Secondo la Federazione degli esercizi pubblici (Fipe), più della metà delle oltre 42 mila sarebbero “finte”
In Italia 27 mila finte sagre: fatturano 558 milioni (di Patrizia De Rubertis su “Il Fatto Quotidiano” del 3 luglio 2017)
Con l’inizio dell’estate la stagione delle sagre arriva al suo culmine impazzando su e giù per lo Stivale. Apprezzate da quanti ne affollano i tavoli, molto meno da chi subisce una concorrenza (essenzialmente nel campo della ristorazione) ritenuta in molti casi sleale, perché al di sopra delle regole. Secondo un rapporto della Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, delle oltre 42 mila sagre che si tengono ogni anno in Italia, all’incirca un 65% (ben 27.300) sarebbero “fasulle” e fatturerebbero oltre 558 milioni di euro. Per fasulle intendendo sagre che non avrebbero alcun legame con il santo patrono, con la storicità, la tradizione, la promozione dei valori culturali e dei prodotti tipici del luogo in cui vengono ospitate, né collaborerebbero in alcun modo con gli operatori della ristorazione del territorio. A titolo di esempi eclatanti, l’articolo cita una sagra del pesce in un Comune della Valle d’Aosta distante 215 chilometri dal mare, un’altra del porceddu e della cucina tipica sarda in un Comune dell’hinterland milanese o, infine, una sagra della porchetta in provincia di Messina. Senza citare il proliferare delle feste della birra stile Oktoberfest, ormai presenti in praticamente ognuno degli ottomila Comuni italiani. Secondo la Fipe il numero di sagre finte, con nulla a che spartire con le tipicità del territorio, è talmente rilevante che è come se ciascun Comune italiano ne ospitasse 3,4 ogni anno. In ognuna delle oltre 27 mila manifestazione “tarocche” vengono esercitate attività di ristorazione a tutti gli effetti senza che però, secondo la Fipe, queste debbano sottostare ai vincoli di legge cui sono tenuti tutti gli altri pubblici esercenti. Un danno grave anche per lo Stato che, ogni anno, perderebbe 710 milioni di euro in imposte dirette e contributi. Tutto ciò perché non esisterebbe una regolamentazione nazionale per uniformare le sagre e fissare dei requisiti specifici per partecipare ai bandi di Comuni e Regioni, che ogni anno stanziano miliardi di euro per eventi culturali, enogastronomici, feste popolari o attività di promozione sociale. Scartabellando le 22 diverse normative regionali, la Fipe rileva che l’unico vincolo comune è quello che prevede che la sagra venga promossa da una Proloco. E qui, secondo la Federazione degli esercenti, risiederebbe un primo elemento di “concorrenza sleale”: le Proloco infatti, essendo associazioni nate con scopi di promozione e sviluppo del territorio, godono di agevolazioni fiscali particolari che prevedono la possibilità di versare un’imposta forfettaria senza obbligo di certificare i corrispettivi incassati. Quindi, a fronte di incassi impossibili da certificare, le associazioni versano soltanto il 3% degli incassi auto-dichiarati. Inoltre, sostiene la Fipe, le finte sagre rappresentano una possibile insidia per i consumatori, perché i controlli sanitari sul cibo servito sono scarsi o nulli (senza considerare l’inesistenza dei legami con le tipicità del territorio), e per chi ci lavora (spesso volontari), in quanto quasi sempre non esiste alcuna forma di controllo in materia di salute e sicurezza del lavoro. «Certo, non tutte le sagre sono così - commenta il direttore del centro studi Fipe - Noi non siamo contrari a queste manifestazioni a patto che le istituzioni diano priorità a quegli eventi autentici, con una riconosciuta valenza di tradizione, e coinvolgano anzitutto gli operatori del territorio, ad esempio con la possibilità di creare una partnership con i ristoranti della zona per proporre menù tipici ad hoc». Unico esempio virtuoso nella giungla della mancanza di regole su sagre e affini, sembrerebbe essere quello della Regione Lombardia che, nell’aprile 2016, ha promosso una legge ad hoc su sagre e commercio su aree pubbliche. La norma regionale prevede l’invio ai Comuni di linee guida per riconoscere le sagre “autentiche”, dando priorità a “quelle che hanno una valenza riconosciuta di tradizione con gli operatori già presenti sul territorio” e ha introdotto un calendario annuale delle manifestazioni, con multe per chi opera al di fuori di esso.