrostante un provvedimento che consenta l’accumulo di flessibilità positiva).
Emergono, allora, una serie di chiare violazioni normative e contrattuali:
Non si deve, poi, trascurare di evidenziare quanto una disciplina generale che consenta l’accumulo di flessibilità positiva, si presti ad applicazioni distorte ed emulative.
Alcuni esempi:
A ben vedere, l’unica ipotesi ammissibile di flessibilità “positiva”, cioè dello svolgimento di una prestazione oraria superiore alle 144 ore contrattuali mensili, non configurabile come straordinario, è quella prevista dal citato articolo 36, comma 3, del Ccnl 16.11.2022: infatti, solo qualora il dipendente abbia maturato, poniamo nel mese di aprile, un debito di 2 ore, può compensarlo, in accordo col dirigente, svolgendo, poniamo, 145 ore a maggio e 145 ore a giugno, oppure 146 ore a maggio o giugno. In questo caso, il surplus orario si imputa a copertura del debito orario maturato due mesi prima ed essendo sorretto da una normativa contrattuale che lo consente espressamente, non può configurarsi come straordinario (fermo restando che è bene che l’accordo tra dipendente in debito orario e dirigente resti formalizzato, con la chiara individuazione delle ore di surplus a copertura del debito ed un chiaro tracciamento di tale recupero nei sistemi gestionali).
Allo scopo di evitare che il dirigente possa essere chiamato a rispondere per responsabilità civile ed erariale a causa dell’accertamento giudiziale del diritto del dipendente ad essere remunerato (o anche a recuperare) a titolo di straordinario per la flessibilità positiva accumulata – equivalente comunque a straordinario – in base ad avventate discipline organizzative interne o, comunque, anche in assenza di tali discipline, laddove i dipendenti svolgano comunque prestazioni orarie eccedenti, è opportuno formalizzare la contrarietà espressa a tale metodo vizioso di intendere la professionalità.
Dunque, è consigliabile evidenziare per iscritto ai dipendenti che allo scopo di non apparire nè inconsapevole, né, anche solo indirettamente e per via tacita, non contrario alla prestazione oraria eccedente quella ordinaria e di evitare il rischio di poter configurare tale eccedenza alla stregua di straordinario. Si può proporre una disposizione interna con i seguenti contenuti:
(1) T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III Quater, 14/06/2019, n. 7713: “deve escludersi "in radice" il potere del datore di lavoro pubblico di introdurre deroghe, anche a favore dei dipendenti, all'assetto definito in sede di contrattazione collettiva. Si tratta infatti di uno dei principi cardine della riforma consistita nella "contrattualizzazione" del rapporto di lavoro pubblico, espresso in numerose disposizioni del suo "statuto" (d.lg. 165/2001)", secondo cui "i rapporti di lavoro sono regolati esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato". Ed ancora che "l'atto di deroga, anche "in melius", alle disposizioni del contratto collettivo sarebbe quindi affetto in ogni caso da nullità, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perché viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi della l. 241 del 1990, art. 21 septies". E ciò in quanto "l'ordinamento esclude che l'amministrazione possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva" oppure alla legge (cfr. Cass. Civile, sez. lav., 25 febbraio 2011, n. 4653; Cass. Civile, sez. un., 14 ottobre 2009, n. 21744)”.
(2) “Su richiesta del dipendente, le prestazioni di lavoro straordinario debitamente autorizzate possono dare luogo a riposo compensativo, da fruire compatibilmente con le esigenze organizzative e di servizio”.
(3) “In tale specifico contesto, tenuto conto dell'esigenza di garantire la migliore qualità del servizio, il dipendente deve in particolare:
[...]
e) rispettare l'orario di lavoro, adempiere alle formalità previste per la rilevazione delle presenze e non assentarsi dal luogo di lavoro senza l'autorizzazione del dirigente”.
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