L’appropriazione di carburante ai danni della società che gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti urbani
La Corte di cassazione, Sez. VI, 9 luglio 2024, n. 27090, ha annullato, senza rinvio, la sentenza della Corte d’appello di Bari, con cui, nel febbraio 2023, un sindaco e un vicesindaco di un Comune in provincia di Foggia, furono condannati, rispettivamente a nove e quattro anni di reclusione, per il reato di concussione e per quello di peculato.
I fatti risalgono all’anno 2007, quando entrambi erano in carica e furono arrestati in seguito alle denunce di alcuni imprenditori locali. Arrestati, gli stessi tornarono in libertà su disposizione del Tribunale del Riesame, che ritenne insussistenti i gravi indizi di colpevolezza. Assolti in primo grado a Foggia, i due furono invece condannati in appello a Bari.
In riferimento al reato di peculato, la Corte di cassazione ha giudicato la ricostruzione, in punto di fatto, immune da censure, avendo entrambi i giudici di merito ritenuto provato che gli imputati si fossero appropriati di carburante, appartenente alla società di igiene urbana, avvalendosi del concorso materiale di un loro dipendente.
Le sentenze di primo e secondo grado divergono, tuttavia, in merito al riconoscimento della sussistenza del reato di peculato. In primo grado, il peculato era stato escluso, sul presupposto che le appropriazioni di carburante fossero inidonee a causare un danno di rilevante entità per la pubblica amministrazione, anche in considerazione del fatto che la società ha natura privatistica. In secondo grado, tale valutazione era stata disattesa, poiché l'appropriazione concernente un bene di valore comunque apprezzabile, avrebbe integrato in ogni caso il reato di peculato configurabile per il solo fatto che la società in questione svolgesse un pubblico servizio (quello della raccolta dei rifiuti urbani).
La Corte di cassazione, al temine di un lungo iter processuale, ha ritenuto che le sentenze di merito e, in particolare, quella di secondo grado, non abbiano adeguatamente valutato la configurabilità del reato.
Si tenga sempre conto che la società, ai cui veicoli era stato sottratto il carburante, era quella affidataria del servizio di raccolta dei rifiuti urbani. Elemento oltremodo valorizzato nel giudizio di merito, al fine di attribuire natura pubblicistica all'ente, pur se trattavasi di soggetto di diritto privato.
In particolare, la Corte di appello aveva operato una sostanziale equiparazione tra lo svolgimento di un servizio pubblico (qual è la raccolta dei rifiuti urbani) e l'attribuzione alla società della natura di soggetto incaricato di pubblico servizio. Si tratta di un'equiparazione che, però, non è stata condivisa dai giudici ermellini.
In linea generale, gli enti che, pur costituiti in forma privata, esercitano un pubblico servizio in rapporto concessorio, assumono sicuramente la qualifica pubblicistica, proprio per effetto della natura traslativa della concessione e limitatamente allo svolgimento della stessa.
Altrettanto indiscussa è la natura pubblicistica delle società in house, costituite in presenza dei seguenti requisiti: a) la personalità giuridica; b) l'istituzione dell'ente per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; c) il finanziamento della attività in modo maggioritario da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, oppure la sottoposizione della gestione al controllo di questi ultimi o la designazione da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, di più della metà dei membri dell'organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza (Sez. 2, 28085 del 17/6/2015, Lo Grasso, Rv.264233; Sez. 6, n. 23910 del 3/4/2023, Ciccimarra, Rv. 284759; Sez. 6, n. 37076 del 30/6/2021, Messina, Rv. 282305; Sez. 6, n. 58235 del 9/11/2018, Antoniazzi, Rv. 274815).
Peraltro, anche in relazione agli enti sostanzialmente pubblici, una parte della giurisprudenza ritiene che gli articoli 357 e 358 cod. pen. non consentono di desumere la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dalla mera natura dell'ente di appartenenza, in quanto la funzione pubblica e il pubblico servizio possono essere svolti sia da soggetti privati che da soggetti pubblici.
Si è sostenuto, infatti, che il criterio oggettivo-funzionale, delineato dalle richiamate norme, impone di avere riguardo all'attività concretamente esercitata dal soggetto attivo, piuttosto che alla natura pubblica, o a prevalente partecipazione pubblica dell'ente di appartenenza (Sez.6, n. 2459à dell'8/2/2023, Bartolomei, Rv. 284914; Sez.6, n. 18837 dell'8/2/2023, Orlando, Rv.284620).
Problemi di altro tipo e maggiori si pongono, invece, nei casi in cui un'attività astrattamente di interesse pubblicistico venga svolta, al di fuori di un rapporto concessorio, da un soggetto che ha veste non solo formalmente, ma anche sostanzialmente privatistica. È l'ipotesi che tipicamente si realizza nel caso in cui un servizio pubblico è oggetto di appalto conferito ad una società privata, non partecipata dall'ente pubblico e priva di poteri pubblicistici derivanti da una concessione traslativa. In tali casi, come chiaramente evidenziato dalla Corte di cassazione, Sez. VI, 9 luglio 2024, n. 27090, la società che svolge un servizio pubblico non muta in alcun modo la sua natura privatistica, come pure i beni di cui è proprietaria non assumono una destinazione pubblicistica.
Il rapporto tra società ed ente appaltante, infatti, rimane circoscritto all'ambito tipico del contratto di appalto, in relazione al quale il privato è tenuto all'adempimento, senza che per ciò solo possa configurarsi un vincolo di destinazione in relazione ai beni utilizzati per l'esecuzione del servizio.
L'equivoco che deve, pertanto, essere evitato, concerne la presunta equiparazione tra l'espletamento di un'attività avente rilevanza di pubblico servizio e l'automatica attribuzione all'ente che se ne occupa e, in conseguenza, ai soggetti che per esso agiscono, della qualifica pubblicistica richiesta per la configurabilità dei reati contro la pubblica amministrazione.
Valorizzando il criterio oggettivo-funzionale, la Corte di cassazione ha stabilito che il mero svolgimento, da parte di un ente formalmente e sostanzialmente privato, di un servizio di pubblico interesse non comporta necessariamente l'attribuzione della qualifica pubblicistica ai soggetti che per esso agiscono, dovendosi valutare in concreto l'attività posta in essere e la sua diretta finalità pubblicistica.
Parimenti – evidenzia ancora la medesima Corte - non può ritenersi corretta l'equiparazione operata dalla Corte di appello di Bari, secondo cui lo svolgimento di un pubblico servizio comporta che i beni dell'ente che ne è incaricato assumano valenza pubblicistica, con la conseguenza che l'eventuale appropriazione degli stessi determinerebbe il reato di peculato.
Pur dovendosi ribadire in linea generale che, nel delitto di peculato, il concetto di "appropriazione" comprende anche la condotta di "distrazione", in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene (Sez. 6, n. 25258 del 4/6/2014. Cherchi, Rv.260070), tale principio non è applicabile al caso in esame.
Invero, i beni di una società privata, pur se incaricata dello svolgimento di un pubblico servizio, non divengono per ciò solo destinati all'adempimento della funzione pubblicistica, né vengono assoggettati a vincoli di indisponibilità. Al contempo, il soggetto che ha la disponibilità di tali beni, non potendo rivestire la qualifica di incaricato di pubblico servizio per il solo fatto di agire per conto della società che svolge un'attività di rilievo pubblicistico, non commette il reato di peculato qualora si appropri dei suddetti beni.
Conclusivamente, la Corte di cassazione, Sez. VI, 9 luglio 2024, n. 27090, in riferimento alla distinta ipotesi dell’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti urbani in regime di appalto, ha affermato il seguente principio di diritto:
«L'appalto per lo svolgimento di un pubblico servizio, conferito ad una società privata, non imprime un vincolo di destinazione pubblicistica ai beni della stessa e, conseguentemente, non comporta l'attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo al soggetto che ne disponga, sicché la loro eventuale appropriazione non integra il delitto di peculato».
Per completezza, si rileva che la condotta in questione avrebbe potuto astrattamente integrare il reato di appropriazione indebita (articolo 646 codice penale), ma ciò avrebbe presupposto una rivalutazione circa la consapevolezza o meno, da parte dell'organo amministrativo della società, dei rifornimenti di carburante eseguiti in favore degli imputati.
Gli operatori della raccolta dei rifiuti urbani con le qualifiche di operaio o di conducente di mezzi non sono incaricati di pubblico servizio: non può configurarsi a loro carico il reato di peculato
L'articolo 358 cod. pen., nel testo modificato dall'articolo 18 della legge 26 aprile 1990, n. 86, stabilisce: «Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale».
Poco dopo l'entrata in vigore di tale disposizione, la Corte di cassazione ha chiarito che dovevano essere considerati incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, pur agendo nell'ambito di un'attività disciplinata nelle forme della pubblica funzione, mancavano dei poteri tipici di questa, purché non svolgessero semplici mansioni di ordine, né prestassero opera meramente materiale; e che, perciò, il pubblico servizio è attività di carattere intellettivo, caratterizzata, quanto al contenuto, dalla mancanza dei poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione, con la quale è solo in rapporto di accessorietà o complementarietà (Sez. U, n. 7958 del 27/03/1992).
In seguito, nella giurisprudenza di legittimità sono state registrate oscillazioni con riferimento alla qualifica di pubblico servizio in tutti i casi di svolgimento di attività delegate ovvero di attività latamente di interesse pubblico ma gestite da enti in regime di diritto privato.
Tuttavia, nessuna incertezza esegetica si è manifestata in relazione alla definizione dell'ambito applicativo della norma in argomento nella parte in cui viene esclusa in radice la configurabilità della posizione penalistica dell'incaricato di pubblico servizio laddove l'agente sia assegnatario di mere mansioni d'ordine ovvero presti un'opera meramente materiale: tali dovendosi qualificare quelle attività che siano caratterizzate dalla mancanza di poteri decisionali ovvero dall'assenza di qualsivoglia margine di discrezionalità, e che, perciò, si esauriscono nello svolgimento di compiti semplici solamente materiali o di pura esecuzione (in questo senso v. anche, nella giurisprudenza civilistica, Cass., sez. lav., n. 3106 del 12/04/1990, Rv. 466637).
In tale contesto, mentre la sussistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio è stata riconosciuta nei riguardi di quei soggetti che, operando tanto nell'ambito di enti pubblici quanto di enti di diritto privato, siano risultati titolari di funzioni di rilevanza pubblicistica caratterizzate dall'esercizio del potere di adottare in autonomia provvedimenti conformativi dei comportamenti dei destinatari del servizio, con i quali l'agente instaura una relazione diretta (così, tra le molte, Sez. 6, n. 3932 del 14/12/2021, dep. 2022, Signorile, Rv. 282755; Sez. 3, Il. 26427 del 25/02/2016, B., Rv. 267298; Sez. 6, n. 6749 del 19/11/2013, dep. 2014, Gariti, Rv. 258995), quella qualifica è stata convintamente negata in relazione alla posizione di quei soggetti che, privi di mansioni propriamente intellettive, nel contesto di quelle strutture siano chiamati a compiere generiche attività materiali in esecuzione di ordini di servizio ovvero di prescrizioni impartire dai superiori gerarchici.
In particolare, si è puntualizzato che non sono incaricati di pubblico servizio coloro che svolgono un'attività meramente materiale o esecutiva, che resta estranea all'attività propriamente amministrativa, qual è quella svolta dagli operatori ecologici in senso stretto: soggetti per i quali è stata significativamente esclusa la sussistenza degli estremi tanto del delitto di omissione di atti di ufficio di cui all'articolo 328 cod. pen., quanto del reato di falso in atto pubblico in relazione alla redazione di documentazione inerente al mero rapporto contrattuale (sottoscrizione di fogli di presenza) al di fuori ovvero non connessa all'esercizio delle attribuzioni proprie dell'agente (in questo senso Sez. 5, n. 3901 del 15/12/2000, dep. 2001, Pizzimenti, Rv. 219242).
Né conduce a differenti conclusioni la pronuncia con la quale la Corte di cassazione ha riconosciuto la qualifica di incaricato di pubblico servizio nel caso del dipendente di una società di diritto privato ad intera partecipazione pubblica, che operava per il soddisfacimento della finalità tipicamente pubblica della raccolta dei rifiuti solidi urbani, che si era impossessato di materiali di consumo in dotazione di quella società incaricata della raccolta di tali rifiuti: in quanto decisione avente ad oggetto una condotta appropriativa materialmente posta in essere da un soggetto assegnatario di mere mansioni d'ordine o materiali, ma in concorso con altri dipendenti della società titolari di altri compiti di responsabilità espressivi della volontà della struttura e specificamente preposti all'organizzazione di quel pubblico servizio (Sez. 6, n. 49286 del 07/07/2015, Di Franco, Rv. 265702).
La Corte di cassazione, Sez. VI, 18 gennaio 2023, n. 1958, rileva come il Tribunale del Riesame abbia erroneamente attributo ai due imputati la qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio «per il sol fatto che gli stessi fossero dipendenti di una società privata concessionaria del servizio comunale di raccolta di rifiuti solidi urbani: trascurando, però, di considerare quanto evidenziato dalla difesa con la documentazione prodotta, da cui risultava che i due indagati erano stati assunti rispettivamente con le qualifiche di operaio per raccolta dei rifiuti e di conducente di mezzi per il trasporto e la movimentazione dei rifiuti, per le quali il Contratto collettivo nazionale di lavoro delle aziende private operanti nel settore igiene-ambientale, vigente dal 10 marzo 2021, prevedeva espressamente l'assegnazione di mere mansioni esecutive ovvero di compiti materiali richiedenti l'applicazione di procedure e metodi operativi prestabiliti e specifiche conoscenze teorico-pratiche (...) con autonomia operativa limitata ad istruzioni generali non necessariamente dettagliate».
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