Molti enti sono alle prese con un dubbio riguardante le società miste a maggioranza pubblica: a prescindere dalla sussistenza dei requisiti previsti dalla legge ai fini della definizione di controllo sono da considerare come società controllate dai soci pubblici? Un interrogativo pressante anche a causa della scadenza, fissata per il 30 settembre 2018, dello schema di relazione annuale (approvato dalla Corte dei conti, Sezione Autonomie, lo scorso 21 giugno con la deliberazione n. 14) relativo controllo interni.
Annualmente i sindaci dei Comuni con più di 15.000, i presidenti delle Province e delle città metropolitane stilano una relazione riguardante i controlli sulle società partecipate, secondo quanto disciplinato dall'articolo 147-quarter del Dlgs 267/2000, di cui una delle domande riguarda proprio se l'ente ha contato anche le società a totale partecipazioni pubblica, per le quali il controllo viene espresso in forma congiunta, anche tramite comportamenti concludenti, a prescindere dall'esistenza di norme di legge, statutarie e/o accordi formalizzati, tra le società controllate. All'attuale, la definizione di società controllata da un ente pubblico è contenuta nell'articolo 2 del Dlgs 175/2016, che descrive tale società come quella in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b) presente nel decreto stesso, mentre definisce una "società a partecipazione pubblica" quella sotto il controllo pubblico o una società partecipata direttamente da amministrazioni pubbliche. In pratica, una società è considerata controllata dal pubblico se una o più amministrazioni pubbliche dispongono della maggioranza dei voti nelle assemblee ordinarie, o possano grazie a stipule contrattuali esercitare un'influenza dominante, in caso ci fosse necessità di una votazione a consenso unanime riguardo una decisione finanziaria o gestionale strategica della società.
Il problema subentra quando in una società, la cui maggioranza di soci sono pubblici, nessuno di questo singolarmente (stando alle condizioni presunte dalla norma) può conseguirne il controllo. In questo caso, si deve parlare di società partecipata o società controllata? Stando a quanto deliberato dalla Corte dei conti della Liguria, con la delibera n. 3/2018, una simile società si deve considerare controllata da enti pubblici, nonostante nessuno di questi singolarmente può rivendicarne il controllo. Questo perché, anche in presenza di norme di legge o statuarie o di patti parasociali, stando alla norma dell'articolo 2, lettera m) del Dlgs 175/2016, viene definita società controllata da enti pubblici, quella in cui una o più pubbliche amministrazioni possano vantare voti o poteri stabiliti dal codice civile. Seguendo la norma sopra citata la Corte ligure ha voluto evitare le numerose società a capitale pubblico frazionato possano riuscire a sfuggire all'applicazione delle disposizioni dettate tanto in materia di amministratori e dipendenti, come esplicitato negli articoli 11, 19 e 25 del testo unico, quanto nei confronti delle società a controllo pubblico.
Il 15 febbraio 2018 la Struttura di monitoraggio e controllo delle partecipazioni pubbliche ha dichiarato che "in coerenza con la ratio della riforma volta all'utilizzo ottimale delle risorse pubbliche e al contenimento della spesa, al controllo esercitato dalla Pubblica Amministrazione sulla società appaiono riconducibili non soltanto le fattispecie recate dall' art. 2, comma 1, lett. b), del TUSP, ma anche le ipotesi in cui le fattispecie di cui all' articolo 2359 c.c. si riferiscono a più Pubbliche Amministrazioni, le quali esercitano tale controllo congiuntamente e mediante comportamenti concludenti, pure a prescindere dall'esistenza di un coordinamento formalizzato ", condividendo quindi l'interpretazione della Corte ligure. In questo modo si finisce per estendere l'ambito delle società controllate, in cui rientrerebbero anche le società a maggioranza pubblica frazionata.
Rimangono comunque diversi interrogativi, riguardanti la necessità o meno di avere un voto concorde in una sola assemblea dei soci pubblici. E questa ipotesi sarebbe valida anche in caso gli enti pubblici si ritrovassero in accordo solo per una momentanea coincidenza di interessi? Quesiti importanti, perché si rischia di far rientrare (con tutte le conseguenze del caso) nelle società a partecipazione pubblica anche tutte le società partecipate da queste ultime in caso tale accordo fosse realizzato.
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