Si dice spesso (e se ne scrive) di come, al contrario del settore privato, all'interno delle PA il capitale umano sia poco valorizzato, con una scarsa attenzione sia nel reclutamento sia nella gestione. Un aspetto che può finire a pregiudicare il corretto svolgimento delle attività delle PA, diventando un ostacolo all'attuazione delle politiche.
Spesso è una mancata lungimiranza verso gli scopi presenti e futuri della PA ad essere la causa di un reclutamento mal eseguita. Questa mancanza di visione d'insieme è spesso data da una scarsa considerazione delle moderne competenze, dalla volontà di mantenere i vecchi profili e in un modo di svolgere il reclutamento stabile e immutabile, nonostante anni di sprechi di competenze alle spalle. Basta pensare alle procedure mai modernizzate dei concorsi, che si presentano ancora lunghe e rugginose. L'ovvia conseguenza è quella di non inserire le migliori risorse umane e di demotivarle fin dal principio.
La gestione del capitale umano è un punto pure peggiore, se possibile, perché si parla di metodi di inquadramento ormai vecchi, carriere rigide e con poca o nessuna possibilità di evoluzione (e spesso fin troppo "sicure") e trattamento accessorio non incentivante. Aggiungiamoci un problematico invecchiamento della forza lavoro delle PA, legati a profili e competenze spesso inutili a discapito di mancanze fondamentali, ed il quadro è completo. Dove nel privato l'attenzione verso il capitale umano è sempre maggiore, con aggiornamenti, reclutamento mirato, ricerca di competenze trasversali, nella PA un dipendete, una volta assunto, viene lasciato a se stesso in attesa della pensione, senza particolari riguardi.
Sono problemi che tutti ben conosciamo, ma la politica non si è mai curata di intervenire, forse per non affrontare un tema così spinoso e costoso. Anzi spesso aggrava la situazione. Nel 2013, ad esempio, è stato abrogato l'obbligo, presente nell'articolo 7-bis del DLgs 165/2011 e già poco rispettato, di stilare annualmente un piano di formazione del personale, al fine di comprendere fabbisogno e competenze in linea con le necessità degli obiettivi prefissi, e tenendo conto anche della programmazione delle assunzioni e delle nuove normative tecnologiche. Né dirigenti né sindacati hanno mai portato all'attenzione questa abrogazione, così passata nel silenzio.
Per non parlare delle norme che si dovrebbero avere riguardo la spesa per il personale negli anni 2010 e 2011 della crisi fiscale: rimane in vigore solo il limite di spesa per la formazione al 50%, rispetto a quella sostenuta nel 2009. Risulta chiaro che non è quindi possibile riqualificare il capitale umano né spingere verso la decantata rivoluzione digitale. Dove nel privato è chiaro l'obbligo di aggiornare e fornire di nuove competenze il personale, per essere funzionali e competitivi, nel pubblico è un aspetto del tutto abbandonato.
Bisogna ricordarsi che sono la politica e la legge a muovere e decidere i canoni della PA e a doversi occupare del suo aggiornamento, al fine di garantirne la migliore funzionalità. In questo modo invece, finiscono sempre per mancare le risorse umane per attuare le politiche proposte. Anche ad oggi, come sarà possibile rilanciare i centri per l'impiego, gestire il tanto decantato reddito di cittadinanza, svolgere manutenzione delle infrastrutture, migliorare la digitalizzazione e potenziare la sicurezza, se manca il personale adeguato a operare a tali fini? Inutile continuare a parlare di copertura finanziaria, perché avere i fondi per svolgere un'opera e non avere le competenze per gestirla e amministrarla è inutile, e finisce per portare a numerosi progetti validi solo sulla carta, ma inattuabili a causa dell'inadeguatezza del personale.
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