L’attuale disciplina della riscossione delle entrate degli Enti locali è il risultato di una articolata evoluzione normativa.
Già nell’art. 52 del D.L.vo n. 446/1997 il Legislatore ha previsto per Comuni e Province la possibilità di disciplinare con regolamento tutte le entrate di propria competenza, quindi tributarie e patrimoniali, nonché le relative forme di gestione, liquidazione, accertamento e riscossione.
Più in particolare, con il comma 5 del menzionato art. 52 il Legislatore ha previsto che:
“I regolamenti, per quanto attiene all'accertamento e alla riscossione dei tributi e delle altre entrate, sono informati ai seguenti criteri:
Successivamente, il D.L. n. 193/2016 ha istituito l’Ente pubblico economico Agenzia delle entrate-Riscossione. Alle modalità di riscossione individuate dall’art. 52 del D.L.vo n. 446/1997, si è quindi aggiunta, a decorrere dal 1° luglio 2017, la possibilità per gli Enti locali di deliberare l’affidamento ad Agenzia delle Entrate-Riscossione dell’attività di riscossione, spontanea e coattiva, di tutte le entrate, tributarie e patrimoniali, proprie e delle società da essi partecipate.
In sintesi, pertanto, gli Enti locali possono procedere alla riscossione dele proprie entrate scegliendo una delle seguenti modalità:
La scelta tra i diversi modelli presuppone una valutazione comparativa dei mezzi, metodi e tempi che ciascuno di essi richiede, alla luce dei principi di economicità, efficacia ed efficienza, che sempre devono guidare la discrezionalità amministrativa.
Si precisa che, in ogni caso, in virtù della novella contenuta nel comma 786 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2020, tutte le somme appartenenti agli Enti locali a qualsiasi titolo riscosse, sia spontaneamente sia coattivamente, affluiscono direttamente alla Tesoreria dell’Ente.
La gestione diretta
La gestione diretta permette ai Comuni di svolgere l’attività di accertamento e riscossione in piena autonomia, avvalendosi solo ed esclusivamente di proprie risorse interne, evidentemente sufficienti ed adeguate allo scopo.
Tra tutte le alternative possibili, l’internalizzazione del servizio è quella che sembra maggiormente garantire il soddisfacimento del principio di “buona amministrazione”. In questa ipotesi, e solo in questa, l’Ente locale ha il controllo diretto di tutto l’iter di recupero del credito, con notevoli vantaggi in termini di attenzione, e conseguente correttezza, sulla regolarità degli atti e delle notifiche e sul rispetto dei termini.
E’ proprio per gli indubbi vantaggi che la gestione diretta garantisce che il Legislatore ha previsto la possibilità che questa sia esercitata anche in forma associata. In tal modo Comuni di piccole dimensioni, che al loro interno potrebbero non avere strutture e/o competenze adeguate, anziché ripiegare sull‘outsourcing, integrano le proprie risorse umane, economiche, strumentali con quelle di altri Comuni. Le associazioni che ne derivano possono prendere la forma di Convenzioni, Consorzi, Unioni di Comuni, Comunità montane.
La gestione in house
Con il termine di affidamento in house si intende quella particolare procedura per cui una Pubblica Amministrazione attribuisce l’appalto di un servizio ad un’altra entità giuridica, sempre di diritto pubblico, mediante affidamento diretto, ovvero senza gara.
Tale procedura è con ogni evidenza espressione del potere di auto-organizzazione della Pubblica Amministrazione.
E’ di immediata comprensione come tale sistema organizzativo, ponendosi in deroga al principio generale dell’evidenza pubblica, si scontri con i principi di matrice unionale di libera concorrenza e di libero mercato, che devono governare anche il settore dei contratti pubblici, in generale, e degli appalti, in particolare.
La Corte di Giustizia europea già nel 1999 (1) ha individuato le condizioni affinchè una Pubblica Amministrazione possa legittimamente procedere all’affidamento di servizi senza gara. Più in particolare è necessario che:
Nella gestione in house il soggetto affidatario è sicuramente terzo rispetto al committente, proprio perché dotato di personalità giuridica autonoma. Tale autonomia è però solo ed esclusivamente formale. Il committente, infatti, deve avere sull’affidatario un potere di controllo e direzione talmente penetrante da annullare ogni autonomia e discrezionalità, quanto meno in relazione ai più importanti atti di gestione.
Il soggetto affidatario è quindi una sorta di longa manus del committente: deve realizzare la parte più importante della sua attività secondo le indicazioni del committente, deve limitare la sua attività all’interno dell’ambito territoriale di competenza dell’affidante e deve sottostare al puntuale controllo di quest’ultimo.
Un tanto ha portato la Corte di giustizia europea ad escludere dall’affidamento in house qualsiasi società mista, anche quelle con una minima percentuale di partecipazione privata (2). E ciò per un duplice ordine di motivi: in primo luogo, perchè la presenza di un soggetto privato implica inevitabilmente il perseguimento nell’attività sociale dello scopo di lucro – inconciliabile con l’interesse pubblico; quindi, perché in una tale fattispecie il committente pubblico non avrebbe la possibilità di esercitare un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi, pena una violazione della libera concorrenza e del libero mercato, principi che invece sono meritevoli della più ampia tutela.
Tanto premesso in termini generali, è opportuno precisare che l’affidamento in house può assumere due diverse configurazioni.
La prima, che potremmo definire di in house providing in senso stretto, e che rappresenta anche l’ipotesi più frequente, ricorre allorchè la Pubblica Amministrazione committente affida il servizio ad un soggetto facente parte della sua stessa struttura organizzativa.
La seconda, che rappresenta la fattispecie meno ricorrente nonché quella più complessa, si configura qualora l’affidamento del servizio avvenga a favore di una diversa struttura amministrativa ovvero di un soggetto da quest’ultima controllato.
In entrambi i casi, comunque, è sempre necessario che l’affidatario sia un soggetto di diritto pubblico e che non sia in una posizione di sostanziale terzietà rispetto alla Pubblica Amministrazione.
L’affidamento ad agenzia delle entrate - Riscossione
Come già anticipato, a decorrere dal 1° luglio 2017 i Comuni hanno la possibilità di affidare in via diretta, previa opportuna delibera, il servizio di riscossione ad Agenzia delle Entrate – Riscossione.
Nel valutare l’opportunità di una tale scelta, è doveroso ricordare che con la Legge di Bilancio 2022 è stato riformato il sistema di remunerazione del servizio nazionale di riscossione.
Per i carichi affidati ad Agenzia delle Entrate – Riscossione, e riportati sia nei ruoli sia negli avvisi di accertamento esecutivo, a decorrere dal 1° gennaio 2022 sono stati eliminati gli oneri di riscossione, i cd. aggi, precedentemente a carico del contribuente o parzialmente dell’ente creditore.
E’ poi venuta meno, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2022, l’obbligo da parte degli enti creditori di rimborsare ad Agenzia delle Entrate – Riscossione le spese relative alle procedure esecutive e alla notifica delle cartelle di pagamento non riscosse dal contribuente.
Parallelamente, è stato previsto uno stanziamento annuale a carico del bilancio statale con le risorse necessarie a coprire gli oneri di funzionamento del servizio nazionale di riscossione.
Pertanto, come ben chiarito dall’Agenzia dele Entrate sul suo sito web, per i carichi affidati ad Agenzia delle Entrate – Riscossione a decorrere dal 1° gennaio 2022, rimangono a carico del solo contribuente:
A carico degli Enti locali rimane invece:
Tutte le predette quote, unitamente agli aggi riscossi sui carichi affidati fino al 31 dicembre 2021, sono riversate al bilancio statale, a parziale copertura degli oneri di funzionamento di Agenzia delle Entrate – Riscossione.
L’affidamento a terzi tramite procedure ad evidenza pubblica
Da ultimo è possibile per gli Enti locali affidare il servizio di riscossione ai soggetti di cui all’art. 53 del D.L.vo n. 446/1997 (3).
Trattasi di soggetti privati che hanno ottenuto l’iscrizione all’apposito albo istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Un’apposita commissione è delegata ad effettuare l’esame delle domande di iscrizione e la revisione periodica, a prevedere la eventuale cancellazione e sospensione dall’albo, nonchè la revoca e la decadenza dalla gestione.
Ai fini dell’iscrizione è necessario il possesso di determinati requisiti, da ultimo individuati dal D.M. n. 101/20222.
Come più precisamente indicato nell’art 2 del decreto, nell’albo possono essere iscritti:
“a) le società di capitale aventi per oggetto la gestione delle attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate degli enti locali, nonché le società di capitale che svolgono esclusivamente le funzioni e le attività di supporto propedeutiche all’accertamento e alla riscossione delle entrate degli enti locali e delle società da essi partecipate:
1) i cui soci non esercitano il controllo ai sensi dell’articolo 2359, commi primo e secondo del codice civile, nei confronti di altri soggetti iscritti nell’albo;
2) i cui soci non effettuano l’attività di commercializzazione della pubblicità;
3) che non siano controllate da società che svolgono l’attività di cui al n. 2);
b) le società di cui all’articolo 52, comma 5, lettera b), numero 4), del decreto legislativo n.446 del 1997.”
Si precisa che nell’albo possono essere iscritti gli operatori degli Stati membri stabiliti in un Paese dell’Unione europea che esercitano le attività di cui ai commi 1 e 3 del predetto art. 2 del D.M. nonché le società a capitale interamente pubblico, di cui all’articolo 52, comma 5, lettera b), numero 3), del D.L.vo n. 446 del 1997.
In aggiunta, è richiesta la sussistenza di un capitale sociale minimo, interamente versato (art. 6), la presenza di un idoneo apparato organizzativo e di idonei strumenti informativi (art. 7), il ricorrere di requisiti di onorabilità in capo ai soci e ai titolari di cariche sociali (art. 8) e l’assenza di cause di incompatibilità (art 9 D.M. n. 101/2022).
Gli Enti locali devono procedere all’affidamento ai suindicati soggetti tramite una procedura ad evidenza pubblica, che si conclude con la stipula di un contratto, nel caso specifico di appalto.
La Pubblica Amministrazione può infatti perseguire i propri fini istituzionali tramite strumenti di diritto privato ma, per farlo, deve pur sempre garantire assoluta imparzialità ed evitare qualsivoglia partigianeria nella scelta del proprio contraente.
L’Ente locale deve pertanto dare ampia pubblicità alla propria decisione di stipulare un contratto d’appalto, al fine di garantire la trasparenza e la libertà di accesso a tutti i potenziali partecipanti.
In primo luogo, quindi, l’Amministrazione emana un provvedimento in cui rappresenta l’oggetto contrattuale, le sue valutazioni e motivazioni, nonché la procedura prescelta (procedura aperta, procedura ristretta, procedura negoziata, dialogo competitivo). Segue quindi un avviso, il cui regime di pubblicità varia a seconda della procedura scelta, che contiene l’indicazione dell’oggetto contrattuale, dei requisiti di ammissione e dei criteri di aggiudicazione.
L’Ente locale procede quindi ad esaminare le domande presentate e predispone una graduatoria. Da ultimo, l’Ente può procedere alla stipula del contratto con il primo soggetto in graduatoria.
Articolo di Lorella Martini
(1) Trattasi della sentenza del 18.11.1999 nota come “Sentenza Teckal”.
(2) Così nella sentenza del 11.01.2005.
(3) Il menzionato art. 53, intitolato “Albo per l'accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali”, così recita:
“1. Presso il Ministero delle finanze è istituito l'albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni. Sono escluse le attività di incasso diretto da parte dei soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), numeri 1), 2) e 4).
2. L'esame delle domande di iscrizione, la revisione periodica, la cancellazione e la sospensione dall'albo, la revoca e la decadenza della gestione sono effettuate da una apposita commissione in cui sia prevista una adeguata rappresentanza dell'ANCI e dell'UPI.
3. Con decreti del Ministro delle finanze, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, tenuto conto delle esigenze di trasparenza e di tutela del pubblico interesse, sentita la conferenza Stato città, sono definiti le condizioni ed i requisiti per l'iscrizione nell'albo, al fine di assicurare il possesso di adeguati requisiti tecnici e finanziari, la sussistenza di sufficienti requisiti morali e l'assenza di cause di incompatibilità da parte degli iscritti, ed emanate disposizioni in ordine alla composizione, al funzionamento e alla durata in carica dei componenti della commissione di cui al comma 2, alla tenuta dell'albo, alle modalità per l'iscrizione e la verifica dei presupposti per la sospensione e la cancellazione dall'albo nonchè ai casi di revoca e decadenza della gestione. Per i soggetti affidatari di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e altre entrate degli enti locali, che svolgano i predetti servizi almeno dal 1 gennaio 1997, può essere stabilito un periodo transitorio, non superiore a due anni, per l'adeguamento alle condizioni e ai requisiti per l'iscrizione nell'albo suddetto.
[…]”
--> Per approfondire l'argomento si rinvia all'articolo L’impo-esazione: dall’ingiunzione di pagamento all’attuale accertamento della Dott.ssa Lorella Martini.
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