Sul fronte della digitalizzazione la PA italiana risulta in ritardo eccessivo, stando a quanto espresso dalla Corte dei Conti tramite lo studio “Referto in materia di informatica pubblica”, che con i dati raccolti negli ultimi anni dipinge “un quadro non confortante del livello di innovazione nella Pubblica Amministrazione italiana”. Il nostro paese risulta quindi in netto ritardo sulla costruzione di un e-government rafforzato, a causa dei bassi livelli di digitalizzazione ma anche di penetrazione. Infatti, non solo i servizi digitali nelle PA sono scarsi e non sono stati adeguatamente rafforzati, ma la popolazione tende a fare uno scarso utilizzo perfino di quelli esistenti.
Un ritardo ammesso anche dalla ministra della Pubblica amministrazione Fabiana Dadone, che dichiara di aver già pronta una road map per far fronte al problema, che si articola in:
- diffusione dell’identità digitale
- test e corsi su misura per la formazione del personale
- innovazione dei processi per diminuire davvero l’uso della carta,
Secondo il Digital Economic Strategy Index (Desi), ovvero l’indice della Commissione europea per misurare la diffusione del digitale all’interno dell’Unione europea, nel 2018 risultavamo terzultimi (25° posto su 28), con solo un minimo miglioramento di una posizione nel 2019, quindi con una velocità di crescita inferiore alla media in tema digitale (punteggio del 37% rispetto alla media del 64%), sugli altri paesi. Si nota ancora una “mancanza di strategia globale dedicata alle competenze digitali, lacuna che penalizza quei settori della popolazione, come gli anziani e le persone inattive, che non vengono fatti oggetto di altre iniziative in materia”. Simile responso per gli anni 2018 e 2019 ci arriva dal e-Government Benchmark, l’indice che misura il progresso degli Stati Membri dell’UE riguardo l’implementazione dei servizi pubblici digitali, come previsti dall’e-Government Action Plan 2016-2020, secondo cui solo il 22% (contro una media del 53%) dei cittadini utilizza e interagisce con la PA online.
Diverso discorso per altri aspetti della modernizzazione della PA: siamo al quarto posto per gli open data (percentuale di 80 rispetto alla media del 64), e all’ottavo posto sull’utilizzo dei servizi di sanità digitali, nonostante in questo ambito lo scambio di dati medici e ricette digitali è ancora sotto la media (rispettivamente di -13 e -18 punti sulla media). Una dicotomia palese quindi tra disponibilità di servizi pubblici (soprattutto su open data e servizi di sanità digitale) e l’effettivo utilizzo di questi da parte della popolazione. Viene spontaneo domandarsi a cosa è dovuto questo ritardo, anche in virtù della presenza delle risorse investite in materia. Infatti, dallo studio si legge che “appare difficilmente invocabile la scarsezza di risorse pubbliche tout court per giustificare il mancato raggiungimento dei risultati attesi. Le stime più accreditate dichiarano una spesa complessiva di circa 5,8 miliardi l' anno per l' informatica pubblica, tra risorse nazionali e comunitarie”. Il problema è da riferirsi quindi al metodo di utilizzo delle risorse, che “vengono utilizzate in misura limitata e non sempre nel modo più razionale”. La Corte dei Conti spinge quindi per un coordinamento della varie PA al fine di utilizzare i fondi disponibili nella miglior maniera possibile, “in modalità sinergica e con obiettivi condivisi a livello centrale”.
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