Elevata frammentazione, risultati finanziari eterogenei e pochi investimenti: questi i principali risultati di un’indagine condotta sugli operatori del settore
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La Posta del Sindaco
03 Luglio 2018
La gestione dei rifiuti in Italia è caratterizzata da un’elevata frammentazione dei soggetti che operano nel settore, da risultati economico-finanziari molto eterogenei tra loro e da, tendenzialmente, una scarsa propensione ad investire, a meno che non si materializzano risorse aggiuntive, magari di provenienza pubblica. Queste le maggiori evidenze di un’analisi campionaria sui dati di bilancio dei principali gestori ambientali industriali, circa ottanta, e sui dati di finanza pubblica relativi al gettito del tributo sui rifiuti riportati nei bilanci dei Comuni per l’anno 2016 condotta dalla Crif Ratings, agenzia autorizzata ad assegnare rating a imprese non finanziarie residenti nell’Unione europea. E’ su questi aspetti in particolare, a giudizio del curatore dell’analisi Marco Bonsanto, che la neo costituita Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) dovrebbe concentrare la sua azione per cercare di ridare impulso al settore ambientale. Secondo Crif Ratings, inoltre, gli investimenti potenziali nel settore ambientale potrebbero essere molto rilevanti: grazie all’aumento del margine di profitto degli operatori del settore e all’utilizzo della leva finanziaria, potrebbero rendersi disponibili per investimenti circa due miliardi di euro nei prossimi tre anni. Risorse che, secondo l’agenzia, potrebbero essere concentrate nelle aree del Paese, ancora largamente maggioritarie, in cui è ancora carente la misurazione puntuale dei rifiuti.
In generale i ricavi del campione analizzato nell’analisi mostrano segnali positivi con un tasso di crescita annua media – nel quadriennio 2013-2016 – del 4%. Nel dettaglio, i gestori che possono contare su discariche, inceneritori, impianti di compostaggio, di trattamento meccanico biologico, etc hanno avuto una crescita molto maggiore, pari a circa il 6%, mentre quelli che non li possiedono hanno avuto, mediamente, una crescita inferiore all’1%. L’identikit del gestore “best performer” lo individua come un operatore situato nel Centro-Nord, con un fatturato superiore ai 100 milioni di euro e la presenza di impianti nell’attivo patrimoniale. Gli investimenti pro capite in Italia, nel 2015 e 2016, sono stati pari a 16 euro, ma con grandi differenze tra le diverse macro-aree. Se infatti il Nord-Est mostra un dato superiore del 100% rispetto alla media nazionale e il Nord-Ovest è molto vicino alla media, il resto d’Italia è molto distante: il Centro è sotto la media del 30% e il Sud addirittura di più del 50%. Percentuali che sono sovrapponibili alla diffusione della raccolta differenziata nel Paese, che infatti premiano il Nord-Est con quasi il 70% e il Nord-Ovest con circa il 60% di differenziata sul totale dei rifiuti prodotti.
Quanto alla tariffazione puntuale, questa è praticata soltanto nel 10% dei Comuni italiani, mentre nella rimanente parte c’è il tradizionale tributo. Sebbene tutti e due i sistemi si basino sul principio del “chi inquina paga”, nel caso del tributo il correspettivo è basato su elementi – come il numero di metri quadri e di occupanti della casa - che esulano dall’erogazione vera e propria del servizio e il cittadino, quindi, è meno motivato a pagare. Altro vantaggio non indifferente per i Comuni: dove è in vigore la tariffazione puntuale è il gestore a occuparsi della riscossione, dove il tributo sono le casse comunali a soffrire in caso di mancato pagamento. Che, soprattutto in alcune aree del Paese, è evento tutt’altro che sporadico: in base all’analisi condotta da Crif Ratings risulta che nel triennio 2014-2016 i Comuni hanno riscosso soltanto l’80% dell’accertato, con un ammanco medio complessivo di circa 1,7 miliardi all’anno (1,8 nel 2016). Gli ammanchi variano enormemente da regione a regione: in testa è il Lazio con 120 euro pro capite, segue la Sicilia con 77, la Campania con 63 e la Calabria con 45. Tra i 20 e i 30 euro pro capite di mancati incassi in Sardegna, Umbria, Puglia e Liguria; tra i 10 e i 20 in Emilia-Romagna, Piemonte, Abruzzo, Toscana, Marche, Molise e Basilicata. Mentre i migliori “incassatori” risultano essere il Friuli-Venezia-Giulia, la Lombardia, il Veneto, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta. Come spiega Marco Bonsanto, si segnala inoltre un ennesimo “caso Roma”: nel Lazio, al netto della Capitale, la mancata riscossione scenderebbe a 40 euro pro capite. All’ombra del Cupolone, nel 2016, su 799 milioni di tributi per i rifiuti iscritti a bilancio, ne sono stati riscossi meno di 250.
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