Osservatorio Reddito e Pensione di Cittadinanza: dati di gennaio 2023
INPS – 27 febbraio 2023
Italiani e stranieri soggiornanti in Italia pari sono per l’accesso alle prestazioni sociali
Servizi Comunali Lotta alla povertà e inclusione sociale Servizi alla persona StranieriApprofondimento di Amedeo Di Filippo
Italiani e stranieri soggiornanti in Italia pari sono per l’accesso alle prestazioni sociali
Amedeo Di Filippo
Ai fini del riconoscimento di prestazioni sociali volte a rispondere ai bisogni primari della persona, nel nostro ordinamento non è consentita alcuna differenziazione tra cittadini italiani e stranieri che hanno titolo al soggiorno nel territorio dello Stato italiano laddove il carattere non episodico e di non breve durata della permanenza non siano in discussione. È il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 14261/2019.
Il fatto
La Corte d'appello ha dichiarato il diritto di una cittadina indiana presente in territorio italiano in ragione di un permesso di soggiorno per motivi di studio alla pensione di inabilità di cui all’art. 12 della Legge n. 118/1971, a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda. La Corte ha ritenuto che, al fine di riconoscere il diritto alla pensione di inabilità, occorresse attribuire rilevanza al permesso di soggiorno per ragioni di studio, ritenuto invece irrilevante dall'Inps in quanto meramente temporaneo e limitato alla durata di sei mesi.
L’Inps ricorre in Cassazione in quanto, nell'accogliere la domanda sin dalla data di presentazione della domanda amministrativa, la Corte territoriale avrebbe omesso l'accertamento del requisito della regolare e stabile dimora in Italia dal giorno del rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, ritenuto l’unico documento valido per poter usufruire delle prestazioni di invalidità.
Le ragioni della Cassazione
La Suprema Corte rigetta le motivazioni prospettate dall’Istituto di previdenza, in onore dell’orientamento espresso dalla Corte costituzionale allorquando ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che escludono che l'indennità di accompagnamento possa essere attribuita agli extracomunitari soltanto perché non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per il permesso di soggiorno.
Con la sentenza n. 166 del 20 luglio 2018, la Consulta ha infatti denunciato l’irragionevole discriminazione a danno dei cittadini di paesi non appartenenti all’Unione europea, in onore del principio secondo cui ogni norma che imponga distinzioni fra varie categorie di persone in ragione della cittadinanza e della residenza per regolare l’accesso alle prestazioni sociali deve rispondere al principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., che può ritenersi rispettato solo qualora esista una «causa normativa» della differenziazione che sia giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui è subordinata l’attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio.
Occorre inoltre che la distinzione non si traduca mai nell’esclusione del non cittadino dal godimento dei diritti fondamentali che attengono ai «bisogni primari» della persona, indifferenziabili e indilazionabili, riconosciuti invece ai cittadini. Questa la conclusione: “non si può ravvisare alcuna ragionevole correlazione tra il soddisfacimento dei bisogni abitativi primari della persona che versi in condizioni di povertà e sia insediata nel territorio regionale, e la lunga protrazione nel tempo di tale radicamento territoriale”.
Residenza e Reddito di cittadinanza
La segnalata sentenza della Cassazione è interessante se letta in combinato con i requisiti che l’art. 2 del D.L. n. 4/2019 esige per poter accedere al Reddito di cittadinanza (Rdc), tra i quali la residenza in Italia per almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo.
Requisiti già segnalato come a rischio costituzionalità proprio alla luce della giurisprudenza costituzionale secondo cui lo status di cittadino non è di per sé sufficiente al Legislatore per operare nei suoi confronti erogazioni privilegiate di servizi sociali rispetto allo straniero legalmente risiedente da lungo periodo. La Consulta in diverse occasioni ha infatti rilevato che le politiche sociali ben possono richiedere un radicamento territoriale continuativo e ulteriore rispetto alla sola residenza, ma ciò sempreché un tale più incisivo radicamento territoriale, richiesto ai cittadini di paesi terzi ai fini dell'accesso alle prestazioni in questione, sia contenuto entro limiti non arbitrari e irragionevoli.
Se la determinazione del lasso di tempo necessario all'effettiva equiparazione tra cittadino e straniero residente di lungo periodo è lasciata alla discrezionalità del Legislatore anche in relazione al tipo di servizio pubblico, la giurisprudenza della Corte ha ritenuto irragionevoli alcune disposizioni che richiedono come requisito necessario una permanenza nel territorio di molto superiore a quella necessaria all'ottenimento dello status di soggiornante di lungo periodo (5 anni).
Orientamento ora recepito anche dalla Corte di cassazione, che non riconosce alcuna differenziazione tra cittadini italiani e stranieri che hanno titolo al soggiorno nel territorio dello Stato italiano ai fini dell’accesso alle prestazioni sociali essenziali. Una grana in più per la gestione del Rdc.
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