La Rivista del Sindaco


Errori comuni nelle progressioni verticali

Le particolarità di una procedura comparativa riservata al personale interno degli Enti Locali
Approfondimenti
di Oliveri Luigi
27 Marzo 2024

 

Anche le progressioni verticali sono la fonte di un rilevante contenzioso giurisdizionale, sebbene di molto inferiore a quello delle progressioni orizzontali.
La ricognizione delle vertenze, di competenza dei Tar, evidenzia una serie di malintesi e di equivoci relativi tanto alla procedura, quanto allo stesso inquadramento dell’istituto. La risultante è, spesso, costituita da atti e scelte illegittimi, per altro ben oltre lo spettro delle eventuali sentenze di illegittimità dei giudici
L’insieme dell’analisi complessiva evidenzia per l’ennesima volta il problema fondamentale che affligge la correttezza dell’azione amministrativa: l’assenza di un efficiente filtro di controlli preventivi di legittimità che, se ben organizzato, potrebbe evitare sul nascere atti affetti da chiari vizi e deflazionare il contenzioso in modo radicale.

Potestà regolamentare
Un primo problema molto grave è rappresentato dalla corretta perimetrazione dell’esercizio della potestà regolamentare in merito alle progressioni verticali.
In primo luogo, occorre domandarsi se le amministrazioni pubbliche, e in particolare quelle locali, in tale ambito dispongano di tale potestà.
In tema, l’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001 non si pronuncia espressamente, ma è comunque utile a rispondere al quesito: “Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all'accesso dall'esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull'assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso all'area dall'esterno, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti”.

La norma continua a regolare, sia pure non più mediante concorso pubblico con riserva di posti, bensì mediante procedura comparativa riservata ai dipendenti dell’amministrazione precedente, un vero e proprio accesso agli impieghi.
Conseguentemente, si tratta di una delle materie vietate alla contrattazione collettiva dall’articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001, in combinato disposto con l’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 421/1992. Il primo dispone: “La contrattazione collettiva disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali e si svolge con le modalità previste dal presente decreto. Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità, la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge. Sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell'articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421”. Il secondo contempla al n. 4) dell’elenco delle materie rimaste sottratte alla contrattazione “i procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro”.

La progressione verticale è una novazione oggettiva del rapporto di lavoro, da cui dipende un nuovo inquadramento e cioè un nuovo rapporto di lavoro del dipendente che la ottenga: pertanto è un procedimento di accesso al lavoro, per quanto riservato a chi già sia un dipendente della PA decisa ad avvalersi della progressione verticale.
La risposta alla domanda se vi siano spazi per una potestà regolamentare è positiva. Le amministrazioni non avrebbero potuto dare corso ad una normativa secondaria solo se la materia fosse stata attribuita all’esclusiva competenza della contrattazione collettiva. Invece, poiché le progressioni verticali sono sorrette da una disciplina normativa pubblicistica e di tipo autoritativo, c’è uno spazio per i regolamenti.

L’ulteriore domanda da porsi è volta a comprendere quale spazio abbiano detti regolamenti.
Come tutti i regolamenti di spettanza delle autorità amministrative, quelli attinenti alla disciplina degli accessi agli impieghi sono una fonte subordinata alla legge. Pertanto, debbono necessariamente rispettare la legge e non solo: anche lo statuto dell’ente locale e, ovviamente, anche la Costituzione.
Non è dato spazio legittimo alcuno ai regolamenti di derogare alle previsioni normative o di interpolarle, introducendo discipline nuove e diverse, a meno che tale potere di integrazione non sia espressamente loro conferito dalle stesse leggi.
L’articolo 7, comma 1, del d.lgs 267/2000 espone abbastanza bene quanto sin qui affermato: “Nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dello statuto, il comune e la provincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza ed in particolare per l'organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l'esercizio delle funzioni”.

L’articolo 89, comma 3, del medesimo d.lgs 267/2000, con maggiore chiarezza, enuncia la necessaria dipendenza dei regolamenti dalle disposizioni del d.lgs 165/2001 (che ha assorbito il d.lgs 29/1993 citato dalla norma del Tuel): “I regolamenti di cui al comma 1, nella definizione delle procedure per le assunzioni, fanno riferimento ai principi fissati dall'articolo 36 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni”.
Va tratta una prima conclusione: il regolamento, comunque sia qualificato da singolo ente, che disciplina le progressioni verticali non ha nessun potere legittimo di derogare, modificare o integrare quanto previsto dall’articolo 52, comma 1-bis, in merito.
Questa constatazione è alla base per esaminare fattispecie come:

  • le prove selettive;
  • i titoli di studio da considerare;
  • i punteggi da attribuire;
  • l’efficacia della graduatoria e lo scorrimento.

Prove selettive
In quanto alle prove selettive, è registrata nei fatti la tendenza molto diffusa delle amministrazioni ad introdurre scritti e orali a “completamento” del percorso di individuazione dei dipendenti da reinquadrare nell’area superiore.
Attraverso i regolamenti di disciplina delle progressioni verticali, oppure direttamente con la “lex specialis”, cioè il bando o avviso di selezione, si stabilisce la sottoposizione dei candidati a prove scritte, orali e talora anche di carattere tecnico pratico.
Si tratta di un vizio di legittimità molto evidente. I regolamenti delle amministrazioni hanno solo il potere di attuare e dettagliare le disposizioni normative in materia di accesso agli impieghi, senza alcuna legittima possibilità di derogare, modificare ed integrare.
Le progressioni verticali, a ben vedere, sono una fattispecie ben diversa dai concorsi pubblici e vanno trattate, dunque, alla luce della loro specialità e con piena consapevolezza di questo aspetto.
Il Tar Sicilia, Catania, Sezione III, sentenza 3.1.2024, n. 12, cita il parere della Funzione Pubblica FP-0066005-P6/10/2021, secondo cui “La volontà del legislatore è, quindi, quella di ancorare il percorso di crescita per gli interni all’amministrazione ad una serie di parametri rappresentativi del possesso di un livello professionale la cui adeguatezza, in assenza del meccanismo concorsuale, viene assicurata attraverso l’individuazione di una serie di requisiti, anche superiori a quelli richiesti per l’accesso dall’esterno, che rendono attivabile il percorso di sviluppo professionale delineato dalla norma”, e si chiarisce che la norma richiede, ai fini della procedura comparativa, tra gli altri, il parametro del “possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso all'area dall'esterno”

L’effetto della novella all’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001 da parte del d.l. 80/2021 è inequivocabile: le progressioni verticali sono fattispecie altra e diversa da quella dei concorsi. Dunque, non possono essere legittimamente disciplinate come se si trattasse ancora di prove concorsuali.
In particolare, non è consentito introdurre modalità selettive ulteriori e diverse da quelle specificate dalla norma, che ha esaurito la materia, impedendo qualsiasi sua interpolazione. Le selezioni avvengono mediante procedura comparativa e in base a 4 valutazioni:

  1. valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio;
  2. assenza di provvedimenti disciplinari;
  3. possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studi ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso all'area dall'esterno;
  4. numero e tipologia degli incarichi rivestiti.

Si tratta di un’elencazione tassativa ed esaustiva degli elementi attraverso i quali effettuare la selezione, tale da non ammettere l’integrazione con prove di nessun altro tipo, né scritte, né orali, né pratiche.
La legge prevede una comparazione fondata solo su elementi documentali, tratti con ogni evidenza dal fascicolo personale dei candidati. Le commissioni sono, quindi, chiamate esclusivamente a valutare quanto emerge dalle evidenze documentali, senza allestire nessuna prova.
La differenza radicale tra progressioni verticali e concorsi è evidenziata in modo molto netto dal Tar Lombardia, Milano, Sezione IV, 15.1.2024, n. 87, ove si sancisce: Le progressioni verticali divergono sul piano ontologico dal modello del concorso pubblico, che rappresenta la modalità ordinaria per il reclutamento del personale alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, in conformità con il canone di cui all’art. 97 della Carta costituzionale. Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, alle procedure in questione non si applicano le disposizioni che disciplinano i concorsi pubblici”.
Non c’è nessun parallelismo tra modalità selettive, compiti delle commissioni e composizione delle stesse commissioni.

Aggiunge il Tar Campania Salerno, Sezione III, con sentenza 21.2.2024, n. 488 che “In una selezione per progressione verticale” i componenti della commissione debbono “valutare unicamente i titoli dei candidati sulla base di punteggi vincolati e non anche prove scritte e/o orali”.

Titoli di studio
In quanto ai titoli di studio, l’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001 appare tranciante: le progressioni verticali sono in concorrenza ed in alternativa con i concorsi pubblici, perché si consente di coprire il 50% dei fabbisogni degli enti senza aprire opportunità al “mercato”. Per tali ragioni, sono rivolte necessariamente a dipendenti interni che in via retrospettiva le amministrazioni abbiano già avuto modo di valutare come potenzialmente capaci di svolgere efficacemente le mansioni proprie dell’inquadramento in una categoria superiore.
Tale valutazione retrospettiva:

  • non può che partire dalla ricognizione del possesso del titolo di studio che sarebbe stato necessario se il dipendente avesse partecipato ad una procedura concorsuale pubblica: è assurdo consentire una progressione verticale a chi nemmeno potrebbe concorrere (da qui una delle ragioni di profonda illegittimità dei contratti collettivi nazionali del 2022, che travisando gravemente le disposizioni dell’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001, hanno introdotto progressioni verticali per dipendenti privi dei necessari titoli di studio di accesso dall’esterno);
  • deve tenere conto di titoli ovviamente pertinenti alle mansioni da svolgere;
  • deve verificare la sussistenza anche di titoli ulteriori rispetti a quelli per l’ammissione ai concorsi. La progressione verticale, infatti, proprio perché non è un concorso, ma una procedura comparativa riservata solo a personale interno, deve a monte riservarsi solo a dipendenti in possesso di titoli particolarmente elevati, situazione soggettiva tale da giustificare il reclutamento mediante valorizzazione dei dipendenti interni, invece che mediante concorso pubblico.

In troppi dimenticano che un dipendente della PA perché sia “valorizzato” non basta abbia adempiuto, anche con competenza, al proprio lavoro. Per quanto encomiabile, ciò rientra esattamente nelle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro. La “valorizzazione” dovrebbe essere frutto della valutazione di un certo percorso lavorativo, nel quale il dipendente abbia mostrato capacità e competenze anche maggiori rispetto a quelle mediamente necessarie per l’espletamento delle mansioni cui è adibito. Una progressione verso l’alto si giustifica, infatti, in virtù del convincimento che il lavoratore sia realmente e concretamente capace di svolgere le nuove e superiori mansioni.
Le progressioni verticali nel lavoro pubblico sono ciò che sostituisce uno dei sistemi maggiormente funzionali per la “carriera” nel lavoro privato: il consolidamento delle mansioni superiori. 
E’ del tutto congruo, allora, che tra gli elementi di valutazione vi sia non l’attribuzione di punteggi per il possesso del titolo di studio necessario in caso di accesso dall’esterno: questo è un requisito soggettivo da considerare di mera ammissibilità alla procedura e improduttivo di punteggi.
Infatti, ciò che la norma consente di valutare è il “possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso all'area dall'esterno”.

Non si deve dimenticare che chi dipenda già da una PA ha comunque una possibilità in più di ascendere ad inquadramenti superiori. Mentre il cittadino qualunque può solo accedere per concorso pubblico, il dipendente della PA può anche valersi della progressione verticale. Giusto, allora, che per questa procedura, chiusa e riservata, si evidenzino titoli e competenze fuori dall’ordinario.

La sentenza del Tar Sicilia, Catania, Sez. III, 3.1.2024, n. 12, in estrema sintesi, rigetta il ricorso presentato da una dipendente, laureata in scienze biologiche e naturali, avverso il provvedimento che non l’ha ammessa ad una procedura di progressione verticale per accedere all’area Funzionari nel profilo giuridico amministrativo o contabile. La ricorrente si doleva della circostanza che la normativa selettiva aveva appunto richiesto per la partecipazione titoli molto precisi e connessi strettamente alle competenze specifiche del profilo di inquadramento.
Secondo la prospettazione del ricorso, invece, l’ente avrebbe dovuto comunque aprire la procedura a chiunque disponesse di laurea; anzi, la circostanza che successivamente all’indizione della procedura fosse divenuto efficace l’articolo 13, comma 6, del Ccnl 16.11.2022, ai sensi del quale sono possibili progressioni verticali anche a chi non possieda il titolo per accedere dall’esterno, avrebbe viziato la decisione di escluderla.
Il Tar ha rigettato totalmente ogni prospettazione, sottolineando che “Nessun dubbio può residuare, conseguentemente, in ordine al fatto che la discrezionalità riconosciuta dalla norma alle amministrazioni con riferimento alla possibilità di graduare e declinare in autonomia i titoli e le competenze professionali richiesti ai fini della progressione verticale interna riguardi “titoli di studio ulteriori rispetto a quelli validi per l’accesso all’area dall’esterno”.
E’ da precisare, comunque, che il Tar non ha censurato la circostanza che nel caso di specie il bando di concorso aveva previsto anche punteggi per il solo titolo di ammissione.

La sentenza, come ricordato sopra, ha richiamato il già citato parere della Funzione Pubblica DFP-0066005-P6/10/2021, il quale in merito ai titoli precisa: “Da quanto detto discende che, in sede applicativa, le stesse amministrazioni procedenti potranno programmare il ricorso alla procedura comparativa per la copertura di più elevati fabbisogni professionali adattandola alle proprie esigenze, ossia declinando in autonomia con propri atti i titoli e le competenze professionali (a titolo esemplificativo il possesso di abilitazioni professionali non richieste ai fini dell’accesso) nonché i titoli di studio ulteriori rispetto a quelli validi per l’accesso all’area dall’esterno (lauree, master, specializzazioni, dottorati di ricerca, corsi con esame finale) ritenuti maggiormente utili - per l’attinenza con le posizioni da coprire previste dall’ordinamento professionale vigente al proprio interno, sulla base del contratto collettivo di riferimento e con le attività istituzionali affidate – ai fini del superamento della procedura comparativa e funzionali al miglioramento dell’efficienza dell’amministrazione, assegnando - ove possibile - anche il relativo punteggio”.
Come logico, non solo le PA debbono premiare non professionalità ordinarie (a nulla valendo l’anzianità, ad esempio), ma quelle di particolare rilievo, come attestate da titoli “ulteriori” a quelli per l’accesso tramite concorsi, purchè comunque attinenti a profilo e mansioni da coprire. Altrimenti, la progressione verticale si rivelerebbe semplicemente un premio individuale, totalmente slegato da esigenze organizzative, che invece sono alla base della scelta della PA di escutere questo sistema di reclutamento invece del concorso pubblico.

Punteggi da attribuire
S’è visto che i regolamenti non possono legittimamente introdurre prove non previste dalla legge.
Lo spazio proprio della regolamentazione consiste in particolare proprio nella disciplina dei punteggi.
Ferme restando le 4 aree di comparazione viste prima, spetta proprio al regolamento stabilire come distribuire i pesi dei punteggi, in scale da 10 a 100, in modo da guidare l’operato della commissione che, poiché non valuta prove, ma compara evidenze documentate, deve agire attribuendo punteggi definiti in modo vincolante dalla regolamentazione, come chiarito dal già citato Tar Campania-Salerno, 488/2024.
Il regolamento, dunque, ha il compito di disaggregare i 4 ambiti di valutazione, fissando i pesi ponderali complessivi. Ad esempio:

Criterio generale

Sub criteri

Punteggi

Punteggio max

valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio

   

40

 

100

40

 
 

75-99

30

 
 

65-74

20

 
 

60-64

10

 
 

<60

0

 

assenza di provvedimenti disciplinari

   

0

 

nessuno

0

 
 

fino a 2 censure

-10

 
 

3 censure e 1 multa

-15

 
 

sospensione con privazione retribuzione fino a 10 gg

-25

 
 

sospensione con privazione retribuzione oltre 10 gg

-80

 

possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso all'area dall'esterno

Per accesso a Funzionari

 

30

 

No

0

 
 

Master 1° liv

10

 
 

Master 2° liv.

15

 
 

Abilitazione professionale

5

 
 

Esperienza professionale di almeno 3 anni

5

 

numero e tipologia degli incarichi rivestiti

     
 

Almeno 6 mesi di mansioni superiori nel profilo di destinazione

15

30

 

Almeno 3 incarichi di responsabile procedimento complesso

10

 
 

Incarico di coordinatore gruppi di lavoro e progetti

5

 

TOTALE

   

100

 


Efficacia della graduatoria e suo scorrimento
Le progressioni verticali non sono concorsi e non possono essere assimilate a questi in alcun modo.
Ciò vale anche per gli effetti delle progressioni. Esse danno, evidentemente, luogo ad una graduatoria: trattandosi di una comparazione selettiva, la commissione deve necessariamente mettere in fila le valutazioni compiute e così collocare coloro che hanno ottenuto le migliori valutazioni nei posti corrispondenti a quelli messi in palio dal bando.
La progressione verticale, comunque, esaurisce totalmente i propri effetti con l’assunzione di chi sia stato selezionato.
La graduatoria, quindi, perde efficacia e non costituisce alcuna posizione di idonei. Chi non è selezionato, non possiede in termini assoluti le esperienze e competenze necessarie per la verticalizzazione: questa è la logica di tale particolare procedura.
Lo conferma in maniera chiarissima il già citato Tar Lombardia Milano, Sezione IV, 15.1.2024, n. 87.

I giudici stabiliscono, condivisibilmente: “Secondo consolidati orientamenti giurisprudenziali, da cui il Collegio non rinviene motivo per discostarsi, “è pur vero che l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (28 luglio 2011, n. 14) ha sottolineato come «l’ordinamento attuale afferma un generale favore per l’utilizzazione delle graduatorie degli idonei, che recede solo in presenza di speciali discipline di settore o di particolari circostanze di fatto o di ragioni di interesse pubblico prevalenti, che devono, comunque, essere puntualmente enucleate nel provvedimento di indizione del nuovo concorso». Lo scorrimento delle graduatorie ancora valide ed efficaci costituisce «la regola generale, mentre l'indizione del nuovo concorso costituisce l'eccezione e richiede un'apposita e approfondita motivazione». Tuttavia, il principio così affermato vale per le graduatorie che (tutte) costituiscono l’esito di un concorso pubblico, non per le graduatorie che scaturiscono da procedure selettive interne e riservate, data la disomogeneità tra i due termini di comparazione (progressione verticale in base a procedura interna e pubblico concorso) che comporterebbe la elusione della regola costituzionale del pubblico concorso” (cfr. Cons. di Stato, Sez, V, 17.05.2023, n. 4923)”.

Sempre il Tar citato chiarisce che il principio di preferenza per lo scorrimento delle graduatorie ancora in corso di validità al momento dell’assunzione del personale da reclutare si riferisce esclusivamente alle procedure d’accesso al pubblico impiego aperte alla generalità di coloro che siano in possesso dei requisiti culturali e di esperienza professionale previsti dal bando, “non anche a quelle che, come nella fattispecie, sono circoscritte ai soli dipendenti dell’amministrazione presso cui è espletato il concorso (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II stralcio, 12.01.2023, n. 499)”.


Articolo di Luigi Oliveri


--> Per approfondire l'argomento si rinvia all'articolo Le progressioni orizzontali del Dottor Luigi Oliveri.


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