Il silenzio assenso
Strumento di semplificazione amministrativa: condizioni ed esclusioni
Tra gli istituti di semplificazione amministrativa rientra anche il silenzio assenso, conformemente ai principi generali dell’attività amministrativa che impongono alla PA, al pari del privato, comportamenti improntati alla correttezza e alla buona fede, come, peraltro, oggi espressamente codificato dall’art. 1 della legge n. 241 del 1990 (comma 2-bis, inserito dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76 convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120).
In tale senso è stato ritenuto non conforme a detti principi un’eventuale, ingiustificata, attesa nell’avvio dell’istruttoria di una pratica, laddove la stessa non sia ad un primo esame del tutto priva dei requisiti minimi di esaminabilità in concreto. In questi casi, quindi, opera l’istituto de quo, decorrendo il termine di maturazione del silenzio assenso, ove previsto, ma a maggior ragione s’impone la successiva compressione dei tempi di chiusura del procedimento, “rimediando” per quanto possibile al pregresso colpevole ritardo nei confronti della legittima aspettativa del cittadino a conoscere il contenuto e le ragioni, qualunque esse siano, delle scelte dell’Amministrazione (Cons. Stato, Sez. II, sentenza n. 5072/2023). Diversamente – osserva la citata giurisprudenza – il cittadino “si ritroverebbe anacronisticamente relegato in un ruolo di suddito, continuamente esposto al rischio di vedersi procrastinare il dies a quo per consolidare la propria situazione, in sostanziale dispregio di qualsivoglia tentativo alleggerimento degli oneri e in totale antitesi con la stessa nozione di semplificazione o liberalizzazione delle attività economiche”.
Si tratta di una precisa scelta legislativa, dunque, finalizzata ad introdurre e via via potenziare strumenti e meccanismi di garanzia della certezza delle situazioni giuridiche, al fine di contrastare efficacemente le prassi distorte degli uffici, che spesso, facendosi schermo di una presunta incompletezza della pratica presentata, rivolgono al cittadino una serie di richieste aggiuntive, spesso distribuite nel tempo, con il solo effetto di procrastinare senza termine il perfezionamento del procedimento dallo stesso cittadino avviato.
La finalità acceleratoria dell’istituto
L’istituto del silenzio assenso costituisce un rimedio messo a disposizione dei cittadini a fronte della inerzia dell'Amministrazione con l’evidente scopo di assicurare la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi finalizzati al rilascio dei titoli edilizi, senza tuttavia sottrarre l'attività edilizia al controllo dell'amministrazione medesima che ha, a determinate condizioni, il potere di intervenire in autotutela sull'assetto di interessi formatosi “silenziosamente” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2022, n. 5746).
L’anzidetta finalità acceleratoria è comprovata dalla previsione introdotta all’art. 20 L. 241/1990 sia della c.d. “certificazione del silenzio” sia della sanzione d’inefficacia delle decisioni tardive rispetto alla significatività attribuita al decorso del tempo dal legislatore.
Nello stesso senso è stato affermato, a proposito dell’annullamento di DIA e SCIA edilizia, che "ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge", in quanto ammettere la possibilità di un provvedimento di diniego tardivo contrasterebbe con il principio di collaborazione e buona fede e, quindi, di tutela del legittimo affidamento cui sono informate le relazioni tra i cittadini e l’Amministrazione (Cons. Stato, sentenza n. 14 marzo 2023, n. 2661).
Al contrario, secondo orientamenti precedenti, la formazione del silenzio-assenso presuppone non solo il decorso del termine assegnato all'Amministrazione per la pronuncia esplicita, ma anche il ricorrere di tutte le condizioni e dei requisiti soggettivi ed oggettivi in capo al richiedente, con la conseguenza che non può ritenersi formato il silenzio-assenso e non può riscontrarsi alcun effetto abilitativo ove l’istanza non prospetti una condizione di piena conformità al paradigma legale e non ricorrano tutti gli elementi costitutivi della fattispecie (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22 gennaio 2021, n. 666).
L’ambito applicativo dell’istituto
L’art. 20 della L. 241/1990, a seguito dei vari interventi normativi nel corso del tempo (tra gli altri L. n. 69/2009, L. n. 221/2015, d.lgs. n. 126/2016 e L. n. 108/2021), dispone che, fatta salva l'applicazione dell'articolo 19 (Segnalazione certificata di inizio attività - SCIA), nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di trenta giorni, il provvedimento di diniego, ovvero non procede mediante indizione, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, di una conferenza di servizi anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati. Tali termini decorrono dalla data di ricevimento della domanda del privato.
L’attestazione o la dichiarazione sostitutiva dell’avvenuta formazione del silenzio assenso
È stabilito, inoltre - ai sensi dell'art. 62, comma 1, della legge n. 108/2021 - che nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l’amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell’intervenuto accoglimento della domanda. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l’attestazione è sostituita da una dichiarazione del privato ai sensi dell’art. 47 del d.p.r. n. 445/2000.
In ogni caso, anche il decorso del termine di 10 giorni non preclude al privato di poter pretendere dalla P.A. la dichiarazione anzidetta, atteso che l’autocertificazione sostitutiva non vale nei confronti dei privati e, comunque, non consente di conseguire la certezza, come bene della vita, perseguita dal privato. Altrimenti, quest’ultimo potrà agire innanzi al Giudice amministrativo, specie innanzi ad una soggettiva ed oggettiva incertezza, e quindi l’impossibilità di rendere la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà prevista dalla disposizione richiamata - implicante responsabilità penali - esigendo la certezza dei rapporti, da conseguire mediante l’espressa pronuncia dell’Amministrazione, ovvero del Giudice.
L’autotutela
Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies (revoca del provvedimento) e 21-nonies (annullamento d’ufficio) della L. 241/1990.
Le esclusioni
Le disposizioni predette non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti:
La sospensione dei termini del procedimento e il preavviso di rigetto
All’istituto del silenzio assenso si applica la sospensione dei termini, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.
Inoltre, è prevista l’applicazione della disposizione di cui all’art. 10-bis L. 241/90 integrante il c.d. preavviso di rigetto dell’istanza.
La tutela giurisdizionale
Ogni eventuale controversia relativa all'applicazione del silenzio assenso è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
In questo senso, l’art. 31 del Codice del Processo Amministrativo (d.lgs. n. 104/2010) disciplinando l’azione avverso il silenzio, dispone che, decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere.
L'azione può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.
Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione.
La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che l’amministrazione che non porti a conclusione il procedimento entro i termini di legge perpetua un illecito permanente.
Si è precisato che la decorrenza del termine annuale incide soltanto sul piano processuale, senza che si produca nessuna vicenda estintiva dell'interesse legittimo pretensivo sotteso all'iniziativa procedimentale di parte: pertanto, se tale situazione giuridica soggettiva persiste in capo al cittadino anche dopo un anno dalla formazione del silenzio-rifiuto, sussiste pure la legittimazione a riproporre l'istanza di avvio del procedimento e, conseguentemente, a promuovere l'azione avverso il silenzio.
Il rito del silenzio, quindi, non può essere utilizzato al fine di eludere i termini processuali decadenziali che sono volti a garantire la certezza delle situazioni giuridiche consolidate e per stimolare l’insorgenza di obblighi (ad esempio interventi in sede di autotutela), laddove questi siano insussistenti (TAR Lazio, Roma, sentenza n. 5828/2023).
Il silenzio assenso come istituto di carattere eccezionale
La ratio semplificatrice ed acceleratoria dell’istituto del silenzio-assenso non può far assurgere lo stesso a modalità “ordinaria” di svolgimento dell’azione amministrativa, posto che la regola aurea è il provvedimento espresso e motivato ai sensi dell’art. 3 L. 241/1990, ad adottare entro i termini di conclusione del procedimento a norma dell’art. 2 della legge citata.
In questo senso, comunque, è richiesto un reciproco comportamento collaborativo e diligente sia da parte della P.A. sia da parte del cittadino, a cui è richiesto un comportamento responsabile e collaborativo.
Da una parte, l’amministrazione è tenuta al rispetto delle scansioni procedurali previste da leggi e regolamenti e, ancor prima e a prescindere, ad un comportamento che non si palesi come inutilmente e immotivatamente dilatorio, seppure formalmente e astrattamente corretto; dall’altra, al cittadino è richiesto di evitare l’inoltro di istanze non conformi al paradigma procedimentale invocato (a mero titolo di esempio, all’utilizzo palesemente improprio di procedimenti dichiarativi, quali in particolare la CIL o la CILA).
Nel primo caso, il funzionario pubblico che contravverrà al paradigma legale s’imbatterà nelle responsabilità previste all’articolo 2 della legge 241/1990 secondo cui «la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente» (comma 9); nel secondo caso, il cittadino conseguirà un provvedimento di diniego o di rigetto.
I casi che legittimano il rigetto o l’integrazione dell’istanza: l’inconfigurabilità
Solo in precisi casi è legittimo il rigetto o la richiesta d’integrazione dell’istanza, quali quelli che determinano l’“inconfigurabilità” della domanda per inadeguatezza della documentazione a corredo e in tutte le situazioni di non rispondenza della richiesta neppure al “modello normativo astratto” prefigurato dal legislatore (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2022, n. 5746), cui possono essere ricondotte anche le ipotesi di totale inconsistenza della stessa, così da rendere impossibile l’individuazione a priori dello stesso oggetto dell’istanza.
L’“inconfigurabilità”, infatti, include, senza esaurirli, i casi di manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza delle istanze, che tuttavia non sarebbero esenti dall’obbligo di provvedere (sia pure redatto in forma semplificata), così come previsto in tal senso dall’art. 2, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
Il silenzio-assenso tra amministrazioni pubbliche
Nell’ottica della semplificazione amministrativa il Legislatore è intervenuto anche a disciplinare il silenzio nei rapporti tra PP.AA. In tal senso l’articolo 17-bis L. 241/1990 (introdotto dalla legge n. 124/2015 e modificato dalla legge n. 125/2020) estende l’istituto del silenzio-assenso anche a detti rapporti e a quelli relativi ai gestori di beni o servizi pubblici, disponendo che gli “atti di assenso, concerto o nulla osta comunque denominati” devono intendersi implicitamente acquisiti qualora siano decorsi trenta giorni dal ricevimento, da parte dell’Amministrazione procedente, dello schema del provvedimento, corredato della relativa documentazione, “senza che sia comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta” dell’amministrazione co-decidente
Il termine può essere interrotto una sola volta qualora vi siano esigenze istruttorie o richieste di modifica motivate e formulate in modo puntuale. In tal caso, l’assenso è reso nei trenta giorni successivi. Scaduto inutilmente anche tale termine, l’assenso si intende comunque acquisito.
Si tratta di un silenzio che si applica a tutte le amministrazioni, anche a quelle preposte alla tutela degli interessi “sensibili” (ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini). Tuttavia, a differenza con la previsione dell’art. 20 legge 241/1990, si tratta di un silenzio-assenso endoprocedimentale, perché opera all'interno di un procedimento, mentre il silenzio ex art. 20 cit. opera nei rapporti tra P.A. e privati, è qualificabile come silenzio provvedimentale ed investe anche le amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili.
Inoltre, il Consiglio di Stato nel parere n. 1640 del 13 luglio 2016 ha ritenuto che il citato art. 17-bis si applichi soltanto qualora l’ente procedente debba acquisire l’assenso di una sola amministrazione, mentre in tutti gli altri casi, ossia quando debbano essere acquisiti più atti di assenso da parte di diversi enti, troverà applicazione la disciplina della conferenza di servizi di cui alla L. 241/1990.
In merito all’applicabilità del meccanismo del silenzio assenso, di cui all’art. 17-bis della legge n. 241/1990, sussiste un articolato contrasto nella giurisprudenza amministrativa, laddove sono riscontrabili diversi orientamenti: ad es. un orientamento, di segno negativo, nel caso di provvedimento monostrutturato, essendo il relativo procedimento attivato ad istanza della parte privata interessata e non della P.A. procedente; un altro orientamento, di segno positivo “senza condizioni” all’applicabilità dell’istituto del silenzio assenso, invece, muove dalla considerazione per cui tutti i pareri vincolanti partecipano alla formazione di un provvedimento finale pluristrutturato, in quanto la decisione dell’amministrazione procedente richiede per legge l’assenso vincolante di un’altra amministrazione. A tali pareri, si applica pertanto l’art. 17-bis della legge n. 241/1990, diversamente che ai pareri consultivi (non vincolanti), che restano assoggettati alla disciplina di cui agli artt. 16 e 17.
Articolo di Eugenio De Carlo
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