Approfondimento di Amedeo Di Filippo

ISEE, pochi i margini dei Comuni per limitare il livello delle prestazioni sociali

Servizi Comunali
di Di Filippo Amedeo
06 Agosto 2019

ISEE, pochi i margini dei Comuni per limitare il livello delle prestazioni sociali

Amedeo Di Filippo

 

L’accesso e la compartecipazione al costo delle prestazioni sociali è stabilito dalla disciplina statale sull’ISEE, che non prevede la destinazione del patrimonio né la sua messa a reddito per la copertura della retta; per la redazione dei progetti individuali non è possibile prescindere dall’apporto delle aziende sanitarie; l’integrazione della retta essere concessa anche se la domanda sia stata formulata prima del ricovero. Sono le conclusioni cui è giunto il Tar Lombardia con la sentenza n. 1545/2019.

Il caso

Una associazione di tutela dei diritti dei disabili ha impugnato il regolamento comunale ISEE di disciplina e modalità degli interventi e delle prestazioni dei servizi sociali nella parte in cui prescrive le condizioni affinché il Comune possa intervenire nell’integrazione delle rette dovute alle strutture residenziali che ospitano disabili. Censura in particolare la disposizione secondo cui il Comune provvederà alla integrazione della retta solo se il patrimonio mobiliare dell’assistito risulta inferiore a 5 mila euro; quella in base alla quale, in presenza di patrimonio immobiliare dell’assistito, il Comune, dopo aver proceduto all’integrazione della retta, prenderà accordi con l’assistito medesimo o con i suoi rappresentanti per procedere all’alienazione o alla locazione dei beni e destinare i proventi al rimborso dell’integrazione; in mancanza di accordo, il Comune si rivarrà sulla futura eredità.

Censura inoltre la norma che non darebbe adeguato rilievo al ruolo dei familiari dell’assistito nella formazione dei progetti individuali e quella secondo cui il Comune provvede all’integrazione della retta solamente qualora la relativa domanda sia stata formulata prima dell’inserimento del disabile nella struttura.

Il patrimonio immobiliare

Il Tar Lombardia ritiene fondate tutte le censure. Relativamente a quelle riguardanti il patrimonio immobiliare dell’assistito, le limitazioni previste dal regolamento comunale sono in contrasto col Dpcm n. 159/2013, il quale ha previsto che certo patrimonio mobiliare e immobiliare sono elementi che, combinati con reddito e situazione familiare, debbono essere presi in considerazione per individuare la capacità economica del richiedente, ma ha introdotto regole meno stringenti.

L'art. 2, comma 1, infatti riconosce agli enti erogatori la possibilità di prevedere criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, per cui non solo l’accesso ma anche la compartecipazione al costo delle prestazioni è stabilito avendo come base la disciplina statale sull’ISEE. I criteri ulteriori non possono quindi modificare quelli già previsti dal Dpcm del 2013, “potendosi altrimenti pervenire ad uno stravolgimento dei criteri statali che invece – in quanto funzionali alla determinazione del livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione – debbono trovare uniforme applicazione su tutto il territorio nazionale”.

Nemmeno prevede il Dpcm che, se superiore a determinati limiti, il patrimonio mobiliare debba essere interamente destinato alla copertura della retta; né che i Comuni possano imporre agli assistiti la messa a reddito al fine di destinare i proventi al pagamento della retta stessa. Men che meno la possibilità che, in mancanza di accordo, il Comune possa rivalersi sull’eredità, le cui regole sono dettate dal codice civile.

Il mantenimento

La seconda censura riguarda la disposizione regolamentare che, al fine di stabilire la necessità di ricovero in una struttura residenziale, affida all’assistente sociale del Comune l’onere di verificare preventivamente l’effettiva impossibilità del mantenimento dell’anziano o dell’inabile nel suo nucleo familiare, anche tramite il ricorso ad altri servizi di Rete.

Disposizione anch’essa ritenuta illegittima in quanto non si può attribuire decisivo ed esclusivo rilievo alla decisione dell’assistente sociale, in quanto le misure sociali da erogare in favore di persone bisognose vanno individuate nei Progetti individuali, per la redazione dei quali non è possibile prescindere dall’apporto delle aziende sanitarie.

Il ricovero

L’ultimo aspetto riguarda la previsione secondo cui l’integrazione della retta può essere concessa solo se la relativa domanda sia stata formulata prima del ricovero. In questo caso la soluzione è nell’art. 6, comma 4, della Legge n. 328/2000, che per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il Comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all'eventuale integrazione economica.

Se l’inciso “pima del ricovero” individua il Comune tenuto all’integrazione della retta, il successivo “previamente informato” ha la finalità di far sì che gli interessati, che già abbiano i requisiti per ottenere l’integrazione della retta, informino prontamente il Comune il quale, solo dopo esserne stato informato assume gli obblighi di integrazione economica. Non è invece possibile ritenere che, in base alla suddetta norma, l’obbligo del Comune non possa sorgere qualora lo stato di bisogno economico dell’assistito sia sorto dopo il ricovero e, dunque, la richiesta di integrazione sia stata formulata solo in questo momento.

Ragionare a contrario porterebbe infatti alla soluzione assurda di espellere dal servizio i soggetti che non hanno presentato domanda di integrazione prima del ricovero perché in quel momento avevano adeguata capacità economica, ma che successivamente sono divenuti indigenti. Rimane ovviamente salva la possibilità del Comune di verificare l’appropriatezza, sia sotto il profilo prestazionale che sotto il profilo economico, della struttura presso la quale il richiedente è ricoverato.

6 agosto 2019

 

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