Parzialmente illegittima la legge sull’autonomia differenziata

L’attribuzione alle regioni di forme particolari di autonomia deve avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla Carta Costituzionale

Servizi Comunali Organizzazione e funzionamento
di Piccioni Fabio
22 Novembre 2024

 

Con comunicato del 14 novembre 2024, l’ufficio stampa della Corte costituzionale fa sapere che, in attesa del deposito della sentenza, il Giudice delle leggi ha, da un lato, ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera L. 26 giugno 2024 n. 86, recante Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione; dall’altro, considerato illegittime specifiche disposizioni.

Secondo la Consulta, l’art. 116 c. 3 Cost., che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia, deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana che riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio.

Ne deriva che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, non deve corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, in quanto deve avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla Carta Costituzionale, quale il principio di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni.

In questo quadro, l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini.

 

Ciò premesso, la Corte, nell’esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge

  • la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, visto che la devoluzione deve riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e deve essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del principio di sussidiarietà; 
  • il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, che rimette la decisione sostanziale nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento; 
  • la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP; 
  • il ricorso alla procedura prevista dalla L. 29/12/2022 n. 197, recante Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025, per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP; 
  • la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, infatti, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che - dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite - non risultino in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni; 
  • la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica; 
  • l’estensione della L. 86/2024, e dunque dell’art. 116 c. 3 Cost., alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali. 

 

La Corte ha, infine, interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge: 

  • l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo; 
  • la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa ma implica il potere di emendamento delle Camere a seguito del quale l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata; 
  • la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; 
  • l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite deve avvenire non tanto sulla base della spesa storica, quanto prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano a suo carico; 
  • la clausola di invarianza finanziaria richiede che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari. 

 

In conclusione, spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dal citato accoglimento di alcune delle questioni sollevate, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge. 
La Consulta, invece, resta competente a vagliare la eventuale costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora censurate.

 

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