Attraverso la travagliata storia del termovalorizzatore di Acerra (NA) una riflessione su certo ecologismo nemico del buon senso
di
La Posta del Sindaco
28 Febbraio 2018
In un lungo e interessante articolo-inchiesta – “Il Gran Rifiuto” pubblicato sul quotidiano “Il Foglio” del 26 febbraio – Stefano Cingolani ripercorre l’epopea attraverso la quale si è arrivati, dopo una gestazione durata circa quindici anni, alla realizzazione del termovalorizzatore di Acerra. Inaugurato nel 2009 e funzionante a pieno regime dal 2010, ha consentito di far uscire Napoli e la Campania dall’emergenza spazzatura degli anni scorsi rappresentando, secondo il giornalista, “una fantastica storia di successo che nessuno racconta” e un esempio di ciò che occorrerebbe – a dispetto di chi prospetta soluzioni pseudo-ecologiste declinate però in maniera del tutto utopistica – per vincere “la guerra dei rifiuti”. Secondo Cingolani, pochi impianti industriali in Italia hanno una storia “così ricca e così folle” come il termovalorizzatore di Acerra e, del resto, la gestione dei rifiuti rappresenta secondo il giornalista un ottimo termometro per misurare il buon senso e la follia della politica.
Previsto dall’ambizioso mega piano governativo per far fronte alla prima emergenza rifiuti del 1994, alla fine sarà l’unico dei 24 inceneritori in programma ad essere realizzato. Osteggiato con forza da praticamente tutti, o quasi, gli schieramenti politici locali (anche dagli stessi che, a livello nazionale e regionale, ne sostenevano la necessità), dai sindaci che si sono succeduti, dalla chiesa e da comitati di cittadini (alcuni dei quali, forse, non estranei agli interessi della camorra preoccupata di perdere il redditizio controllo sulla gestione della “munnezza” e delle discariche abusive), alla fine ha richiesto l’uso della forza per essere costruito. Infatti è stata necessaria un’operazione di polizia con cinquecento agenti per sgomberare il cantiere nel frattempo occupato dai No Tmv (acronimo di termovalorizzatore) e la presenza dell’esercito per garantire l’ultimazione dei lavori e poi il funzionamento dell’impianto. Eppure, scrive Stefano Cingolani, è soltanto grazie al termovalorizzatore di Acerra se la regione è riuscita ad uscire dall’emergenza rifiuti. Del milione e duecentomila tonnellate di rifiuti non riciclabili prodotti ogni anno in Campania, Acerra ne smaltisce più di settecentomila con dei valori di emissione molto inferiori al cinquanta per cento dei limiti stabiliti dall’Unione europea, ovvero la rigorosissima soglia stabilita dal ministero dell’Ambiente per concedere il via all’accensione dei forni.
Della puzza e dei fumi tanto evocati dalle proteste dei No Tmv ad Acerra, secondo quanto scrive il giornalista, non vi è traccia. Anzi, secondo degli studi condotti nel 2016 dal Cnr, il contributo delle ricadute al suolo degli ossidi di azoto è minimo per quel che riguarda il termovalorizzatore, e massimo per gli effetti del traffico veicolare che si snoda lungo le autostrade che attraversano il territorio. Il guaio, semmai, è che il termovalorizzatore fa la differenza ma non è sufficiente per smaltire l’arretrato – tutte le ecoballe accumulatesi durante gli anni in cui i lavori per realizzare l’impianto, che sarebbe dovuto essere pronto a fine 2000, sono rimasti bloccati – e le circa 500 mila tonnellate di rifiuti non riciclabili prodotte in Campania che devono attualmente essere spediti, a caro prezzo, nel Nord Italia o in giro per l’Europa. Le proteste, diminuite e quasi scomparse da quando il termovalorizzatore è entrato in funzione, sono tornate a farsi sentire con una certa veemenza da che è entrata in campo l’ipotesi di aggiungere una quarta linea, alle tre già esistenti, consentendo così all’impianto di trattare una maggiore quantità di rifiuti. Anche l’idea di costruire un nuovo impianto a Santa Maria la Fossa in provincia di Caserta, ventilata nel 2003, è poi caduta nel vuoto: non è facile trovare volontà politiche e imprese disposte a rischiare una battaglia feroce come quella andata in scena ad Acerra.
Una volta entrato in funzione nel 2009, la proprietà del termovalorizzatore viene acquistata dalla Regione Campania e la gestione affidata per quindici anni alla società A2A, la municipalizzata di Brescia e Milano più grande d’Italia che già gestisce l’impianto modello di Brescia, tra i più grandi e moderni di Europa. L’impianto, oltre a trattare duemila tonnellate al giorno di rifiuti urbani provenienti dagli stabilimenti di tritovagliatura (quello di Caivano, in provincia di Napoli, è gestito dalla stessa A2A) e imballaggio della Campania, produce l’energia elettrica necessaria al fabbisogno di circa duecentomila famiglie. Dai ricavi derivanti dalla cessione dell’energia alla rete elettrica nazionale, il 49,9 per cento va ad A2A per la gestione e la manutenzione degli impianti di Acerra e Caivano e per gli stipendi dei circa 220 dipendenti assunti in Campania. Il restante 50,1 per cento resta alla Regione, che quindi si assicura un buon profitto.
In molti continuano a ripetere “come un mantra” che l’alternativa ai termovalorizzatori starebbe nella raccolta differenziata quando però – scrive Cingolani – in realtà questa rappresenta la precondizione per avviare un ciclo completo di trattamento dei rifiuti che ha numerosi anelli e, tra questi, anche l’incenerimento per ricavarne energia. E’ in quel mezzo milione di tonnellate di rifiuti non riciclabili che Acerra non riesce a smaltire e che è costretto a viaggiare, che si annidano le possibilità di traffici illeciti. Il termovalorizzatore di Acerra è in realtà l’unico anello del processo a funzionare veramente.
Se in Campania, o nel Lazio, o in Sicilia (dove non ce n’è neanche uno) ci fosse la stessa quantità di inceneritori che ci sono in Lombardia (tredici, è la regione che ne ha di più) non ci sarebbe l’immondizia per le strade, il servizio di nettezza urbana costerebbe molto di meno al cittadino e la quantità di energia prodotta sarebbe molto più alta. A Roma una famiglia di tre persone in un appartamento di settanta metri quadri spende mediamente 300 euro all’anno di tassa sui rifiuti. A Brescia, la stessa famiglia, soltanto 238. In tutta Europa i termovalorizzatori sono poco meno di 500 (in Italia 56, due terzi dei quali al Nord) e, nei Paesi più virtuosi come la Danimarca e l’Olanda, la quantità di energia prodotta in questi stabilimenti è sei volte quella italiana. Verrà il giorno in cui – scrive l’autore dell’articolo – si potrà fare a meno dei termovalorizzatori, in cui ci sarà più spazio per l’economia circolare, il risparmio, il riciclaggio ma per arrivarci servirà passare prima attraverso “comportamenti corretti”: la ricerca, la scienza, la tecnica, l’industria. Ci arriveranno prima i Paesi più avanzati e, infatti, basta dare un’occhiata alla mappa dell’Europa: in Germania e Svizzera già adesso le discariche sono quasi scomparse. Al polo opposto ci sono Malta, Cipro, la Grecia e tutta l’Europa dell’est. L’Italia è a mezza via: al quindicesimo posto in una classifica di 31 Paesi europei, con un 30% di rifiuti nelle discariche, un 21 trasformato in energia e un 49 riciclato. Molto è stato fatto – dieci anni fa si riciclava soltanto il 25% circa – molto resta ancora da fare.
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