Tariffa puntuale: il criterio del numero di svuotamenti effettuati è conforme alla normativa statale e unionale

Esso rientra a pieno titolo nel parametro legale della prescritta quantità di rifiuti "effettivamente conferiti"

Servizi Comunali Rifiuti TARI Tariffe Tributi
di Cipriani Simonetta
10 Luglio 2024

 

Abbiamo già affrontato ne La Posta del Sindaco “La tariffazione puntuale dei rifiuti urbani” basata su un criterio di pagamento del servizio rifiuti che tenga conto della quantità di rifiuti indifferenziati prodotti e gettati nella spazzatura e del reale volume e/o peso dei singoli svuotamenti dell’utenza. La tariffa puntuale punta a individuare un prezzo che trae origine dal sistema di calcolo concreto dei rifiuti prodotti dalla singola utenza (domestica e non domestica), proporzionale, almeno in parte, alla fruizione del servizio di raccolta relativo. Una modalità per garantire maggiore “equità” tributaria e formare i cittadini sull’importanza del proprio ruolo e delle ricadute dei propri comportamenti in tale importante ambito. La tariffazione puntuale, infatti, assegnando un costo equo alla produzione di rifiuti, funge da leva per orientare la condotta di ciascuno ad una più attenta gestione dei rifiuti e, di conseguenza, delle risorse naturali.

La materia ha quindi riflessi sull’intera pianificazione della corretta produzione dei rifiuti urbani per favorire il relativo riciclo e tutelare l’ambiente. Essa trova puntuale regolamentazione anche mediante il concorso delle fonti secondarie degli enti che applicano l’imposizione.

Una recente pronuncia della Cassazione, l’Ordinanza 27 giugno 2024 n. 17789 ha deciso una controversia relativa proprio all'applicazione di una norma del Regolamento comunale per la quale la misurazione della parte variabile della tariffa: "tiene conto (...) del numero di svuotamenti effettuati dalla stessa utenza parametrato al volume espresso in litri del contenitore assegnato a ciascuna utenza". Peraltro tale norma era conforme al disposto di una Delibera di giunta provinciale, secondo cui “"la parte variabile della tariffa è commisurata, sia per le utenze domestiche che per le utenze non domestiche, alla quantità di rifiuti non differenziati prodotta. Tale quantità può essere misurata sia in termini di peso, sia in termini di volume del contenitore svuotato e quindi in base al numero di svuotamenti".

La critica mossa dal ricorrente riguardava la constatazione che, ferma restando la potestà delle amministrazioni locali di stabilire sistemi di misurazione dei rifiuti, “le relative modalità adottate nei singoli casi non potevano prescindere totalmente dal criterio fondamentale di legge, costituito dalla quantità di rifiuti "effettivamente conferiti" (art. 6, co. D.P.R. 158/99, emanato in attuazione del D.Lgs. 22/97), mentre nel caso di specie la misurazione era stata dal Comune stabilita in base al numero degli svuotamenti dei cassonetti e del loro volume, indipendentemente dal loro livello di riempimento effettivo (c.d. criterio del "vuoto per pieno"). Ciò stante il fatto che la legge statale non prescrive che l’utente debba effettuare il massimo riempimento dei contenitori posti a sua disposizione ed esposti per la raccolta.

La controricorrente a suola volta obiettava che il medesimo articolo 6 co. 2 “attribuisce ai Comuni, nell'ambito dell'opzione per la misurazione puntuale dei rifiuti, una potestà organizzativa discrezionale non tassativamente vincolata alla misurazione del peso effettivo dei conferimenti (del resto onerosa, se non tecnicamente impossibile), con conseguente legittimità del criterio del numero degli svuotamenti in luogo di quello del peso effettivo; tanto più che ben potevano gli utenti esporre i contenitori solo dopo il loro massimo riempimento. Inoltre, la possibilità di applicare alla Tia per le utenze non domestiche, come quella in esame, un criterio presuntivo e normalizzato di quantificazione era stata ammessa anche dal Consiglio di Stato (sent. n. 6208/12), con richiamo alla sentenza CGUE 16.7.2009 in causa C-254/08, Futura Immobiliare, la quale aveva escluso la necessità di un criterio preciso ed esatto di misurazione del volume dei rifiuti conferiti.”

Ebbene, la Suprema Corte ha ritenuto che la richiamata disciplina secondaria “non andava disapplicata dal giudice di merito, ex art. 7 D.Lgs. 546/92, in quanto non contrastante né con la disciplina statale né con il principio unionale del "chi inquina paga”.

Secondo la normativa statale, la tariffa è composta da una parte fissa e da una variabile, quest’ultima “rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione.”

“Il criterio del numero di svuotamenti, in rapporto alla volumetria dei cassonetti dedicati alla singola utenza non domestica, risponde al […] parametro legale di determinazione della "quantità di rifiuti effettivamente conferiti", anche più di quello basato sul rapporto tra superficie e kg, così da apprestare, pur nell'ambito del metodo normalizzato, una tariffa più 'puntuale' e quindi più conforme al criterio statuale dell'entità del conferimento effettivo.”

La sentenza CGUE citata ha poi precisato che “L'art. 15, lett. a), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti […] non osta ad una normativa nazionale che disponga la riscossione, per il finanziamento di un servizio di gestione e smaltimento dei rifiuti urbani, di una tassa calcolata sulla base di una stima del volume di rifiuti generato dagli utenti di tale servizio e non sulla base del quantitativo di rifiuti da essi effettivamente prodotto e conferito.Ne consegue che è rimesso al giudice valutare nel caso di specie, "escludendo che un criterio non perfettamente puntuale, ma pur sempre di ragionevole approssimazione, possa di per sé violare il principio del 'chi inquina paga […]".

“Sul piano pratico, poi, un siffatto sistema di calcolo non pregiudica l'utente, il quale ha modo di incidere direttamente sul numero degli svuotamenti (anche in ottemperanza agli obblighi di buona fede e collaborazione ex art. 10 L. 212/00) esponendo alla raccolta soltanto i contenitori al colmo, così da fruire della massima volumetria disponibile, e trasformare di fatto il criterio (impropriamente) chiamato "vuoto per pieno" in "pieno per pieno"”.


Articolo dell'Avv. Simonetta Cipriani

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