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ANCI – 29 maggio 2025
Pasto da casa a scuola, no definitivo delle sezioni unite della Cassazione
Servizi Comunali Refezione scolasticaApprofondimento di Amedeo Di Filippo
Pasto da casa a scuola, no definitivo delle sezioni unite della Cassazione
Amedeo Di Filippo
Con la sentenza n. 20504 depositata il 30 luglio (consultabile al link indicato in calce) le sezioni unite della Corte di cassazione mettono fine alla contesa che ha contrapposto le famiglie e il Comune di Torino circa la possibilità di riconoscere il diritto degli studenti di non usufruire della mensa scolastica e portarsi il pasto da casa.
Il caso
La vicenda ha origine in un ricorso proposto da alcuni genitori affinché venisse accertato il loro diritto di scegliere tra la refezione scolastica e il pasto domestico, consentendo ai minori la possibilità di consumare il secondo all’interno dei locali adibiti a mensa della scuola nell’orario destinato alla refezione. Ricorso rigettato dal Tribunale di Torino sulla base della considerazione che il servizio di refezione scolastica è, ai sensi del D.M. 31 dicembre 1983, un servizio locale a domanda individuale che l’ente non ha l’obbligo di istituire e organizzare ed è facoltativo per l’utente che può, quindi, scegliere di non avvalersene.
Con la sentenza 21 giugno 2016, n. 1049 la Corte d’Appello di Torino ha capovolto il giudizio sulla base della constatazione che anche il “tempo mensa” è diventato un diritto soggettivo perfetto perché è compenetrato allo stesso diritto all’istruzione, talché la consumazione del pasto alternativo deve avvenire a scuola, anche se al di fuori della refezione scolastica.
Lo stesso Tribunale di Torino ha rimeditato la propria posizione con l’ordinanza n. 20984 del 13 agosto 2016, che utilizza gli stessi argomenti del giudice d’appello stabilendo che, poiché l’alternativa di imporre il digiuno agli studenti che non vogliano fruire della mensa scolastica è manifestamente irragionevole e impraticabile, l’unica alternativa è quella di riconoscere loro il diritto di consumare a scuola un pasto preparato a casa.
Agli orientamenti del giudice ordinario si è confrontato il Miur con la nota prot. 348 del 3 marzo 2017, che ha raccomandato alle istituzioni scolastiche di non discostarsi dalle sentenze al fine di escludere ogni profilo di responsabilità individuale e ha invitati i direttori degli Ufficio scolastici regionali a riservare ogni attenzione e garantire le condizioni igienico-sanitarie e il diritto alla salute, facendo in modo che vengano accuratamente evitate possibilità di scambio degli alimenti, col rischio di eventuali contaminazioni del cibo, adottando le medesime soluzioni e precauzioni utilizzate allorquando vengono somministrati i pasti c.d. “speciali”, dedicati cioè a diete particolari per motivi di salute, religiosi, di scelte etiche.
L’intervento del giudice amministrativo
Su analoga questione è intervenuto il Tar Campania con la sentenza n. 1566 del 13 marzo 2018, che ha giudicato il ricorso contro il regolamento del servizio di refezione scolastica adottato dal Comune di Benevento nella parte in cui lo rende obbligatorio a tutti gli alunni, imponendo che la mancata iscrizione comporta l’obbligo per il genitore di prelevare il minore per il tempo necessario alla refezione e riaccompagnarlo all’inizio dell’orario delle attività pomeridiane.
E ciò in ragione del fatto che nei locali in cui si svolge il servizio di refezione scolastica non è consentito consumare cibi diversi da quelli forniti dalla ditta appaltatrice e che il consumo di pasti confezionati a domicilio o comunque acquistati autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale, oltre che una possibile fonte di rischio igienico-sanitario.
Il Tar campano ha accolto il ricorso e annullato le norme regolamentari, in considerazione del fatto che le due motivazioni addotte dal Comune, ossia il corretto comportamento nutrizionale e le problematiche igienico-sanitarie, non possono essere prese a fondamento di quelle norme. La sicurezza igienica degli alimenti esterni, afferma la sentenza, non può essere esclusa a priori attraverso un regolamento comunale, ma deve essere rimessa a prudenti apprezzamenti dei singoli direttori didattici, valutando la idoneità dei locali e la disponibilità di personale addetto alla vigilanza (con particolare riguardo ai bambini affetti da allergie e intolleranze alimentari), senza escludere eventuali misure ad hoc mirate a garantire la provenienza sicura dell’alimento (es. scontrini di acquisto, come di consueto avviene nelle ipotesi di eventi festosi).
Tutto questo inoltre comporta aggravi logistici alle famiglie degli alunni non aderenti, costretti ad essere allontanati per il tempo necessario a consumare fuori scuola il proprio pasto e a mancare al “tempo mensa” considerato a tutti gli effetti come tempo educativo.
La sentenza del Tar Campania è stata impugnata dal Comune di Benevento e la quinta sezione del Consiglio di Stato ha respinto l’appello con la sentenza n. 5156 del 3 settembre 2018, nella quale ha messo in evidenza l’incompetenza assoluta del Comune nell’imporre prescrizioni ai dirigenti scolastici limitando la loro autonomia con vincoli in ordine all’uso della struttura scolastica e alla gestione del servizio mensa. Tenuto anche conto che sulla materia è già intervenuto il Miur con la citata circolare n. 348/2017, confermando la possibilità di consumare cibi portati da casa secondo alcune regole igieniche ivi indicate.
Le norme regolamentari inoltre limitano una naturale facoltà dell’individuo, afferente alla sua libertà personale, vale a dire la scelta alimentare che, salvo non ricorrano dimostrate e proporzionali ragioni particolari di varia sicurezza o decoro, è per sua natura e in principio libera sia dentro che fuori casa e per questo può essere contenuta solo qualora sussistano dimostrate e proporzionali ragioni inerenti opposti interessi pubblici o generali, che il regolamento comunale nel caso specifico non manifesta. Tanto più che la sicurezza igienica degli alimenti portati da casa non può essere esclusa a priori ma va rimessa al prudente apprezzamento e al controllo in concreto dei singoli dirigenti scolastici.
La decisione della Cassazione
La vicenda è stata esaminata dalla prima sezione civile della Suprema Corte, a cui si sono rivolti il Comune di Torino e il Miur, che con l’ordinanza interlocutoria n. 6972 dell’11 marzo 2019 ha rimesso alle sezioni unite la questione di massima se sia configurabile un diritto soggettivo perfetto dei genitori degli alunni di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica e il pasto portato da casa o confezionato autonomamente e di consumarlo nei locali della scuola e comunque nell’orario destinato alla refezione scolastica.
Con la sentenza n. 20504 depositata il 30 luglio le sezioni unite si sono ora espresse, riconoscendo fondati entrambi i ricorsi.
Condivide in prima istanza la Corte l’assunto che il “tempo mensa” deve essere compreso nel “tempo scuola”, ma questo non comporta la compromissione del diritto all’istruzione nel caso in cui si impedisca agli alunni di pranzare a scuola col cibo portato da casa e non ha come conseguenza di ostacolare ingiustamente gli alunni stessi a partecipare alle attività formative pomeridiane. Il “tempo mensa” condivide le finalità educative proprie del progetto formativo scolastico di cui è parte, purtuttavia non comporta un diritto soggettivo perfetto all’autorefezione individuale inteso come inerente al diritto all’istruzione garantito dalla Costituzione.
L’assunto centrale proposto dalle sezioni unite è che non è possibile legittimare la presenza di un diritto soggettivo perfetto, per varie ragioni. Sul piano della violazione del principio di gratuità dell’istruzione inferiore, innanzi tutto, perché il servizio di refezione scolastica è assistito dalla contribuzione delle famiglie sulla base delle rispettive possibilità. Sul piano della libertà personale, perché le singole istituzioni scolastiche sono del tutto libere di decidere di istituire il servizio, per cui le famiglie dispongono di un diritto di partecipazione sulle modalità di gestione del servizio solo qualora istituito, non di un diritto soggettivo perfetto, che potrebbe derivare solo da un eventuale obbligo per le istituzioni scolastiche di istituirlo. Obbligo che naturalmente non esiste.
Su questo particolare aspetto le sezioni unite evidenziano da un lato l’incongruenza di sistemare gli alunni al di fuori del refettorio per consumare il “pasto in solitario” portato da casa, perché mina lo stesso obiettivo di fondo della refezione scolastica che è quello della socializzazione e della condivisione; dall’altro, il contrario obbligo per la scuola di garantire la presenza degli alunni nel refettorio col pasto portato da casa a fianco degli altri con pasto fornito dal servizio mensa comporta una impropria ingerenza dei privati nella gestione di un servizio del tutto volontario che, tra l’altro, non prevede la vigilanza da parte del personale docente, con conseguente onere per la scuola di prevedere forma di vigilanza alternative.
L’ulteriore aspetto messo in rilievo nella sentenza è che non del diritto di libertà si tratta in quanto il relativo esercizio presuppone non già l’astensione ma l’intervento attivo dell’istituzione scolastica, talché si configura come un diritto sociale come tale condizionato dalle scelte organizzative dell’ente, sulle quali le famiglie possono influire mediante gli ordinari strumenti di partecipazione al procedimento amministrativo.
L’ultima riflessione è riservata al fatto che “l’istituzione scolastica non è un luogo dove si esercitano liberamente i diritti individuali degli alunni né il rapporto con l’utenza è connotato in termini meramente negoziali, ma piuttosto è un luogo dove lo sviluppo della personalità dei singoli alunni e la valorizzazione delle diversità individuali … devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli alunni e delle comunità, come interpretati dell’istituzione scolastica mediante regole di comportamento cogenti, tenendo conto dell’adempimento dei doveri cui gli alunni sono tenuti, di reciproco rispetto, di condivisione e tolleranza”.
31 luglio 2019
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Presentata dalla dott.ssa Grazia Benini e da Gioele Dilevrano
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