Tra le innovazioni più significative introdotte dal D.Lgs. n. 36/2023 vi è l’introduzione del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale, previsto dall’art. 9 del nuovo Codice.
Trattasi di una norma che codifica una disciplina ad hoc per i contratti pubblici, finalizzata alla gestione delle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili che determinano una sostanziale alterazione dell’equilibrio contrattuale, e che risponde specificamente a una esigenza fortemente sentita nel recente passato anche nel settore della contrattualistica pubblica, a seguito degli effetti della nefasta congiuntura economica e sociale conseguente alla emergenza epidemiologica da COVID-19 e agli eventi bellici.
In controtendenza rispetto al D.Lgs. n. 50/2016, che prevedeva l’inserimento solo facoltativo delle clausole di revisione prezzi, il nuovo Codice oggi non solo ne impone alle stazioni appaltanti l’inserimento nei documenti di gara iniziali (art. 60), in linea di continuità con quanto già stabilito dall’art. 29 del D.L. 4/2022, ma fornisce altresì una compiuta disciplina della più ampia e generale fattispecie della rinegoziazione delle condizioni contrattuali nei contratti pubblici, ricollegata alle ipotesi di modifica del contratto in corso di esecuzione (art. 120) e che – in virtù del combinato disposto degli articoli 229, comma 2 e 226, comma 2 – si applica ai procedimenti successivi al 1/7/2023.
La disposizione in esame è stata specificatamente studiata per i contratti pubblici, ai quali non risultano applicabili, o comunque risultano poco utili stante le peculiarità del settore in questione, i rimedi civilistici previsti per le ipotesi di sopravvenuta onerosità, quali l’art. 1467 c.c. o l’art. 1669 c.c., il cui impiego negli appalti pubblici è stato oggetto di ampio dibattito nella prassi, nella giurisprudenza e nella dottrina.
L’introduzione con il nuovo Codice di soluzioni manutentive finalizzate alla conservazione del contratto mediante un giusto equilibrio dei contrapposti interessi in gioco, con conseguente esclusione di rimedi di tipo demolitorio quali la risoluzione del contratto, è certamente in linea con il principio del risultato di cui all’art. 1 del D.Lgs. n. 36/2023 il quale, codificando l’interesse pubblico primario del Codice, ha messo nero su bianco la finalità principale che stazioni appaltanti ed enti concedenti devono assumere nell’esercizio delle loro attività allorquando decidono di contrarre, e che sostanzialmente consiste nella compiuta realizzazione di un contratto (di lavori, servizi o forniture) necessario per il perseguimento degli interessi della comunità.
La previsione nel D.Lgs. n. 36/2023 di una apposita disciplina inerente alle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili, inoltre, sgombera il campo da qualsiasi dubbio interpretativo relativo all’utilizzabilità per tali fattispecie delle disposizioni civilistiche, la cui applicabilità alla fase di esecuzione del contratto pubblico è limitata esclusivamente a quanto non espressamente previsto dal nuovo Codice (art. 12).
Presupposti
In linea di principio, l’art. 9 del nuovo Codice stabilisce che la parte contrattualmente svantaggiata ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali, che si concretizza nel mero ripristino dell’originario equilibrio del contratto oggetto dell’affidamento (così come risultante dal bando e dal provvedimento di aggiudicazione) senza alterarne la sostanza economica, purché ricorrano i seguenti presupposti:
La disposizione in questione richiama espressamente il canone della buona fede quale criterio cardine in sede di rinegoziazione contrattuale, in virtù del quale le parti, soprattutto nel corso delle relative trattative, sono tenute ad assumere una condotta improntata a correttezza e lealtà.
Limiti
Il diritto alla rinegoziazione, riconosciuto al ricorrere dei suddetti presupposti, trova tuttavia un limite oggettivo di tipo finanziario, considerato che la norma prevede che la rinegoziazione non deve alterare il finanziamento complessivo dell’opera ed è ammessa nei limiti dello stanziamento di bilancio originario: i relativi oneri, infatti, sono riconosciuti all’esecutore a valere sulle somme a disposizione indicate nel quadro economico dell’intervento, alle voci imprevisti e accantonamenti e, se necessario, anche utilizzando le economie da ribasso d’asta (art. 9, comma 1, ultimo periodo).
Da tale limite di invarianza finanziaria, secondo cui è nell’ambito delle suddette risorse che la stazione appaltante può operare la rinegoziazione e riconoscere degli eventuali maggiori compensi all’appaltatore, discende per le stazioni appaltanti un onere di corretta programmazione economica dell’intervento che, nell’ottica del raggiungimento del risultato, tenga conto e valuti anche il rischio di sopravvenienze straordinarie e imprevedibili in corso di esecuzione.
Le sopravvenienze che incidono sulla utilità o utilizzabilità della prestazione
Unitamente ad una disciplina volta alla conservazione del generale equilibrio contrattuale, il Legislatore ha dedicato anche una specifica norma alle ipotesi più circoscritte in cui le sopravvenienze incidano solo sulla utilità o utilizzabilità della prestazione, stabilendo che, laddove detta prestazione sia solo parzialmente o temporaneamente inutile o inutilizzabile per uno dei contraenti, quest’ultimo abbia diritto a una riduzione proporzionale del corrispettivo, secondo le regole dell’impossibilità parziale (art. 9, comma 3).
L’applicazione del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale
Il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale stabilito dall’art. 9 del Codice, dal punto di vista applicativo e così come previsto anche al comma 5 dello stesso, deve necessariamente essere messo in correlazione con i successivi articoli 60 e 120 del Codice relativi – rispettivamente – alla revisione prezzi obbligatoria e alle modifiche contrattuali in corso di esecuzione, i quali ne costituiscono le disposizioni di concreta applicazione.
Proprio sotto il profilo applicativo, è già il comma 4 dell’art. 9 che fornisce una chiara indicazione per le stazioni appaltanti, prevedendo la facoltà (“Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono l’inserimento nel contratto di clausole di rinegoziazione...”) per le stesse di inserire nel contratto apposite clausole di rinegoziazione, dandone pubblicità nel bando o nell’avviso di indizione della gara: trattasi di una possibilità da valutare attentamente e approfonditamente, specie quando il contratto risulta particolarmente esposto per la sua durata, per il contesto economico di riferimento o per altre circostanze, al rischio delle interferenze da sopravvenienze.
Tuttavia, anche a fronte della mancata previsione di una specifica clausola contrattuale per la gestione delle sopravvenienze che alterano l’equilibrio del contratto, la rinegoziazione, trattandosi di un diritto espressamente riconosciuto alla parte svantaggiata, è comunque dovuta al ricorrere dei presupposti stabiliti dal Codice: soccorre, sotto tale aspetto, l’art. 120, comma 8, del D.Lgs. n. 36/2023, il quale prevede le modalità procedimentali mediante cui, pur in assenza di apposite previsioni contrattuali, le parti devono procedere alla rinegoziazione delle condizioni secondo buona fede.
La richiesta di rinegoziazione formulata dal contraente svantaggiato
La disposizione in questione, innanzitutto, consente sempre la modifica dei contratti in corso di esecuzione ai sensi dell’articolo 9 nel rispetto delle clausole di rinegoziazione contenute nel contratto ma, anche qualora tali clausole non siano state incluse, stabilisce che la richiesta di rinegoziazione possa comunque essere formulata dalla parte svantaggiata che, di fatto, mediante tale istanza dà inizio a quello che è sostanzialmente un procedimento finalizzato all’eventuale modifica delle condizioni contrattuali.
In particolare, l’art. 120, comma 8, prevede che:
Da quanto sopra consegue che, laddove la stazione appaltante abbia incluso una clausola di rinegoziazione nel contenuto del contratto, quest’ultimo sarà sempre modificabile nel rispetto delle stesse, avendo già le parti predeterminato e approntato una apposita disciplina inter partes finalizzata a regolare le eventuali sopravvenienze, e si eviterà in tal modo il ricorso al procedimento alternativo stabilito dal Legislatore per sopperire all’eventuale mancanza di dette clausole e che, di fatto, responsabilizza molto il RUP circa il corretto svolgimento delle trattative e la formulazione della proposta di un nuovo accordo.
Responsabilità
La violazione dell’obbligo di rinegoziazione stabilito dal nuovo Codice, infatti, può condurre anche a ipotesi di responsabilità per i danni che ne sono conseguiti dalla parte svantaggiata: pertanto, non sarà sufficiente intraprendere delle trattative meramente formali o formulare proposte ictu oculi inaccoglibili, ma occorrerà che, in virtù del canone di buona fede espressamente richiamato dal Legislatore, la condotta – soprattutto della stazione appaltante e, per essa, del RUP incaricato di formulare la proposta – sia improntata a canoni di serietà e adeguata motivazione rispetto alle richieste formulate dalla parte svantaggiata, nonché finalizzata a ripristinare effettivamente l’equilibrio contrattuale compromesso dalla sopravvenienza di circostanze straordinarie e imprevedibili.
Articolo di Alessandro Rizzo
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