Baratto amministrativo: la delibera del Comitato ministeriale per il verde pubblico

Approfondimento di Luciano Catania

Servizi Comunali Verde pubblico
di Catania Luciano
29 Agosto 2018

Approfondimento di Luciano Catania                                                                             

Il “Comitato per lo sviluppo del verde pubblico”, ufficio di diretta collaborazione con il Ministero dell’Ambiente, con la delibera n. 27 del 2 maggio scorso, è intervenuto per dettare delle linee guida in materia di “baratto amministrativo”. L’art. 24 del decreto legge n. 133/2014, detto ''Sblocca Italia'' e l’art. 190 del D.Lgs. n. 50/2016, cosiddetto “Codice degli appalti”, prevedono misure di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio. I Comuni possono stabilire criteri e condizioni per la realizzazione d’interventi su progetti presentati da cittadini singoli o associati, concedendo in cambio riduzioni o esenzioni nel pagamento dei tributi locali. La norma stabilisce le fattispecie di attività ammissibili. L'esenzione è concessa per un periodo limitato e definito, per specifici tributi e per attività individuate dai Comuni. Si tratta di previsioni di legge, basate sul principio della sussidarietà orizzontale, che presentano problemi applicativi, che il “Comitato” ha provato a chiarire.

 

BARATTO AMMINISTRATIVO: LA DELIBERA DEL COMITATO MINISTERIALE PER IL VERDE PUBBLICO

 

Luciano Catania

 

Il “Comitato per lo sviluppo del verde pubblico”, ufficio di diretta collaborazione con il Ministero dell’Ambiente è intervenuto sul “baratto amministrativo”, istituto che incide su compiti propri di Comuni e Province ed, in particolare, sulla fiscalità locale.

Il baratto è stato previsto dapprima, in maniera criptica, dall’art. 11, comma 2, lett. f) del D.Lgs. 14 marzo 2011 n. 23 e, successivamente, in maniera più chiara, dall’art.24 del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, nella Legge 11 novembre 2014, n. 164.

L’art. 11 del D.Lgs. n. 23/2011 prevede che i Comuni, con proprio regolamento, in materia di Imu secondaria (e, quindi, non ancora applicabile), potessero disporre esenzioni ed agevolazioni, in modo da consentire una più piena valorizzazione della sussidiarietà orizzontale, nonché ulteriori modalità applicative del tributo.

Il baratto amministrativo, in effetti, è uno strumento per potenziare e promuovere l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività d’interesse generale.

La sussidiarietà orizzontale ha avuto un primo riconoscimento con l’art. 2 della Legge 3 agosto 1999, confluito poi nel testo unico degli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267) per, poi, trovare copertura costituzionale con il comma 4 dell’art. 118 della Costituzione.

L’art. 24 del D.L. n. 133/2014 (Misure di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio) prevede che: I comuni possono definire con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di interventi su progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in relazione al territorio da riqualificare, mentre l’art. 190 del D.Lgs. n. 50/2016 (Nuovo codice appalti) trattando del baratto amministrativo ed interventi di sussidiarietà orizzontale, recita: Gli enti territoriali definiscono con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di contratti di partenariato sociale, sulla base di progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in relazione ad un preciso ambito territoriale. alla stessa.

La sussidiarietà orizzontale esprime il criterio di ripartizione delle competenze tra enti locali e soggetti privati, individuali e collettivi, operando come limite all’esercizio delle competenze locali da parte dei poteri pubblici: l’esercizio delle attività d’interesse generale spetta ai privati o alle formazioni sociali e l’ente locale ha un ruolo sussidiario di coordinamento, controllo e promozione. Solo ragioni di maggiore efficienza ed efficacia possono portare la Pubblica Amministrazione a sostituirsi all’intervento dei privati.

La prima vera norma di riferimento del baratto amministrativo, relativamente alla fiscalità locale è stata, quindi, l’art. 24 della D.L. n. 133/2014, cosiddetto “Sblocca Italia” che definisce le misure di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio.

I Comuni possono stabilire i criteri e le condizioni per la realizzazione d’interventi su progetti presentati da cittadini singoli e associati, purché individuati in relazione al territorio da riqualificare.

La norma chiarisce quali ambiti devono riguardare gli interventi proposti: la pulizia, la manutenzione, l'abbellimento di aree verdi, piazze o strade ed in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano.

In relazione alla tipologia dei predetti interventi, i Comuni possono deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere. L'esenzione può essere concessa per un periodo limitato, per specifici tributi e per attività individuate dai Comuni.

Il “Comitato per lo sviluppo del verde pubblico”, nella delibera n. 27 del 2 maggio scorso, ha sottolineato come nel caso del baratto amministrativo s’intervenga in compiti istituzionali propri dell’ente locale, che potrebbero essere svolti direttamente o scegliendo un privato mediante procedura ad evidenza pubblica.

L’alternativa del ricorso al baratto amministrativo dev’essere, pertanto, analizzata tenendo conto che si tratta, comunque, di un negozio bilaterale tra pubblica amministrazione e cittadini (singoli o in forma associata) che, ordinariamente, non operano sul mercato.

La delibera del “Comitato” pone in rassegna le principali pronunce della magistratura contabile su questa tipologia contrattuale che, pur nell’assenza di finalità lucrative, è caratterizzata, comunque, dalla sussistenza di prestazioni corrispettive: una di facere e l’altra di esenzione fiscale.

La norma non prevede alcuna compensazione generalizzata tra lavori-attività di pubblico interesse e tributi locali. Non può, ovviamente, nemmeno costituire, come ribadisce il “Comitato” un modo di aggirare la normativa in materia di affidamento di servizi o lavori.

Si tratta di una previsione stringente che definisce i potenziali beneficiari delle agevolazioni, le attività oggetto del “baratto” nonché i tributi rispetto ai quali può essere deliberata la riduzione o l’esenzione.

Il baratto amministrativo, così come definito dalla L. 133/2014 e dal D. Lgs. n. 50/2016, riguarda solamente i tributi e sono, quindi, escluse le altre entrate dell’Ente.

Rispetto al canone dell’acqua (o, ad esempio, alla Cosap) il riferimento legislativo non può essere la normativa del baratto amministrativo. Fermo restando che solo per le entrate di natura fiscale sussiste il principio d’indisponibilità e, quindi, nel rispetto delle regole di contabilità pubblica, l’Ente potrebbe determinarsi in merito alle entrate di natura non tributaria.

Istituti analoghi al baratto amministrativo possono, dunque, essere attivati con riferimento alle entrate patrimoniali (non tributarie), riguardo alle quali il Comune gode di una maggiore flessibilità e può disciplinare le modalità di soddisfazione dei propri crediti (dello stesso parere si è dichiarata la Fondazione Anci – Ifel).

Il “Comitato”, con riferimento alla possibilità di ricorrere al baratto amministrativo per i crediti di natura extratributaria, connessi con l’erogazione di servizi pubblici o di prestazioni a domanda individuale, richiama un parere favorevole emesso dalla Sezione Controllo della Lombardia (deliberazione n. 172/2016).

I beneficiari dell’agevolazione dovranno essere individuati tra i cittadini singoli o associati. Vengono, quindi, escluse le società commerciali e le imprese.

Le attività che il cittadino deve rendere al Comune non possono essere quelle esercitate professionalmente quale attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.

La “controprestazione” rispetto all’agevolazione tributaria non può essere quella prodotta per ricavare dalla stessa, sia essa produttiva o interpositiva nella circolazione di beni o di servizi, un profitto personale.

Il cittadino, secondo quanto scrive il Comitato, “... non può, per ragioni di ordine strutturale, qualificarsi come operatore in senso proprio. Ne deriva, infatti, che quello che ne occupa è sì un contratto che ha per oggetto lavori e servizi ma non è un appalto o concessione”.

L’assenza di finalità di lucro, però, non può condurre ad assimilare il baratto amministrativo ad attività di volontariato.

Il “Comitato” ricorda come le Sezioni Autonomie della Corte dei Conti (delibera n. 26/2017) abbiano escluso punti di contatto fra le due tipologie, mancando nel baratto i requisiti di gratuità, personalità e spontaneità della prestazione e difettando l’elemento dell’interposizione obbligatoria delle organizzazioni di volontario, previsto dalla legge (vedi Corte dei Conti, sez. regionale controllo Veneto, delibera n. 313/2016).

Il testo della norma prevede che i soggetti potenzialmente beneficiari delle agevolazioni tributarie debbano necessariamente coincidere con i soggetti “abilitati” a presentare progetti di riqualificazione.

Le riduzioni tributarie sono concesse prioritariamente a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute.

Il problema consiste nel comprendere, nel caso di associazioni stabili e giuridicamente riconosciute, se l’agevolazione spetta ai cittadini associati o all’associazione stessa.

Molti commentatori (vedi, tra gli altri, la nota di approfondimento di Anci Emilia Romagna) sono propensi a ritenere che, nel caso progetti realizzati dalle citate associazioni di cittadini, la riduzione o l’esenzione potrà essere accordata in via prioritaria all’associazione e solo in via secondaria ai singoli cittadini.

La soluzione prospettata è convincente poiché non disperde la capacità incentivante del baratto amministrativo, nel caso in cui l’associazione non abbia debiti tributari propri o li abbia in misura inferiore rispetto al valore dell’attività di pubblico interesse realizzata.

In questo caso, l’agevolazione sarà goduta, in tutto o in parte (per la differenza tra il valore della prestazione ed il debito tributario agevolato), dai cittadini associati.

La norma elenca una serie di attività che possono essere progettate e realizzate per usufruire dell’agevolazione (pulizia, manutenzione, piazze, strade ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso, con finalità d’interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano) tra le quali proprio l’abbellimento di aree verdi e lo sviluppo del verde pubblico.

L’elenco sembra essere tassativo e non meramente esemplificativo. Il Comune, con propria norma regolamentare, non può estendere la riduzione o l’esonero dai tributi ad attività diverse e differenti da quelle indicate dal legislatore.

Secondo il “Comitato”, però, la norma va coerentemente interpretata nel senso che gli interventi ammessi possono consistere in pulizia, manutenzione, abbellimento o valorizzazione mediante iniziative culturali di vario genere. Interventi che, secondo il “Comitato” sono “riconducibili in senso lato al decoro urbano o alla cultura”, mentre non possono essere ricomprese nel baratto amministrativo “iniziative di tipo imprenditoriale, quali la realizzazione e gestione di chioschi e ristoranti, o altre attività a pagamento, su aree verdi pubbliche”.

Il progetto e la conseguente esenzione non possono essere temporalmente illimitati. Il Comune non può prevedere di affidare ai cittadini, o ad associazioni di esse, la manutenzione del verde pubblico esentandoli per un tempo indefinito dal pagamento delle imposte locali. L’esenzione può essere concessa per un periodo limitato e definito.

E’ evidente che il concetto di sussidarietà orizzontale, posto a base del baratto amministrativo, porta a ritenere che le attività dei cittadini debbano essere eseguite in maniera alternativa all’intervento dell’Ente.

Solo se il Comune decide che quella determinata attività può essere svolta dal privato in maniera efficace ed efficiente può astenersi dall’effettuarla. L’intervento del privato non può essere aggiuntivo o di supporto a quello effettuato dal Comune, ma dev’essere alternativo.

L’intervento del singolo cittadino o dell’associazione non deve riguardare la gestione di tutto il verde comunale. Tale previsione sarebbe, evidentemente, irrealizzabile. Sulla zona di verde pubblico individuata nel progetto, il Comune, però, non interverrà.

Il “Comitato” evidenzia come “l’ente pubblico territoriale deve motivare la decisione di avvalersi dell’istituto del baratto sulla base di un’attenta valutazione di tutti gli interessi coinvolti che dimostri la convenienza, anche economica, della scelta effettuata”.

Sia l’art. 24 del D.L. 133/2014 che l’art. 190 del D.Lgs. 50/2016 fanno riferimento ad una mera delibera quale provvedimento amministrativo con il quale è disciplinata l’esenzione o la riduzione del tributo. Il legislatore non ha, quindi, esplicitamente previsto che debba essere emanato un regolamento in materia di baratto amministrativo o che le agevolazioni debbano essere fatte rientrare nei regolamenti dei singoli tributi.

In materia di agevolazioni ed esenzioni, però, la disciplina prevede che le stesse siano stabilite con regolamento, con competenza attribuita al Consiglio comunale.

Pur non essendo previsto da una norma specifica, è evidente che il baratto amministrativo intervenga, integrandola, su materia già definita con norma regolamentare.

Anche se il legislatore non la indica espressamente, la strada dell’approvazione di un apposito regolamento, o di un’integrazione dei regolamenti già esistenti, appare obbligata.

La delibera del “Comitato” richiama il parere, espresso in questa direzione, dalla Sezione regionale di Controllo dell’Emilia Romagna (delibera n 27 del 23 marzo 2016).

I giudici contabili dell’Emilia Romagna hanno evidenziato come il principio dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria sia derogabile solo in forza di una disposizione di legge.

L'agevolazione fiscale può essere, quindi, applicata entro limiti ben circoscritti, attraverso l'adozione di un apposito regolamento comunale ai sensi dell'articolo 52 del D. Lgs. 446/1997.

Non è possibile introdurre il baratto amministrativo con una semplice delibera di Giunta ma occorre seguire la via regolamentare, con l'ulteriore conseguenza che la delibera deve essere approvata entro il termine fissato per l'adozione del bilancio, altrimenti ha efficacia a partire dall'anno successivo.

Il legislatore, però, sembra non avere affrontato alcuni problemi legati al baratto amministrativo.

Il primo riguarda le condizioni di sicurezza per svolgere l’attività pubblica. Si tratta, comunque, di un lavoro svolto per conto di una pubblica amministrazione che non può essere eseguito senza le misure di protezione e prevenzione dei rischi. Non è chiaro se, in questo caso, il Comune possa configurarsi come Ente committente e quale sia la ripartizione delle responsabilità in caso di infortunio.

Un’altra incognita riguarda la non esecuzione o parziale esecuzione delle attività.

Nel primo caso è facile prevedere la perdita delle agevolazioni ma nel secondo caso sarà difficile determinare la percentuale di corretta realizzazione delle attività progettate e rideterminare l’importo delle agevolazioni.

Una norma regolamentare potrebbe prevedere la perdita totale delle agevolazioni anche nel caso di non completa realizzazione delle attività previste nel progetto.

Un problema concreto riguarda l’inerenza dei tributi ridotti o esentati rispetto all’intervento attuato in via sussidaria dai cittadini. Una lettura troppo rigida della norma porterebbe ad escludere alcuni tributi locali dal baratto amministrativo.

L’Imu, ad esempio, essendo un tributo di natura patrimoniale, non potrebbe essere collegato con nessuna attività d’interesse pubblico.

Le ragioni che hanno portato il legislatore ad emanare la norma portano a ritenere che l’inerenza possa essere intesa in senso meno restrittivi e, quindi, un intervento di manutenzione o riqualificazione di un bene immobile comunale possa essere “compensato” con la riduzione o esenzione dall’imposta municipale unica.

E’ evidente che qualsiasi servizio indivisibile reso a favore del Comune possa comportare per il cittadino (in forma singola o associata) l’esenzione della Tasi, la valorizzazione di una zona urbanistica possa comportare la riduzione o l’esenzione della Tosap, per una struttura allocata nella stessa o in altra zona del territorio comunale.

L’inerenza con l’attività svolta del tributo per il quale si riduce o si esenta il pagamento dovrà essere valutato, in sede di approvazione del progetto, motivando la scelta sulla base dei principi di ragionevolezza.

Un’altra questione da valutare, caso per caso, progetto per progetto, sempre secondo criteri di ragionevolezza, riguarda la quantificazione dell’agevolazione.

Il “Comitato” richiamando le pronunce della Corte dei Conti, ricorda come la prestazione offerta dal cittadino deve corrispondere, in valore, alla misura delle imposte locali agevolate.

Il Comune, nell’ammettere il cittadino o l’associazione ad usufruire della riduzione o dell’esenzione del tributo, deve, quindi, valutare il valore economico del servizio reso.

La metodologia più ragionevole da seguire è quella della comparazione con il costo che il Comune avrebbe dovuto sopportare qualora avesse deciso di acquistare il servizio sul mercato o di espletarlo direttamente.

L’agevolazione concessa al cittadino deve essere inferiore a quella normalmente praticata sul mercato perché occorre tenere conto che il prezzo di mercato deve remunerare l’attività d’impresa e sconta il pagamento d’imposte e tasse.

Il Comune deve, poi, controllare che il servizio sia stato regolarmente espletato secondo le indicazioni contenute nel progetto approvato, in base al quale sono state calcolate le possibili agevolazioni, così come farebbe affidando il servizio tramite gara.

Il progetto deve contenere degli elementi di valutazione e degli indicatori che permettano al Comune di verificare il grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Qualsiasi attività posta a base dell’agevolazione dev’essere valutabile sia a monte (circa l’ammissibilità, la legittimità, l’inerenza, il valore) che a valle.

Qualche dubbio sussiste in merito alla possibilità di soddisfare, tramite l’elargizione di servizi, crediti tributari preesistenti.

La realizzazione delle attività progettuali permette di ridurre o esentare il cittadino dal pagamento dei tributi che andranno a maturare ma, di norma, non possono costituire un mezzo di pagamento di tributi già maturati.

Le entrate tributarie oltre ad essere irrinunciabili sono anche indisponibili e, quindi, secondo alcuni, non possono essere oggetto di una trattativa in merito alle attività che potrebbero soddisfare il credito già maturato e non rinunciabile.

La Corte dei Conti Emilia Romagna (parere 27 del 23 marzo 2016) esclude l’uso del baratto amministrativo per i debiti pregressi, perché:

  1. non rientra nell'ambito di applicazione della norma, difettando il requisito dell'inerenza tra l'agevolazione tributaria e l'attività posta in essere dal cittadino;
  2. potrebbe determinare effetti pregiudizievoli sugli equilibri di bilancio, considerato che si tratta di debiti ormai confluiti nella massa dei residui attivi dell'ente.
    Secondo altri, e tra questi, dopo un primo parere di senso opposto, l’Ifel (vedi “Nota di approfondimento sull’istituto del baratto amministrativo” del 22 ottobre scorso): “appare ammissibile estendere il riferimento al “periodo limitato e definito” delle agevolazioni, al fine di comprendere la compensazione di debiti tributari pregressi attraverso gli interventi previsti dalla norma, con particolare riguardo a situazioni di disagio economico-sociale. Tale estensione terrà comunque fermi i criteri di determinatezza e controllabilità dei benefici concessi a fronte dell’intervento attivato”.
    Non vi è dubbio che le entrate tributarie non possano essere rinunciate ma, in questo caso, non si tratta di disporne in merito, ma solo di consentire forme differenti per saldare il debito da parte del cittadino.
    Un’ulteriore difficoltà riguarda l’individuazione del soggetto chiamato a decidere in merito alla regolare esecuzione delle attività progettuali, in caso di contestazioni.
    In materia tributaria ad avere competenza esclusiva sono le Commissioni Tributarie. Il giudice tributario, però, potrà decidere su questioni di diritto che si riferiscono alla spettanza delle agevolazioni ma difficilmente potrà determinarsi in merito alla corretta esecuzione delle attività progettuali.
    Nel regolamento del baratto amministrativo, quindi, sarà opportuno inserire delle procedure di validazione-collaudo delle attività espletate, oltre che un monitoraggio sullo stato di esecuzione del progetto e le modalità di definizione delle controversie inerenti la regolare esecuzione di quanto pattuito.
    A Milano, ad esempio, l’allora giunta Pisapia ha approvato una delibera che prevede la pubblicazione di bandi per trovare i candidati ad effettuare una serie di attività in cambio di agevolazioni tributarie.
    Nel centro meneghino, l’accesso al baratto amministrativo sarà limitato a chi ha un reddito Isee inferiore ai ventunomila euro e dimostri di essere in una situazione di morosità incolpevole.
    L’importo delle agevolazioni sarà calcolato in base alle ore-lavoro necessarie per espletare il servizio.
    22 agosto 2018
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