Intervista al professor Mazzola, docente di Ingegneria idraulica e consulente di Palazzo Chigi
«Flop acquedotti, colpa della politica più spazio a privati che investono» (di Francesco Lo Dico su “Il Mattino” del 25 giugno 2017)
L’emergenza idrica di questi giorni sta facendo emergere con drammaticità una situazione in realtà nota da molto tempo: gli acquedotti del nostro Paese sono obsoleti, poco o nulla manutenuti, e disperdono in corsa fino al 40% dell’acqua che dovrebbero trasportare, con punte che al Sud raggiungono anche il 70%. Secondo Utilitalia - federazione che riunisce le aziende che operano nei servizi pubblici - servirebbero investimenti di 5 miliardi all’anno per cinque anni, e di tre miliardi a partire dal sesto anno e fino all’ottavo, per riparare la rete idrica italiana. Un investimento complessivo, quindi, di trentaquattro miliardi di euro. Secondo Mario Rosario Mazzola, docente di Ingegneria idraulica all’Università di Palermo e consulente di Palazzo Chigi, è difficile immaginare che lo Stato riesca a farsi carico di un intervento finanziario così rilevante. Condizione necessaria, ma non sufficiente, per poter mettere in efficienza la rete sarebbe quella di rivedere al rialzo il costo che gli italiani pagano per la bolletta dell’acqua, che al momento sono estremamente contenuti se paragonati a quelli degli altri Paesi europei. In Italia, infatti, si pagano in media trenta euro all’anno per i servizi idrici contro i 90 degli altri Paesi. Inoltre, attualmente, da noi si spende circa un 60-70% in meno di quanto si spende, ad esempio, in Germania per la manutenzione delle reti. Ma, secondo il professor Mazzola, l’aumento non sarebbe sufficiente senza un contestuale cambio di mentalità che, per prima cosa, dovrebbe abbandonare la contrapposizione tutta ideologica del pubblico contro il privato. Andrebbero premiati esclusivamente merito ed efficienza e, laddove questi fossero assicurati dal pubblico, sarebbero ovviamente i benvenuti. Però, visto che un piano di investimenti pluriennali di tale importanza economica sarebbe difficile da immaginare senza finanziamenti bancari, sarebbe altrettanto difficile immaginare banche disponibili ad aprire linee di credito a favore di soggetti pubblici minuscoli e che spesso non godono di troppa credibilità, come in molti casi sono i gestori locali dei servizi idrici. Un fenomeno particolarmente diffuso al Sud: «I soggetti virtuosi a onore del vero non mancano, ma in generale il Meridione è afflitto da problemi dimensionali enormi. Un pulviscolo di soggetti minuscoli, inefficienti, privi di credito presso le banche, che tuttavia sopravvivono al riparo dell’ombrello della politica. Che non investono, ma non pagano per la loro inefficienza. Che non raggiungono gli obiettivi, ma restano in sella. Il risultato finale di questa situazione si traduce in un dato piuttosto eloquente. I piani tecnici di ammortamento a 50 anni, prevedono la revisione annua del due per cento della rete idrica ogni anno per cinquant’anni, ma in realtà siamo fermi a una media dello 0,38 per cento: con questo ritmo la manutenzione dei nostri acquedotti richiederebbe quasi 250 anni», spiega il professor Mazzola. Secondo il docente, per sperare di venire a capo del problema, occorre censire tutti i soggetti che si occupano delle risorse e procedere ad una riorganizzazione, accorpando secondo l’unico criterio valido, che è quello dell’efficienza, e lasciando finalmente da parte la dicotomia pubblico-privato. Inoltre occorre individuare tariffe regionali omogenee, vigilare sui servizi - cosa che può essere svolta da Autorità come, ad esempio in Campania il neo costituito Eic (Ente idrico campano), e aggregare tutti i gestori che non possono fornire adeguate garanzie sulla qualità del servizio che erogano e che, peraltro, non avrebbero neanche le competenze e gli strumenti per i complessi interventi necessari all’adeguamento delle reti idriche.