La Rivista del Sindaco


Esenzione Imu per coniugi con diversa residenza

Dall'interpretazione restrittiva della Corte di Cassazione alla pronuncia di incostituzionalità dell'Art. 13, c.2, d.l. n. 201/2011
Approfondimenti
di Martini Lorella
09 Maggio 2025

 

L’Art. 13, comma 2 del d.l. n. 201/2011 e la sua interpretazione giurisprudenziale 

In materia di IMU una delle questioni più interessanti affrontate dalla giurisprudenza negli anni riguarda l’applicabilità dell’esenzione per abitazione principale in ipotesi di coniugi con residenze separate.

La questione trae origine dalla lettera dell’art. 13, comma 2 del d.l. n. 201/2011, come modificato dall’art. 4, c. 5, lett a) del d.l. n. 16/2012, che così recita: «per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l'abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile».

La predetta norma nel corso degli anni è stata per lo più interpretata in senso restrittivo dalla giurisprudenza di legittimità, cui si è adeguata la maggioranza della giurisprudenza di merito, in virtù del principio del divieto di applicazione analogica e/o estensiva delle norme agevolative.

La Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che per fruire del beneficio in riferimento ad una determinata unità immobiliare sia necessario che “tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente" (Cass. ordinanze n. 4166/2020, n. 4170/2020, n. 17408/2021).

I Giudici di legittimità, peraltro, hanno ritenuto che l’agevolazione spetti per un solo immobile per nucleo familiare, non solo nel caso di immobili locati nel medesimo comune – come espressamente previsto dalla norma di legge – ma anche in caso di immobili situati in comuni diversi, così disattendendo la diversa interpretazione proposta dal Ministero dell’Economia e delle finanze con la circolare n. 3/DF del 2012 che, nel silenzio della norma, ha riconosciuto il beneficio per ciascuno degli immobili, ubicati in comuni diversi, adibiti a residenza e dimora.

Per la giurisprudenza di legittimità l’unico modo per fruire dell’esenzione sarebbe provare la rottura dell’unità familiare, atteso che solo “la frattura” del rapporto di convivenza comporta “una disgregazione del nucleo familiare e, conseguentemente, l’abitazione principale non potrà essere più identificata con la casa coniugale” (Cass. 17408/021).

Una tale interpretazione rende la creazione di un nucleo familiare evidentemente penalizzante, atteso che i coniugi o gli uniti civilmente potrebbero beneficiare dell’esenzione IMU solo in relazione ad un unico immobile, mentre persone che avessero deciso di rimanere meri conviventi di fatto potrebbero fruire, in presenza dei requisiti della dimora abituale e della residenza presso diversi immobili, di una doppia esenzione IMU.

In reazione a tale orientamento giurisprudenziale tanto severo, il Legislatore è intervenuto con l’art. 5 decies del d.l. n. 146/2021, convertito con modifiche nella L. n. 215/2021, così modificando l’art. 1, c. 741, lett. b), L. n. 160/2019 integrato con la previsione per cui “nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l'abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare”.

Come ben si può immaginare, la posizione della Corte di Cassazione ha inevitabilmente legittimato la scelta di molti Comuni di disconoscere tout court l’esenzione IMU in ipotesi di coniugi residenti in immobili differenti.


La sentenza n. 209/2022 della Corte Costituzionale

Tra i tanti, anche il Comune di Napoli ha ritenuto che non venissero integrati i presupposti per beneficiare dell’esenzione IMU nel momento in cui l’intero nucleo familiare non risiedesse nello stesso immobile ma uno dei coniugi fosse residente in altro comune.

In seno ad uno dei contenziosi scaturiti, la CTP Napoli, con ordinanza del 22.11.2021, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2 del d.l. n. 201/2011, con riferimento agli artt. 1,3,4,29,31,35,47 e 53 Cost., nella parte in cui non prevede l'esenzione dall'IMU per l'immobile adibito a dimora principale del nucleo familiare, quando anche solo uno dei suoi componenti abbia la residenza o la dimora in un immobile sito in un altro comune.

Anche la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 94 del 12 aprile 2022 ha sollevato dinanzi a sé, in riferimento agli artt. 3,31 e 53 Cost., questione di legittimità costituzionale del quarto periodo dell'art. 13, comma 2, D.L. n. 201/2011, nella parte in cui, ai fini dell'agevolazione, considera quale abitazione principale quella in cui il possessore e anche l'intero nucleo familiare hanno la residenza anagrafica e la dimora abituale.

La Corte ha concluso per l’incostituzionalità della norma.


La violazione dell'art. 3 Cost.

Evidente è per i giudici costituzionali la violazione dell’art. 3 Cost., che stabilisce il principio di uguaglianza e dignità sociale per tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali ed impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l'uguaglianza, garantendo lo sviluppo della persona umana e la partecipazione dei lavoratori all'organizzazione del paese. 

Rileva la Corte che “se la logica dell'esenzione dall'IMU è quella di riferire il beneficio fiscale all'abitazione in cui il possessore dell'immobile ha stabilito la residenza e la dimora abituale, dovrebbe risultare irrilevante, al realizzarsi di quella duplice condizione, il suo essere coniugato, separato o divorziato, componente di una unione civile, convivente o singolo”.

D’altro canto l’interpretazione sostenuta negli anni dalla Corte di Cassazione non risulterebbe nemmeno adeguata all’evoluzione della nostra società, laddove l’aumento della mobilità del mercato del lavoro e l’evoluzione dei costumi, rendono sempre meno rara la circostanza per cui persone unite in matrimonio o in unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, per poi ricongiungersi periodicamente, magari nel fine settimana, sempre mantenendo la comunione materiale e spirituale.

D’altro canto, nessuna norma dell’ordinamento impone alle coppie “ufficializzate” la medesima residenza; anzi, l’art. 143 c.c. prevede per i coniugi la possibilità di stabilire residenze disgiunte e l’art. 45 c.c. conferma la possibilità per i genitori di avere una propria residenza personale. 

Una diversità di trattamento tra coniugi/uniti civilmente e conviventi di fatto/single non può essere giustificata nemmeno da presunte ragioni antielusive ovvero dal rischio che le cd. seconde case vengano “trattate” come abitazioni principali. A tal proposito la Corte Costituzionale ricorda che i comuni dispongono di validi strumenti per accertare la veridicità delle dichiarazioni, tra cui, in particolare, l’accesso ai dati relativi alla somministrazione di energia elettrica, acqua e gas agli immobili siti nel loro territorio.


La violazione dell'art. 31 Cost.

Per i giudici costituzionali ad essere violato sarebbe anche l’art. 31 Cost. per il quale “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”.

La predetta norma, per quanto non imponga, certamente suggerisce e legittima trattamenti fiscali a favore della famiglia; sicuramente vieta trattamenti penalizzanti di quest’ultima.


La violazione dell'art. 53 Cost.

La Corte osserva come l’IMU sia un’imposta reale e che, pertanto, nella sua articolazione normativa rilevino elementi come la natura, la destinazione e lo stato dell’immobile e non le relazioni del soggetto con il nucleo familiare e quindi lo status personale del contribuente. 

Certo, sono possibili eccezioni ma queste devono avere una ragionevole giustificazione che, nel caso oggetto d’esame, non sussiste. 

Argomentano i giudici che “qualora, infatti, l'organizzazione della convivenza imponga ai coniugi o ai componenti di una unione civile l'effettiva dimora abituale e residenza anagrafica in due immobili distinti, viene ovviamente meno la maggiore economia di scala che la residenza comune potrebbe determinare, ovvero la convivenza in un unico immobile, fattispecie che per tabulas nel caso in considerazione non si verifica. Sotto tale profilo, le ragioni che spingono ad accogliere la censura formulata in relazione all'art.53 Cost. rafforzano l'illegittimità costituzionale in riferimento anche all'art. 3 Cost.; infatti «ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione»”.

Nessun distinguo quanto all’applicazione dell’esenzione può essere operato nemmeno a seconda che la seconda residenza sia allocata presso un immobile sito nello stesso territorio comunale rispetto alla prima residenza ovvero in un immobile sito in un diverso comune. Non si comprende infatti quale potrebbe essere l’indice di maggiore capacità contributiva del soggetto che possiede un’unità abitativa in un altro comune rispetto a chi possiede un’unità immobiliare nello stesso comune ove risiede il restante nucleo familiare.


L’ordinanza della Corte di cassazione n. 4292/2025

Nonostante la pronuncia della Corte di Cassazione, alcuni Comuni hanno continuato a non riconoscere l’esenzione dall’IMU al ricorrere di coniugi con residenze differenti.

Recentemente, la Corte di Cassazione con ordinanza n. 4292/2025 ha accolto il ricorso della contribuente, ribaltando le decisioni delle corti di merito di primo e secondo grado, e riconoscendo che se il titolare dell’abitazione vi risiede e vi dimora abitualmente, l’esenzione IMU deve essere riconosciuta, indipendentemente dalla circostanza per cui il coniuge o altri membri del nucleo familiare abbiano una residenza diversa, pena un ingiustificato ed illegittimo trattamento discriminatorio.


Conclusioni

Deve così concludersi che gli unici limiti per la fruizione dell’esenzione IMU per l'abitazione principale sono la sussistenza in capo al potenziale soggetto passivo d’imposta dei requisiti della residenza anagrafica e della dimora abituale.

Per i comuni l’aspetto più complesso sarà sicuramente la verifica del requisito della dimora abituale che potrà essere individuata attraverso la valutazione del luogo di lavoro, del medico di famiglia prescelto, dei consumi relativi alle utenze come suggerito dalla stessa Corte Costituzionale, ovvero di ogni altro dato utile a dimostrare che nel luogo in cui è ubicato l'immobile la persona trascorre la maggior parte del suo tempo.


 


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