La repressione della violazione dei doveri connessi al rapporto di pubblico impiego non è incisa dalla colpevole inerzia del datore di lavoro

Approfondimento di Alessandro Russo

Servizi Comunali Codice disciplinare Licenziamento
di Russo Alessandro
18 Ottobre 2018

Approfondimento di Alessandro Russo                                                                        

La repressione della violazione dei doveri connessi al rapporto di pubblico impiego non è incisa dalla colpevole inerzia del datore di lavoro. 

Alessandro Russo

 

Un dipendente medico della Croce Rossa Italiana, ente strumentale di diritto pubblico, viene licenziato per aver svolto attività esterna senza la preventiva autorizzazione, ai sensi dell’art. 53 c. 7 D.Lgs. n. 165/2001 smi[1], ricorre contro il provvedimento; richiedendone l’annullamento.

Vedendosi respingere la domanda sia in primo che in secondo grado, solleva la questione alla sezione lavoro della Corte di cassazione.

Anche il Supremo Collegio, con sentenza n. 20880/2018 pubblicata il 21 agosto 2018 rigetta il ricorso, respingendo tutte le censure proposte dall’ex dipendente, dichiarandole alcune infondate ed altre inammissibili.

In particolare il Collegio, rispondendo al ricorrente che chiedeva l’accertamento della tardività della contestazione e quindi l’intervenuta abdicazione della potestà disciplinare da parte del datore di lavoro, afferma di voler dare continuità all’orientamento espresso con la sentenza n. 8722/2017 dalla stessa sezione che, giustiziando una fattispecie, affermava: <<nell’impiego pubblico contrattualizzato, il principio dell’obbligatorietà dell’azione disciplinare esclude la rilevanza dell’inerzia del datore di lavoro, ove la stessa contrasti con i precetti imposti dalla legge, dal codice di comportamento o dalla contrattazione collettiva.>>.

Ferma la doverosità dell’azione disciplinare, con la pronuncia richiamata si è evidenziato che: <<nel rapporto alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche l'inerzia nella repressione del comportamento contrario ai doveri di ufficio può solo rilevare, eventualmente, quale causa di decadenza dall'esercizio dell'azione, ove comporti il mancato rispetto dei termini perentori imposti dal legislatore, ma non può mai fare sorgere un legittimo affidamento nella liceità della condotta vietata, perché il principio dell'affidamento incolpevole presuppone che il potere del datore sia discrezionale, di modo che l'inerzia possa essere interpretata dal lavoratore subordinato come rinuncia all'esercizio del potere medesimo e come valutazione in termini di liceità della condotta.>>[2]

Il Collegio poi sottolinea che i doveri posti a carico del pubblico dipendente dalla legge, dal codice di comportamento, dalla contrattazione collettiva tengono conto della particolare natura del rapporto che pone pubblico dipendente al servizio della Nazione, impegnandolo così ad ispirare la propria condotta ai principi riassunti dall'art. 54 D.Lgs. n. 165/2001 smi con il richiamo ai doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico[3].

La consapevole violazione di detti doveri, strettamente connessi a interessi di carattere generale, non può essere scriminata dalla colpevole inerzia del soggetto tenuto alla segnalazione dell'illecito; inerzia che lascia comunque inalterata la rilevanza disciplinare della condotta.

Provato lo svolgimento di attività incompatibili con il rapporto di impiego pubblico - mai contestato dal ricorrente – il Collegio conferma la decisione dell’Appello, che ravvisava una condotta idonea a ledere il vincolo fiduciario tra la Pubblica Amministrazione ed il suo dipendente.

La Corte di cassazione ritiene adeguatamente giustificata la decisione del Giudice di secondo grado, che considerava sia il profilo oggettivo dell'illecito (numero e durata degli incarichi, produttivi di redditi consistenti) sia quello soggettivo, infatti il ricorrente sarebbe stato ben consapevole del regime delle incompatibilità, tanto che per altri incarichi avrebbe inoltrato idonea richiesta di autorizzazione.

L’ex dipendente contesta anche la sanzione del licenziamento disciplinare, rilevando come non si ravvisi esplicitamente nell’art. 55 quater D.Lgs. n. 165/2001 smi[4] o nella contrattazione collettiva una fattispecie inquadrabile nella condotta a lui contestata che sia sanzionata col licenziamento. 

Ma per il Collegio anche questo motivo non coglie nel segno in quanto: <<L'art. 55 quater, (...), pur tipizzando una serie di illeciti da ricondurre al licenziamento disciplinare, richiama nell'incipit la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo e attraverso detto richiamo consente di infliggere la sanzione espulsiva a fronte di condotte non sussumibili nelle fattispecie tipizzate dalla legge o dalla contrattazione collettiva, ma comunque idonee a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario e, quindi, a giustificare il recesso immediato o con preavviso.>>[5].

Su queste basi la Corte di cassazione rigetta il ricorso presentato dall’ex dipendente, condannandolo anche al pagamento delle spese processuali e, sussistendo i presupposti previsti dall’art. 13 c. 1 quater del testo unico sulle spese di giustizia, al versamento di un’ulteriore importo pari al costo del contributo unificato[6].

2 ottobre 2018

 

[1]  Art. 53 c. 7 D.Lgs. n. 165/2001 smi: <<I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'Amministrazione di appartenenza. (...). In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'Amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti>>.

[2]  Cassazione sez. lavoro n. 20880/2018 par. 4.1.

[3]  Art. 54 D.Lgs. n. 165/2001 smi: <<Il Governo definisce un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico. Il codice contiene una specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, articolati in relazione alle funzioni attribuite, e comunque prevede per tutti i dipendenti pubblici il divieto di chiedere o di accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità, in connessione con l’espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d’uso, purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia. 2. Il codice, approvato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, previa intesa in sede di Conferenza unificata, è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e consegnato al dipendente, che lo sottoscrive all’atto dell’assunzione. 3. La violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, compresi quelli relativi all’attuazione del Piano di prevenzione della corruzione, è fonte di responsabilità disciplinare. La violazione dei doveri è altresì rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile ogniqualvolta le stesse responsabilità siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti. Violazioni gravi o reiterate del codice comportano l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 55-quater, c. 1. (licenziamento disciplinare)>>.

[4]  Art. 55 quater D.Lgs. n. 165/2011 smi: <<Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi: a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia; b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio o comunque per piu' di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall'amministrazione; c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall'amministrazione per motivate esigenze di servizio; d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera; e) reiterazione nell'ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell'onore e della dignità personale altrui; f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale e' prevista l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l'estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro. 2. Il licenziamento in sede disciplinare e' disposto, altresì, nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l'amministrazione di appartenenza formula, (...), una valutazione di insufficiente rendimento e questo e' dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'articolo 54. 3. Nei casi di cui al comma 1, lettere a), d), e) ed f), il licenziamento e' senza preavviso.>>.

[5]  Cassazione sez. lav. n. 20880/2018 par. 5. Si vedano anche cass. sez. lav. n. 28797/2017, 8722/2017 e 28975/2017.

[6]  Art. 13 c. 1 quater DPR n. 115/2002: <<Quando l'impugnazione, anche incidentale, e' respinta integralmente o e' dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta e' tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice da' atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso.>>

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