Approfondimento di Matteo Barbero

Riassetto organizzativo dei mini enti

Servizi Comunali Organizzazione e funzionamento
di Barbero Matteo
10 Aprile 2019

Approfondimento di Matteo Barbero                                                                                    

Riassetto organizzativo dei mini enti

Matteo Barbero

Accordo in salita sul riassetto organizzativo dei mini enti. Dopo la pubblicazione della sentenza n. 33/2019 della Corte costituzionale – che ha censurato parzialmente la disciplina del dl 78/2010 con cui da quasi un decennio il legislatore nazionale cerca (invano) di imporre ai mini enti di gestire il proprio “core business” attraverso unioni e convenzioni   – si sono registrati solo commenti positivi. Peccato che, però, ciascuno la legga a modo suo attestandosi su posizioni fra di loro spesso diametralmente opposte.  Secondo l’Anpci, la pronuncia “mette la parola fine ad un’epoca che ha visto i piccoli comuni perseguitati da una logica burocratica ed economica perversa”. “Da oggi, ha scritto la presidente, Franca Biglio, si apre un’altra era politico-istituzionale che sancisce l’indispensabile ruolo che i  comuni fino a 5.000 abitanti svolgono sul territorio nazionale e riafferma l’autonomia degli stessi, quali istituzioni sane e virtuose, che presidiano il territorio, contro ogni maldestro tentativo di cancellare il loro patrimonio culturale e sociale dalla storia millenaria dell’Italia. La sentenza della Corte costituzionale segna una tappa fondamentale, un punto fermo per  la nuova riforma degli enti locali”.

Più articolato il commento dell’Uncem, che invita a leggere per intero quanto scritto dal relatore, Luca Antonini, “per evitare fraintendimenti sul tema dell'associazionismo comunale e sulla gestione in forma associata delle funzioni”. Come annota il rappresentante degli enti montani, Marco Bussone, delle varie censure mosse dai ricorrenti a più commi dell'art 14 de dl 78 che prevedono e disciplinano l'obbligo di esercizio associato delle funzioni fondamentali per i piccoli comuni, la Corte costituzionale ritiene illegittimo il solo comma 28 dell'art 14 peraltro solo nella parte in cui non prevede la possibilità (in un contesto di comuni obbligati e non) di ottenere l'esonero (dall'obbligo) dimostrando che a causa della particolare collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali non sono realizzabili, con le forme associative imposte, economie di scala e/o miglioramenti, in termini di efficacia ed efficienza, nell'erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento”. Secondo Uncem, i giudici delle leggi avrebbero invece promosso il ruolo delle unioni, da sempre invise all’Anpci che punta tutto sulle convenzioni in quanto più rispettose dell'autonomia comunale.

Anche dall’Anci è partita la difesa delle unioni: il vice-presidente della Sezione del Piemonte, Michele Pianetta, ha confermato che “non sono le unioni di comuni ad essere state dichiarate incostituzionali, bensì l’obbligo dell’esercizio associato delle funzioni fondamentali” ed ha invitato a diffidare dalla “propaganda di chi considera gli accordi tra comuni come una minaccia. Le unioni rappresentano un’opportunità, soprattutto quando si parla di servizi”.

Toccherà ora al tavolo tecnico-politico istituito dal dl 91/2018 il (difficile) compito di trovare una mediazione fra punti di vista così diversi. Per farlo, potrebbe essere utile ripartire proprio dalla sentenza, laddove ha sollecitato il legislatore a promuovere una riforma equilibrata, stabile ed organica, senza perpetuare l’errore di relegare l’assetto organizzativo dell’autonomia comunale italiana  “a mero effetto riflesso di altri obiettivi”. Ovvero, si potrebbe aggiungere, ad una mera questione politica.

30 marzo 2019

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