L'indebitamento complessivo è in discesa, ma i Comuni pagano interessi fuori mercato per i vecchi contratti
Il paradosso del debito che strozza i bilanci dei piccoli Comuni (di Gianni Trovati su “Il Sole 24 Ore” del 10 luglio 2017)
Gianni Trovati de “Il Sole” lo definisce paradosso, perché se da una parte l’indebitamento complessivo dei Comuni sta scendendo rispetto ad altri settori della pubblica amministrazione, dall’altra gli Enti, specialmente quelli di dimensioni più piccole, si ritrovano fortemente limitati dal dover destinare una quota rilevante della loro spesa corrente al pagamento di contratti sottoscritti ormai diversi anni fa. Si trovano cioè a fare i conti con “debito vecchio”, visto che i vincoli di finanza pubblica degli ultimi anni hanno fortemente limitato l’accensione di nuovi prestiti. Lo spunto dell’articolo parte da un’analisi condotta recentemente dall’Ifel, che dimostra come lo stock del passivo delle amministrazioni locali, Regioni comprese, sia in rapida riduzione. Prendendo in considerazione gli anni che vanno dal 2011 al 2016 si può constatare come il debito sia passato da 48,6 a 40,7 miliardi di euro, riducendosi quindi del 16,3%. Nello stesso periodo invece il debito della Pa centrale è cresciuto del 20% con il risultato che, oggi, il passivo delle amministrazioni locali vale il 4% del debito pubblico, mentre nel 2016 era al 6,3%. Sempre dall’analisi condotta dall’Ifel risulta come il debito comunale pro capite sia decisamente più elevato al Nord (820 euro) - per via di una propensione più marcata agli investimenti (e quindi all’indebitamento) - rispetto al Centro (641 euro) e al Sud (605 euro). Il vero problema però, come si scriveva poco sopra, è quello degli interessi che, riferendosi per lo più a contratti sottoscritti in anni in cui i tassi erano sensibilmente più elevati, risultano ora completamente fuori linea rispetto a quelli attuali. Risulta quindi che quasi 1.000 Comuni devono destinare al pagamento del debito oltre il 18% della loro spesa corrente annuale, e altri 1.400 sono compresi nella fascia che deve destinare tra il 12 e il 18% delle uscite correnti. Ancora una volta, questo problema è più marcato al Nord dove la soglia del 18% delle uscite correnti destinate agli interessi riguarda il 29,7% dei Comuni. Un altro dato aiuta a comprendere come il debito pesi di più negli Enti di piccole dimensioni dove leva spazio all’erogazione dei servizi, infatti gli interessi costano in media 135 euro pro capite nei Comuni fino a mille abitanti, mentre nella fascia tra 5 mila e 20 mila abitanti la stessa voce scende fino a 63 euro per poi risalire leggermente nei Comuni più grandi per via degli investimenti generalmente più cospicui. Il fatto però che il problema sia particolarmente concentrato nei piccoli Comuni ha, secondo l’articolo, anche un risvolto positivo: infatti se è molto difficile sostenere a livello di singolo ente, lo è di meno a quello aggregato. A livello complessivo, poi, la spesa per interessi sostenuta dai Comuni in difficoltà vale circa 600 milioni, una dimensione che consentirebbe di pensare a strumenti complessivi di intervento. In questa direzione arriva anche una proposta avanzata dall’Ifel: una “emergenziale”, che contempla la sospensione delle rate nei Comuni in maggiore difficoltà, e una più “strutturale” che invece dovrebbe facilitare la rinegoziazione degli interessi, come a suo tempo già fatto per le Regioni.
