L’articolo 91 bis del Decreto Legge 24/2012 e le successive disposizioni attuative continuano a creare dubbi di conformità alla Commissione Europea, che con gli articoli 107 e 108 del Trattato di funzionamento della UE vieta qualunque pratica definibile come aiuto di stato.
La modifica dell’articolo contenuto nel Decreto Legge, servì a regolare le agevolazioni su ICI e IMU agli enti non commerciali (anche definiti no-profit), proprio al fine di non incorrere in ulteriori violazioni delle norme nei confronti della Comunità Europea.
Nonostante la modifica, la norma è ancora sotto la lente della Corte di Giustizia Europea in diverse cause (C 622/16-P, C 623/16-P, C 624/16-P). Seguendo le obiezioni rivolte alla normativa nostrana, l’Unione sostiene che queste misure violerebbero il divieto di aiuti di Stato per i seguenti motivi:
Per quanto riguarda la prima obiezione, ci si può riferire al fatto di Getafe, nella penisola iberica, difatti l’Ufficio Tributi Comunale ha respinto la richiesta di rimborso effettuata da un ente riconducibile alla Chiesa Cattolica, in merito al rimborso della tassa Icio (il principale tributo in Spagna). Questo caso prevedeva la richiesta di rimborso del suddetto tributo per un edificio che avrebbe svolto in parte l’attività di scuola privata, quindi con l’erogazione di servizi a pagamento, eliminando del tutto il presupposto dell’ente no-profit.
Questo caso che ha portato tra l’altro anche l’impugnazione da parte dell’Ente religioso davanti ai Magistrati Europei, è interessante in quanto l’esenzione anche parziale a favore di un immobile ad uso promiscuo (profit e no-profit) è illegittima in base all’art.107 del TFUE (Trattato di funzionamento dell’Unione Europea).
Quindi, tale decisione porterebbe ad estendere tale decisione anche all’art.91-bis co. 2 e co.3, sono altresì illegittime nei confronti della giurisprudenza europea anche le disposizioni attuative del Decreto Ministeriale 200/2012 assieme al sistema dichiarativo per la tassa sugli immobili (IMU).
La Corte si è espressa anche a proposito del concetto di attività economica, intendendola come offerta di beni e servizi in cambio di una remunerazione, questo criterio non viene inficiato dalla finalità di tale attività economica, in quanto si viene a creare quello che viene definito sinallagma, cioè un rapporto di interdipendenza tra prestazione e controprestazione.
Il Giudice ha quindi stabilito che l’offerta di servizi educativi in cambio di un compenso costituisce un’attività economica propriamente detta, in quanto non conta chi paga tale servizio, ma che il servizio offerto comporti una remunerazione. Discorso inverso viene effettuato per gli Enti che svolgono un servizio all’interno del sistema di insegnamento pubblico.
Concludendo, la Corte Europea stabilisce che una qualunque attività di scambio di beni e/o servizi, richieda un compenso (anche se inferiore al prezzo di mercato), non può costituirsi come ente no-profit puro e non può ricevere le agevolazioni che i vari Stati accordano a questi ultimi.
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