La Rivista del Sindaco


I CUORI DELLE CITTÀ D’ARTE SVENDUTI PER 30 DENARI

Qualità della PA
di La Posta del Sindaco
12 Giugno 2017

J'accuse dello storico dell’arte Salvatore Settis contro la moda delle piazze come “location” di eventi

La piazza che diventa location è morta (di Salvatore Settis su “Il Fatto Quotidiano” del 12 giugno 2017) 
“Una nuova barbarie insidia le nostre città: l’etica della location. Imperversa dappertutto, ma colpisce al cuore specialmente la più originale creazione della città italiana, la piazza.”, questo l’incipit dell’appassionato atto d’accusa scritto dall’archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis su “Il Fatto Quotidiano”. Le più belle piazze delle città italiane - da Nord a Sud e in maniera tanto generalizzata e diffusa che “è inutile fare un elenco dei cattivi” - scrive lo storico, sono ormai invase (e occultate alla vista) da palcoscenici, impalcature, riflettori, sedie, attrezzature varie e bagni chimici fino ad essere completamente snaturate, a perdere la loro bellezza e diversità e a diventare invece tutte uguali una all’altra: luoghi per eventi. Location, per l’appunto. Mentre la piazza italiana è una caratteristica unica delle nostre città, l’erede dell’agorà greca e del foro romano, il luogo di discussione e d’incontro (e anche di scontro politico), di festa e di lutto, di commercio e mercato. Così caratteristicamente italiano che quando all’estero hanno inserito, magari nei piani urbanistici di nuove città, degli spazi deputati ad usi civici e pubblici li hanno chiamati direttamente “piazza”, con il nome in italiano. Secondo Settis questi luoghi così preziosi sono adesso “svenduti per trenta denari”, riempiti di eventi come se avessero bisogno di una funzione loro assegnata - possibilmente remunerata dallo sponsor di turno e con accesso a pagamento e non più libero - mentre invece così viene annullata quella che hanno sempre avuto nel corso dei secoli e della storia. Per poi calcolare se una location ha avuto successo o meno, si “sbiglietta”, ovvero si calcola il numero delle presenze e degli introiti, se l’evento era a pagamento. Non si calcola però - scrive Settis - quanto si è perso in termini di “degrado dell’immagine civica” e di “progressivo logoramento della stessa idea di città”. Si pensi, ad esempio, ad un turista che arriva nella piazza per la prima volta - e magari anche l’unica - nella sua vita, ed è privato del diritto di vederla perché le sue caratteristiche e bellezze architettoniche sono occultate dalle impalcature dell’evento di turno. La piazza, luogo per eccellenza della città, diventa un “non-luogo” (una “non-piazza”) dove “solo il prezzo conta, e la bellezza del luogo è solo uno specchietto per le allodole, si mostra e si nasconde”. Settis poi rivolge un pensiero non soltanto ai turisti e ai cittadini, diciamo così, “da sempre” ma anche ai “nuovi italiani” che, per conseguenza di un “processo inarrestabile”, provengono da altre culture e crescono intorno a noi: come trasmettergli valori e comportamenti se - sembrerebbe suggerire - noi per primi non siamo capaci di preservarli?
 

 


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