La Rivista del Sindaco


La legittimità degli incarichi ex art. 110 TUEL a propri dipendenti

Motivazioni giuridiche e fattispecie specifiche
Approfondimenti
di Oliveri Luigi
02 Novembre 2023

Una prassi diffusa quanto discutibile
Tra assegnazione di incarichi ai sensi dell’articolo 110 e ai sensi dell’articolo 90 del Tuel (con incursioni anche nell’articolo 108), la prassi molto diffusa negli enti locali è quella di attribuire gli incarichi a contratto o nello staff a propri dipendenti, previa loro collocazione in aspettativa.
La conseguenza è che un medesimo ente locale conduce con uno stesso dipendente due distinti rapporti di lavoro contemporanei, dei quali:

  • uno quiescente, oggetto dell’aspettativa e generalmente caratterizzato da una qualificazione e da un trattamento stipendiale inferiore a quello oggetto dell’incarico;
  • uno attivo, frutto dell’assegnazione dell’incarico a contratto o in staff, generalmente con un inquadramento giuridico ed un trattamento economico maggiore di quello connesso al rapporto di lavoro messo in quiescenza a seguito della collocazione in aspettativa.

La prassi, per quanto diffusa, può considerarsi pienamente corretta? La risposta a questa domanda è articolata, ma in linea tendenziale è negativa.
Dovrebbe risultare oggettivamente evidente l’insostenibilità, logica prima ancora che giuridica, della contemporanea conduzione di due diversi rapporti di lavoro del medesimo lavoratore col medesimo datore.
Esistono, in ogni caso, nell’ordinamento chiari principi e norme di dettaglio tali da lasciar considerare l’ipotesi della convivenza tra un rapporto in aspettativa ed un altro attivo come ipotesi assolutamente eccezionale, residuale, straordinaria e recessiva.

Gli impieghi non sono cumulabili
Un primo chiarissimo ostacolo alla contemporanea conduzione di due distinti rapporti di lavoro discende:

  1. dall’articolo 53, comma 1, del D.Lgs. 165/2001, che richiama il D.P.R. 3/1957: “Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del D.P.C.M. 17 marzo 1989, n. 117 e dagli articoli 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, all'articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, all'articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina”;
  2. dall’articolo 65 del D.P.R. 3/1957, fonte del divieto di cumulo di rapporti di lavoro pubblico: “Gli impieghi pubblici non sono cumulabili, salvo le eccezioni stabilite da leggi speciali. I capi di ufficio, di istituti o di aziende e stabilimenti pubblici sono tenuti, sotto la loro personale responsabilità, a riferire al Ministro competente, il quale ne dà notizia alla Corte dei conti, i casi di cumulo di impieghi riguardanti il dipendente personale. L'assunzione di altro impiego nei casi in cui la legge non consente il cumulo importa di diritto la cessazione dall'impiego precedente, salva la concessione del trattamento di quiescenza eventualmente spettante, ai sensi dell'art. 125, alla data di assunzione del nuovo impiego”.

Pertanto, è assodato che:

  1. gli impieghi pubblici non sono cumulabili;
  2. l’eccezione a tale divieto deve essere stabilita da leggi speciali e, pertanto:
  • si deve trattare di eccezioni espresse (stabilite);
  • frutto di leggi particolari, che disciplinino presupposti e condizioni per costituire l’eccezione al divieto di cumulo.

Una prima conclusione, allora, va tratta: è erronea ogni tesi volta a rinvenire nell’ordinamento un generale “diritto” del lavoratore o del datore a cumulare in capo al medesimo dipendente più rapporti di lavoro, in base a valutazioni anche di opportunità organizzativa. Il cumulo è sempre vietato, tranne tassativi casi nei quali l’eccezione sia espressamente considerata e consentita, ovviamente nel rispetto delle condizioni poste.
Si analizzi, allora, quanto prevede l’articolo 90 del D.Lgs. 267/2000:
“1. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del Sindaco, del Presidente della provincia, della Giunta o degli Assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell'ente, ovvero, salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato, i quali, se dipendenti da una pubblica amministrazione, sono collocati in aspettativa senza assegni.
2. Al personale assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali.
3. Con provvedimento motivato della Giunta, al personale di cui al comma 2 il trattamento economico accessorio previsto dai contratti collettivi può essere sostituito da un unico emolumento comprensivo dei compensi per il lavoro straordinario, per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale.
3-bis. Resta fermo il divieto di effettuazione di attività gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico, prescindendo dal possesso del titolo di studio, è parametrato a quello dirigenziale”.

La posizione della più recente giurisprudenza, contraria al cumulo: le motivazioni
La norma, per come di recente interpretata dalla condivisibile ordinanza della Cassazione Sezione Lavoro, 18 ottobre 2023, n. 28918 e dalla sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per il Veneto, 9 ottobre 2023, n. 114:

- prevede che gli uffici di staff siano costituiti in via prioritaria da dipendenti facenti parte dell’organico dell’ente;

  • conseguentemente, per assumere dipendenti dall’esterno, occorre la verifica che nell’organico manchino le disponibilità (per carichi di lavoro, competenze e dimostrate cause che impediscano la costituzione di un rapporto di fiducia con gli organi di governo);
  • consente di reclutare personale al di fuori della dotazione organica dell’ente;
  • permette di collocare in aspettativa il personale assunto appositamente, se dipendente di una Pubblica Amministrazione;
  • riserva la collocazione in aspettativa a dipendenti di una P.A. diversa da quella che conferisce l’incarico.

L’ultima affermazione contenuta nella lettera d) del precedente elenco è diretta conseguenza della lettera a): poiché l’ente deve in via prioritaria costituire l’ufficio con personale in dotazione, se assume i dipendenti da adibire allo staff è perché ha valutato non sussistere al proprio interno dipendenti a ciò idonei.
È, quindi, platealmente un assurdo assumere con un nuovo contratto di lavoro a tempo determinato una persona che risulti già dipendente dell’ente, perché:

  • se l’incarico nello staff ricade su un dipendente dell’organico è perché, allora, si è considerato che in detto organico esiste già personale adeguato e, quindi, non si ha alcuna titolarità a porre in essere una novazione del rapporto di lavoro in essere, previa aspettativa;
  • se l’incarico nello staff avviene con la stipulazione di un contratto di lavoro, questo non può che riguardare una persona non appartenente all’organico, reclutata appositamente per rimediare alle carenze.

L’aspettativa, quindi, si dimostra poter essere chiesta non da un dipendente del medesimo ente locale che intende costituire l’ufficio di staff, bensì da un dipendente proveniente da altra e diversa amministrazione.
Si afferma, da parte degli osservatori e degli operatori, che tuttavia l’incarico nello staff può comportare in capo al destinatario competenze ulteriori e diverse ed un carico orario anche maggiore dell’ordinario.
In ipotesi, a parità di inquadramento, si ponga nell’area dei Funzionari, le attività nell’ufficio di diretta collaborazione del Sindaco possono comportare assunzione di particolari responsabilità in archi lavorativi molto ampi.
Proprio per queste ragioni, gli enti sono propensi ad attivare la collocazione in aspettativa dei propri dipendenti da inserire nell’ufficio di staff, per sottoscrivere con essi un nuovo contratto con inquadramento contrattuale superiore e maggiore trattamento economico.
Ma, si tratta di un’operazione non solo in conflitto con la chiara impossibilità di violare il divieto di cumulo di rapporti di lavoro, che nel caso dell’articolo 90 non trova l’eccezione espressa richiesta dall’articolo 65 del D.P.R. 3/1957, comunque oltre tutto inutile. Infatti, il dipendente parte della dotazione organica dell’ente locale inserito nell’ufficio di staff può essere destinatario della previsione del comma 3 dell’articolo 90 del TUEL. Quindi, è possibile una forfettizzazione del trattamento economico, comprendendovi i compensi per il lavoro straordinario, per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale.
In ogni caso, l’incarico nello staff non può essere veicolo per garantire una novazione temporanea e migliorativa del rapporto di lavoro. Le argomentazioni esposte dalla sentenza 114/2023 della Corte dei conti del Veneto appaiono convincenti, in quanto in linea con le previsioni normative citate prima:

1. “il caso previsto dalla seconda parte del terzo comma dell’art. 90 TUEL costituisce, in effetti, un’ipotesi legale di deroga, ma testualmente (la lettera della disposizione non offre spazio interpretativo alcuno: in claris non fit interpretatio) riservata ai soggetti titolari di contratto di lavoro dipendente con altra e diversa amministrazione, non essendo chiaramente necessario alcun collocamento in aspettativa per il soggetto che, invece, sia già dipendente dell’amministrazione presso cui è istituito l’ufficio di staff al quale deve essere assegnato”;

2. “ fermi i caratteri di “specialità” sopra individuati - alcuna disposizione “speciale” (e perciò derogatoria) autorizza, a monte, il collocamento in aspettativa di un dipendente di un Ente perché questi possa contrarre, con il medesimo Ente, un secondo contratto di lavoro subordinato, seppur (e a maggior ragione) per diverse mansioni e/o per un diverso trattamento economico a queste ultime correlato”;

3. “Contrariamente a quanto sostenuto dalle difese dei convenuti secondo cui, in assenza di specifico divieto, sarebbe assentita la possibilità della duplicazione del rapporto di lavoro con lo stesso soggetto pubblico con il ricorso all’istituto dell’aspettativa senza assegni, va ancora una volta sottolineato che l’ordinamento pone espressamente - ed è principio fondamentale in materia di pubblico impiego anche contrattualizzato - accanto al dovere di esclusività del dipendente pubblico, il corollario del divieto di cumulo di impieghi (salve, appunto, le deroghe espressamente previste dalla legge, di cui nel caso specifico non ricorrono i presupposti, come detto)”.

È bene, quindi, evidenziare che l’esegesi della sentenza della Sezione non porta a sussumere da questa principi generali; esattamente al contrario, è da evidenziare come sia la Corte dei conti ad aver correttamente regolato una questione di responsabilità applicando al caso concreto tanto le disposizioni di dettaglio, quanto i principi generali posti dalla legge.
Per quanto riguarda gli incarichi a contratto previsti dall’articolo 110 del TUEL, il riferimento alla possibilità dell’aspettativa si reperisce nel comma 5 di detta norma: “Per il periodo di durata degli incarichi di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo nonché dell’incarico di cui all’articolo 108, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio”.

La collocazione in aspettativa
La previsione citata è del tutto simmetrica a quella dell’articolo 90. Non si rinviene nessuna specifica ed espressa previsione che autorizzi l’ente a collocare in aspettativa un proprio dipendente, allo scopo di attivare con esso un nuovo rapporto di lavoro a termine. È, all’opposto, chiaro che il comma 5 dell’articolo 110 possa consentire (si badi: se l’amministrazione lo consente, l’aspettativa non è un diritto soggettivo del dipendente) la collocazione in aspettativa sempre per dipendenti di P.A. diverse da quella che intende conferire l’incarico a contratto.
Tuttavia, la disciplina dell’articolo 110 del TUEL non si regge da sola: gli incarichi a contratto negli enti locali sono disciplinati anche da quanto previsto dall’articolo 19, comma 6, del D.Lgs. 165/2001, il cui comma 6-ter è chiarissimo nel disporre che quanto previsto dal comma 6 si applichi a tutte le P.A., enti locali compresi.
Occorre allora, leggere con attenzione detto articolo 19, comma 6, disarticolando le disposizioni ivi contenute, così da rendere più fluida la comprensione:

1. Gli incarichi di cui ai commi da 1 a 5 possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, entro il limite del 10% della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all'articolo 23 e dell'8% della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, a tempo determinato ai soggetti indicati dal presente comma. Detta norma pone la possibilità di attribuire incarichi a contratto, fissando però un tetto massimo oltre il quale non è possibile andare;

2. La durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni.  Questa disposizione fissa la durata degli incarichi a contratto. Contrariamente all’erroneo filone giurisprudenziale purtroppo introdotto dalla sentenza, a sua volta gravemente erronea, della Corte di cassazione Sezione Lavoro 13 gennaio 2014, n. 478, come si nota non si prevede alcuna durata minima triennale (prevista, invece, nel comma 3 dell’articolo 19 per i soli dirigenti di ruolo), ma una durata massima quinquennale.

3. Tali incarichi sono conferiti, 

  • fornendone esplicita motivazione, 
  • a persone 

a) di particolare e comprovata qualificazione professionale, 

b) non rinvenibile nei ruoli dell'Amministrazione, 

  • che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, 
  • o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza, 
  • o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato. Questo è il cuore dell’articolo 19, comma 6, ove si fissano presupposti e condizioni oggettive e soggettive per il conferimento degli incarichi a contratto; come si nota, destinatario non può essere “chiunque”, ma solo chi possieda i particolari requisiti di professionalità delle tre tipologie individuate. Tra questi, possono esservi anche dipendenti della medesima amministrazione conferente l’incarico, ma a condizione che dispongano in ogni caso dei requisiti soggettivi imposti dalla norma: non basta, cioè, essere meramente dipendenti della PA conferente l’incarico, per essere idonei a riceverlo;        

4. Il trattamento economico può essere integrato da una indennità commisurata alla specifica qualificazione professionale, tenendo conto della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali.  La disposizione consente di attribuire trattamenti economici anche non fissati dai CCNL dei comparti pubblici.

5. Per il periodo di durata dell’incarico, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio. Questo quinto punto del comma 6 dell’articolo 19 è quello che interessa direttamente l’approfondimento proposto, in quanto si cita espressamente la possibilità (è sempre e solo una possibilità, non un diritto soggettivo) di collocare in aspettativa dipendenti della P.A. destinatari degli incarichi a contratto.
6. La formazione universitaria richiesta dal presente comma non può essere inferiore al possesso della laurea specialistica o magistrale ovvero del diploma di laurea conseguito secondo l'ordinamento didattico previgente al regolamento di cui al decreto del Ministro dell'università e dell'istruzione, dell'università e della ricerca e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509. 
Norma di opportuna esplicitazione della natura della formazione universitaria richiesta.

Ora, connettendo i precedenti punti 3-ii, 2 e 5 della precedente disarticolazione dell’articolo 19, comma 6, constatiamo la possibilità di collocare in aspettativa dipendenti della medesima amministrazione conferente l’incarico a contratto.

Deroga speciale e straordinaria
Dunque, si avvera la condizione posta dall’articolo 65 del D.P.R. 3/1957: c’è la norma speciale posta a consentire la deroga al divieto di cumulo di impieghi pubblici, mediante appunto la collocazione in aspettativa.
Ma, come rilevato sopra, tale deroga è molto ristretta al caso speciale di dipendente della medesima amministrazione conferente, che disponga dei requisiti soggettivi previsti dal comma 6 dell’articolo 19.
Insomma, la collocazione in aspettativa è in funzione della circostanza che quel dipendente sia un magistrato, un avvocato dello Stato, un docente universitario, un ricercatore universitario, oppure un dirigente privato o persona che abbia in passato occupato posizioni dirigenziali nel privato per almeno 5 anni; ma più verosimilmente un dipendente di una medesima P.A. conferente un incarico a contratto potrà legittimamente ottenere detto incarico, previa collocazione in aspettativa, se risulti effettivamente possedere quella “particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro” prevista dal comma 6.
Quindi, l’aspettativa è consentita non a qualsiasi dipendente dell’ente conferente l’incarico, ma solo a quel dipendente dotato delle particolari e speciali competenze imposte dal comma 6 dell’articolo 19.
Ciò conferma, quindi, l’impianto generale della normativa: non è consentito, dunque, collocare in aspettativa propri dipendenti da incaricare negli staff o con incarichi a contratto; unica eccezione si ha per il caso del combinato disposto degli articoli 110 del TUEL e 19, comma 6, del D.Lgs. 165/2001, purché il dipendente si dimostri possieda però i requisiti di particolarissima competenza imposti dalla norma, proprio perché la collocazione in aspettativa è deroga speciale e straordinaria all’assetto generale fissato dall’articolo 65 del D.M. 3/1957.

Articolo di Luigi Oliveri
 


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