La Rivista del Sindaco


La definizione di abitazione principale ai fini IMU

Indicazioni operative per l’applicazione della sentenza Corte Cost. n. 209/2022
Approfondimenti
di D'Aprano Luigi
02 Novembre 2022

 

Il quadro normativo e giurisprudenziale
Dopo anni di dibattiti, in varie sedi giurisprudenziali, giunge ormai al suo termine l’annosa vicenda della definizione di abitazione principale ai fini IMU. Con la nascita dell’IMU, avvenuta con l’art. 13 D.L. 201/2011, il riconoscimento dell’abitazione principale viene subordinato al duplice requisito della residenza e della dimora, sia del possessore che del suo nucleo familiare (coniuge). Unica eccezione disciplinata dalla medesima norma: il riconoscimento di almeno un’abitazione per i coniugi residenti in abitazioni ubicate nel medesimo comune.  
La giurisprudenza consolidata negli ultimi anni aveva correttamente interpretato le disposizioni legislative, escludendo il riconoscimento del beneficio per entrambi i coniugi non residenti in abitazioni ubicate in Comuni diversi. A scopo esemplificativo basti ricordare le ordinanze della Corte di Cassazione n. 4170/2020 e n. 4166/2020, e soprattutto la più recente n. 17408/2021 con la quale la Suprema Corte giungeva alla conclusione, poi recepita dal Legislatore, che i coniugi (ovvero il nucleo familiare) abbiano diritto ad almeno una abitazione principale.
Tale principio viene recepito dal Legislatore attraverso il D.L. n. 146/2021 che, con l’art. 5-decies, aggiunge al comma 741 della legge 160/2019 il riconoscimento dell’abitazione principale ad almeno uno dei coniugi, anche se le abitazioni sono ubicate in comuni differenti, purché il nucleo familiare dichiari quale delle due debba intendersi come abitazione principale. Questa precisazione risolveva sicuramente il problema applicativo per l’anno 2022 e seguenti, lasciando un dubbio sulla sua concreta applicazione per gli anni precedenti, nei quali la norma sosteneva concetti diversi.
Nel frattempo, era pendente la decisione della Corte Costituzionale che con l’ordinanza 12 aprile 2022, n. 94, aveva sollevato innanzi a sé la questione di legittimità costituzionale del quarto periodo dell’art. 13, comma 2, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 1, comma 707, lett. b), della l. 27 dicembre 2013, n. 147 («Legge di Stabilità 2014»), nella parte in cui, ai fini del riconoscimento dell’esenzione dall’imposta municipale unica (di seguito, “IMU”), definisce l’«abitazione principale» come quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale del possessore (soggetto passivo) e del suo nucleo familiare.

La decisione della Corte Costituzionale n. 209/2022
La decisione della Corte Costituzionale arriva, stravolgendo letteralmente l’orientamento giurisprudenziale, con la sentenza n. 209 del 13/10/2022 che testualmente dispone quanto segue:

  1. dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quarto periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella parte in cui stabilisce: «[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente», anziché disporre: «[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente»;
  2. dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quinto periodo, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, e successivamente modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge n. 147 del 2013;
  3. dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 741, lettera b), primo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), nella parte in cui stabilisce: «per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente», anziché disporre: «per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente»;
  4. dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 741, lettera b), secondo periodo, della legge n. 160 del 2019;
  5. dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 741, lettera b), secondo periodo, della legge n. 160 del 2019, come successivamente modificato dall’art. 5-decies, comma 1, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2021, n. 215;
  6. dichiara l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quinto periodo, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge n. 147 del 2013, sollevate, in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 29, 31, 35, 47 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli con l’ordinanza in epigrafe.

La Corte Costituzionale riscrive, pertanto, il comma 741 legge n. 160/2019 che, in base alle abrogazioni decise, diventa: “per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto   edilizio   urbano   come   unica   unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”.

Quello che conta, pertanto, è esclusivamente la residenza e la dimora del possessore, ovvero di colui che esercita sul fabbricato la proprietà o altro diritto reale di godimento quale usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, indifferentemente dalla residenza o dimora del suo nucleo familiare, ovvero del coniuge.
Le disposizioni dichiarate incostituzionali vengono disapplicate con effetto retroattivo, aprendo scenari diversi nella gestione dell’attività accertativa condotta, a seconda del differente momento in cui il provvedimento si trova all’interno del procedimento.

Indicazioni operative
Vediamo nel dettaglio, come debba comportarsi il Comune nella concreta applicazione della innovazione normativa, per gli specifici casi:

  1. Gli avvisi di accertamento notificati per gli anni precedenti e pagati in acquiescenza, non danno al contribuente diritto al rimborso, in quanto pagando egli stesso ha rinunciato a qualunque forma di contestazione o di rimborso, ottenendo l’abbattimento della sanzione applicata.
  2. I pagamenti spontanei effettuati dai contribuenti che avevano individuato di applicare, nel rispetto della normativa, l’agevolazione in una sola abitazione, hanno, invece, diritto al rimborso nel limite dei termini prescrizionali dei cinque anni dal versamento (legge 296/2006), in quanto tale versamento è stato effettuato spontaneamente in base ad una norma allora esistente ed ora abrogata.
  3. Per gli avvisi di accertamento sospesi per ricorso innanzi ai giudici tributari, il Comune deve estinguere i contenziosi per cessata materia del contendere, ribadendo che tali avvisi, legittimi al momento della loro emissione, sono stati annullati per effetto della decisione della Corte Costituzionale.
  4. Per gli avvisi di accertamento notificati, non pagati e non contestati, per i quali il contribuente non può proporre ricorso od altra opposizione, il Comune può “trincerarsi” dietro la definitività del provvedimento e proseguire l’attività di riscossione, oppure potrebbe, in virtù del principio di autotutela, annullare comunque gli avvisi, applicando correttamente la normativa interpretata dalla Suprema Corte, in modo equivalente per tutti i contribuenti ed indifferentemente dalla definitività o meno del provvedimento. In base all’art. 2 del Decreto Ministeriale n. 37 dell’11 febbraio 1997 - Regolamento recante norme relative all'esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell'Amministrazione finanziaria –  “L'Amministrazione finanziaria può procedere all'annullamento o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell'atto o dell'imposizione, quali tra l'altro:

a)    errore di persona;

b)    evidente errore logico o di calcolo;

c)    errore sul presupposto dell'imposta;

d)    doppia imposizione;

e)    mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti;

f)     mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;

g)    sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;

h)    errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione.”

Unico limite a tale disposizione è previsto dal comma 2 del medesimo articolo ovvero che: “Non si procede all'annullamento d'ufficio, o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all'Amministrazione finanziaria”. Nulla può essere, pertanto, eccepito per gli accertamenti per i quali esiste sentenza passata in giudicato.

Considerazioni finali

  • Non tutti gli avvisi di accertamento emessi per la fattispecie in questione devono essere necessariamente annullati; ciò in quanto la norma “sterilizzata” dalla sentenza della Corte Costituzionale, comunque prevede che il possessore oltre alla residenza debba avere anche la dimora. In fase di contraddittorio, pur abbandonando il presupposto della mancata residenza del nucleo familiare (coniuge) potrebbe essere possibile dimostrare l’eventuale mancanza della dimora del possessore, attraverso l’uso delle informazioni provenienti dalle banche dati a disposizione dei Comuni, quali utenze elettriche e gas, idriche, canoni di locazione, ecc. Questa, pur se una dimostrazione più complessa, resta comunque una possibile via di contestazione avverso residenze fittizie e, palesemente destinate al solo ottenimento di vantaggi fiscali.
  • Prima di procedere a qualunque iniziativa riguardo le attività di rimborso o di diniego alle richieste di annullamento dei provvedimenti definitivi, si consiglia di attendere un probabile intervento legislativo, volto a normare gli aspetti concreti degli effetti prodotti dall’intervento della sentenza in questione o, comunque, approfondimenti giurisprudenziali o dottrinali al riguardo.

Articolo di Luigi D’Aprano


 


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