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IL CONSUMO DI SUOLO NON SI FERMA

Presentato il Rapporto sul “Consumo di suolo in Italia nel 2018”: ogni due ore persa un’area pari a quella di piazza Navona
Qualità della PA
di La Posta del Sindaco
18 Luglio 2018
L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha presentato ieri alla Camera dei Deputati l’edizione 2018 del rapporto sul consumo di suolo in Italia, la quinta dedicata al tema. Il quadro fornito dall’Ispra e dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), istituito nel gennaio del 2017, ha una valenza ormai riconosciuta come “base conoscitiva trasversale alle diverse politiche e attività sul territorio” e costituisce, secondo quanto scrive in prefazione Stefano Laporta, presidente Ispra e Snpa, un “fondamentale supporto per lo sviluppo del quadro normativo in materia di monitoraggio e di valutazione delle trasformazioni del territorio e dell’ambiente e, al contempo, fornisce ai responsabili delle decisioni a livello locale informazioni specifiche per limitare, mitigare o compensare l’impermeabilizzazione del suolo e per la pianificazione urbanistica e territoriale”. Consumo che sembra non fermarsi e che anche nel 2017, malgrado la crisi economica, ha continuato ad aumentare. Anzi è proprio nella parte settentrionale del Paese, dove i segnali di ripresa sono stati meno timidi, che il consumo è maggiormente cresciuto. L’insano accoppiamento tra ripresa economica e consumo di suolo è proprio quello che andrebbe scisso, secondo il presidente dell’Ispra, attraverso un intervento normativo che nel rapporto è più volte invocato come necessario e urgente. Secondo Laporta, il “fragile territorio italiano” non può più permettersi una ripresa economica, ovviamente auspicabile, accompagnata però ad un aumento dell’artificializzazione del suolo. Non se lo può permettere il nostro Paese anche da un punto di vista strettamente economico perché, come ci ha più volte ricordato la Commissione europea, la crescente impermeabilizzazione di porzioni sempre crescenti di suolo comporta una perdita consistente di servizi ecosistemici e l’aumento dei cosiddetti “costi nascosti”, che il rapporto quantifica in un miliardo di euro nell’”immediato”, per i danni causati dal consumo di suolo negli ultimi cinque anni. Ma che nel futuro, ai ritmi attuali di distruzione di risorse naturali non più rimpiazzabili, sono calcolati nella cifra monstre di due miliardi all’anno.
 
La superficie di territorio naturale, secondo il Rapporto, nel 2017 si è ridotta di altri 52 chilometri quadrati, una media di circa due metri quadrati al secondo. Un consumo che non tiene conto neanche dei vincoli paesaggistici visto che un quarto di questo, negli anni 2016 e 2017, è avvenuto all’interno di aree vincolate. Né del dissesto idrogeologico perché il 6% del consumo del 2017 è avvenuto in aree a rischio frana - dove peraltro si concentra il 12% del suolo artificiale nazionale - e il 15% in aree a pericolosità idraulica media. Anche le aree protette, sebbene con una percentuale di crescita inferiore a quella nazionale, sono esenti e il Rapporto ci informa che circa 75 mila ettari sono ormai totalmente impermeabili. L’Ispra, infine, traccia tre possibili scenari da qui al 2050, data nella quale, in teoria, il consumo di suolo dovrebbe cessare del tutto. Il meno apocalittico contempla l’approvazione in tempi brevi della legge che, nella scorsa legislatura, si è arenata in Senato: grazie alla progressiva riduzione del consumo si arriverebbe nel 2050 ad una perdita di poco superiore agli 800 chilometri quadrati. Il secondo, nel caso si mantenesse la velocità di consumo registrata nel 2017, stima un consumo superiore ai 1.600 chilometri quadrati. Infine lo scenario peggiore che, in caso di mancato intervento normativo e di ripresa economica associata ad un consumo pari ai valori medi o massimi registrati negli ultimi decenni, arriverebbe ad una perdita superiore agli 8.000 chilometri quadrati: una superfice pari a quella dei 500 Comuni più grandi d’Italia, Roma inclusa.

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