L’ex presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) ha pubblicato poco tempo fa “Il sistema della prevenzione della corruzione” (grazie a G. Giappichelli Editore), una ricostruzione corposa riguardante la materia dell’anticorruzione, il cui scopo è mostrarne l’organicità attraverso la storia, i testi di legge, i collegamenti internazionali e soprattutto l’interpretazione della giurisprudenza e della stessa Anac. “Il modello italiano dell'anticorruzione ha una sua organicità, a dispetto di qualche sbavatura legislativa e di un’opinione ricorrente che si tratti invece di una disciplina farraginosa e complessa”, e tale modello italiano si sviluppa proprio con il periodo che a visto Catone alla presidenza dell’Anac, dall’anno 2014 al 2019.
L’Anac come la conosciamo oggi è dovuta in gran parte proprio alla presidenza di Catone, che in accordo il legislatore e attraverso molteplici sperimentazioni, ha portato ad un arricchimento in buona barte nuovo degli strumenti in suo possesso, tra cui il modello Expo, gli appalti per la vigilanza collaborativa e la soft law dedicata agli appalti alla riforma dei Piani anticorruzione. A questi si aggiungono, non ultime per importanza, le varie azioni nate dal nulla, quali ad esempio la trasparenza delle pubbliche amministrazioni, i conflitti d’interesse dei funzionari, la rotazione dei dirigenti pubblici, e quelle riguardanti il whistleblowing. Sperimentazioni ed azioni che non si sono sempre rivelate un soccesso, ma che in ogni caso hanno contribuito alla riforma del modello italiano sull’anticorruzione. Un modello che ora riceva il plauso anche dagli organismi internazionali, che riconoscono all’Italia la politica efficace adottata, e un governance che si attiene agli standard internazinali richisti, in particolare riguarda l’indipendenza necessaria all’Autorità.
Per Catone, “il fil rouge nell'attività dell'Anac non è stata quella di imporre le regole dall'alto, bensì di farle digerire attraverso un confronto e un dialogo con le amministrazioni”. E riguardo la resistenza che l’Anac si è vista opporre negli ultimi tempi da amminsitrazione e dalle imprese, specialmente per quando riguada gli appalti, Catone ammette che questa “è venuta quasi esclusivamente dalle amministrazioni che non si sono volute interfacciare con l'Anac, perché laddove il dialogo c'è stato, il risultato è stato invece positivo. In materia di trasparenza, per esempio, abbiamo ottenuto risultati eccezionali, colmando un gap storico senza imporre sanzioni”. Per l’ex presidente Anac, tale resistenza è dirivata anche dalla posizione dell’Anac come unitario punto di riferimento reale, situazione in grado di mettere in discussione gli equilibri le le prassi ben consolidate, favorendo una crescente discrezionalità delle amministrazioni. Catone afferma che “la lotta alla corruzione e la lotta alla mala amministrazione coincidono. Ma in molti casi le amministrazioni non vogliono discrezionalità, vogliono solo continuare a fare come hanno sempre fatto.” Sull’aspetto che vuole meno regole per la PA al fine di migliorarne la funzionalità, l’idea di Catone è contraria, perché “l’amministrazione per agire vuole dei punti di riferimento”, quindi “non c’è un problema di quantità di pubblico ma di qualità dell’azione pubblica”, e questo proprio perché “l’amministrazione ha bisogno di una procedura, meglio se consolidata, cui aggrapparsi: quando seguo la procedura non devo spiegare perché l’ho fatto e se ho fatto bene o male”.
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