Approfondimento di Pietro Rizzo
L’INTERPELLO TRIBUTARIO NEGLI ENTI LOCALI
Pietro Rizzo
L'articolo 11 della legge n. 212 del 27 luglio 2000, “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, nell’ambito dei rapporti di collaborazione e di reciproca lealtà fra gli Enti impositori e i contribuenti”, ha disciplinato il diritto di interpello, che consiste nella possibilità, concessa al contribuente, di inoltrare all'ente impositore circostanziate e specifiche istanze concernenti l'applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse.
Con la legge n. 23 dell’11 marzo 2014, il Parlamento ha delegato il Governo ad approvare decreti legislativi per la revisione del sistema fiscale, prevedendo anche l’introduzione di misure di miglioramento del rapporto tra fisco e contribuenti nonché misure per deflazionare il contenzioso.
In attuazione alla legge delega, il Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 156 “Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23” al Titolo I ha revisionato la disciplina degli interpelli in materia tributaria, modificando l’articolo 11 dello Statuto del contribuente.
Secondo l’articolo 8 del D.lgt. 156/2015, gli Enti Locali dovevano provvedere entro il 30 giugno 2016 (sei mesi decorrenti dall’entrata in vigore del decreto legislativo) ad adeguare i rispettivi statuti e gli atti normativi da essi emanati ai principi relativi alla revisione della disciplina degli interpelli, stabilendo, pertanto, l’obbligo per i Comuni di dotarsi di idonea organizzazione e di prevedere peculiari regole procedurali per far fronte tempestivamente agli interpelli riguardanti i tributi locali.
Nelle more dell’aggiornamento del regolamento comunale sul diritto di interpello, fatte salve le norme procedurali non in contrasto con il nuovo quadro normativo, le modifiche previste dal D.lgt. n. 156 del 2015 sono diventate applicabili ai tributi locali sin dal 1° gennaio 2016, anche nell’ipotesi in cui il Comune non abbia mai approvato un proprio regolamento sul diritto di interpello.
L’istituto dell’interpello era già da tempo operante per i Comuni stante che con la Risoluzione n. 1/Dpf del 29 gennaio 2002 il Ministero dell’economia e delle Finanze - Ufficio Federalismo Fiscale- ha precisato che qualsiasi istanza di interpello formulata ai sensi dell’art. 11 della legge n. 212 del 2000, attinente l’esatta interpretazione di una norma relativa ad un tributo locale, doveva essere presentata all’Ente titolare della potestà impositiva, perché la vincolatività dei contenuti della risposta fornita dall’ente locale presenta indubbiamente dei riflessi anche sul suo bilancio, per cui, la competenza a definire la procedura dell’interpello, non può in alcun modo essere trasferita ad un organo esterno, del tutto estraneo alla sfera organizzativa dell’ente territoriale. Si sostiene nella Risoluzione che “Affermare il contrario significherebbe attribuire a soggetti esterni il compito di imporre le proprie determinazioni agli enti locali in merito all’applicazione concreta dei loro tributi e vincolarne anche l’attività di accertamento; ma dette circostanze contrastano apertamente con i principi generali dell’autonomia impositiva riconosciuti dall’ordinamento”. Tale competenza discende dai principi previsti dall’art. 119 della Costituzione, così come affermato dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 296 e 297 del 26 settembre 2003, nonché dall’art.11 della L. 212 del 2000. Questa interpretazione è stata successivamente ribadita con la Risoluzione 6 luglio 2012, n. 73 della Direzione Centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate. L’Ente locale, quindi, è l'unico soggetto che è giuridicamente vincolato ad eseguire quanto ha espressamente affermato in una risposta scritta o quanto implicitamente ha accettato attraverso il silenzio protrattosi oltre il termine di legge dalla presentazione dell'istanza. Si può ricorrere all’interpello qualora sussistano condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di disposizioni di natura tributaria e pertanto non è uno strumento attraverso il quale ottenere la consulenza giuridica da parte dell’Ente impositore. Non è, inoltre, ammesso interpello per questioni di carattere estimativo o di misurazione delle dimensioni di spazi o locali. Il nuovo quadro normativo prevede diverse tipologie di interpello, non tutte, però, ritenute applicabili ai tributi comunali. Quelle che si ritengono applicabili sono:
- L’interpello ordinario, che riguarda l’applicazione delle disposizioni tributarie quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tali disposizioni e sulla corretta qualificazione di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime, ove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza;
- L’ interpello antiabuso concernente l'applicazione della disciplina sull'abuso del diritto ad una specifica fattispecie con riferimento a qualsiasi settore impositivo.
Il D.Lgs. n. 156/2015 ha fissato termini di risposta differenti secondo la tipologia d’interpello. L'amministrazione deve rispondere alle istanze d’interpello entro novanta giorni nel caso di interpello “ordinario” cioè attivato per una corretta applicazione delle disposizioni tributarie quando sussistono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di disposizioni tributarie, mentre il termine è di centoventi giorni per tutte le altre ipotesi (qualificazione della fattispecie per quelli probatori e quelli tesi a limitare l’abuso di diritto). Il Comune deve fornire al contribuente una risposta, scritta e motivata, con la propria interpretazione della norma ed alla quale rimane vincolato, con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell'istanza e limitatamente al richiedente.
Gli effetti riconducibili alla risposta fornita sono subordinati alla condizione che la situazione di fatto, cioè la fattispecie concreta, rappresentata dal contribuente sia completa e veritiera. Se la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, il silenzio avvalora l'interpretazione o il comportamento prospettato nell'istanza dal richiedente.
Tuttavia affinché scatti l’istituto del silenzio-assenso è necessario che :
- il contribuente abbia esposto in modo chiaro ed univoco il comportamento e la soluzione interpretativa che intende adottare
- l’istanza sia ammissibile.
L’efficacia della risposta si estende anche in tutte le successive occasioni in cui il contribuente è tenuto a dare applicazione alla norma oggetto di interpello in tutti i casi analoghi e riconducibili a quello prospettato nell’istanza, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell'Ente, con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri del richiedente l’interpello. Tutti gli atti, compresi quelli impositivi o sanzionatori, sono "nulli" se emanati in difformità della risposta o dell'interpretazione fornita o desunta dal silenzio-assenso dell'amministrazione. Nei casi in cui non sia stata resa risposta favorevole, resta comunque ferma la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione delle proprie ragioni anche ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa. L'istanza, redatta in carta semplice, oltre a fare espresso riferimento alle disposizioni che disciplinano il diritto di interpello, deve contenere:
a) i dati identificativi dell'istante ed eventualmente del suo legale rappresentante, compreso il codice fiscale;
b) l'indicazione del tipo di istanza fra quelle previste dalle diverse lettere del comma 1 e al comma 2, dell'articolo 11, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente);
c) la circostanziata e specifica descrizione della fattispecie;
d) le specifiche disposizioni di cui si richiede l'interpretazione, l'applicazione o la disapplicazione;
e) l'esposizione, in modo chiaro ed univoco, della soluzione proposta;
f) l'indicazione del domicilio e dei recapiti anche telematici dell'istante o dell'eventuale domiciliatario presso il quale devono essere effettuate le comunicazioni dell'amministrazione e deve essere comunicata la risposta;
g) la sottoscrizione dell'istante o del suo legale rappresentante ovvero del procuratore generale o speciale incaricato. In questo caso, se la procura non è contenuta in calce o a margine dell'atto, deve esservi allegata.
Se la domanda è priva di sottoscrizione, la mancanza viene sanata se il contribuente provvede alla regolarizzazione entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito da parte dell’ufficio competente. In tal caso l’istanza si considera prodotta nella data di sottoscrizione.
Le istanze di interpello sono inammissibili, fra le altre ipotesi, anche quando:
- non ricorrono le obiettive condizioni di incertezza;
- hanno ad oggetto la medesima questione sulla quale il contribuente ha già ottenuto un parere, salvo che vengano indicati elementi di fatto o di diritto non rappresentati precedentemente;
- vertono su questioni per le quali siano state già avviate attività di controllo alla data di presentazione dell'istanza di cui il contribuente sia formalmente a conoscenza.
L’istanza inammissibile non produce gli effetti tipici dell’interpello, in particolare l’eventuale silenzio osservato dall’Ente nei 120 giorni successivi alla sua presentazione, non potrà considerarsi come implicita accettazione della soluzione proposta dal contribuente; non scatta cioè l’istituto del silenzio-assenso.
Nei casi in cui le istanze siano carenti dei requisiti prima specificati l'Amministrazione invita il contribuente alla loro regolarizzazione entro il termine di 30 giorni. I termini per la risposta iniziano a decorrere dal giorno in cui la regolarizzazione è stata effettuata. Qualora il contribuente, invitato a integrare i dati non provvede alla regolarizzazione nei termini previsti la richiesta viene dichiarata inammissibile. All'istanza di interpello è allegata copia della documentazione rilevante ai fini della risposta non in possesso dell'amministrazione procedente o di altre amministrazioni pubbliche indicate dall'istante. Nei casi in cui la risposta presupponga accertamenti di natura tecnica che non sono di competenza dell'amministrazione procedente, alle istanze devono essere allegati i pareri resi dall'ufficio competente.
Relativamente agli effetti derivanti dalla disciplina dell'interpello la presentazione dell'istanza non ha effetto sulle scadenze previste dalla disciplina tributaria. Anche se l’interpretazione vale limitatamente al richiedente questo non esonera l’Ente dai suoi doveri di imparzialità e trasparenza, e pertanto non è legittimo che, rispetto a fattispecie analoghe, il Comune dia risposte differenti, salvo che non si siano verificati fatti nuovi. Quando non è possibile fornire risposta sulla base dei documenti allegati, l'amministrazione chiede, una sola volta, all'istante di integrare la documentazione presentata. In tal caso il parere è reso entro sessanta giorni dalla ricezione della documentazione integrativa. La mancata presentazione della documentazione entro il termine di un anno comporta rinuncia all'istanza di interpello, ferma restando la facoltà di presentazione di una nuova istanza, ove ricorrano i presupposti previsti dalla legge.
Mentre nel caso del reclamo, la proposta di mediazione da parte del contribuente costituisce una mera facoltà, nel caso dell’interpello la prospettazione da parte del contribuente di una soluzione alla fattispecie descritta è un elemento essenziale. Nel caso di silenzio dell’Amministrazione interpellata, infatti, la soluzione ipotizzata nell’istanza viene considerata condivisa.
Quando un elevato numero di contribuenti presenta richieste aventi contenuto analogo, l’Ente Locale può ritenere opportuno pubblicare la risposta sul proprio sito istituzionale, mediante la forma di una circolare o di una risoluzione. E' sempre possibile per l'amministrazione ritornare sulla questione dando al contribuente una risposta diversa allo scopo di rettificare quella precedentemente data o dall'interpretazione che emerge nel caso di silenzio-assenso. In tal caso possono verificarsi distinte situazioni:
1. Se il contribuente, prima della rettifica, ha già messo in atto il comportamento oggetto dell’istanza di interpello, uniformandosi all’interpretazione ricevuta in precedenza (ovvero, in caso di mancata risposta, a quella da lui prospettata nell’istanza), nessuna pretesa può essere avanzata dall’Amministrazione né per le imposte né per le sanzioni. Però, se successivamente il contribuente dovrà dare nuova esecuzione alla norma dovrà applicare l'ultima interpretazione dell'amministrazione;
2. se il contribuente non ha ancora non ha ancora attuato il comportamento conforme alla prima risposta, e procede ugualmente nella direzione indicata nonostante il cambio di orientamento – sarà tenuto a pagare le maggiori imposte eventualmente dovute e i relativi interessi derivanti dalla risposta di rettifica, escluse le sanzioni.
E’ da rilevare che il funzionario dell’Ente risponde del danno erariale quando consente, con dolo o colpa grave, indebitamente ed illegittimamente il prodursi degli effetti dell’interpello per effetto del decorso del termine entro il quale rispondere al contribuente, anche se non è necessario che dall'annullamento il funzionario tragga (o speri di trarne) un qualche profitto, ipotesi quest'ultima che si configurerebbe, per altro verso, come reato. Secondo quanto espressamente previsto dal primo comma dell’art. 6 del D.lgt 156/2015 le risposte alle istanze di interpello non sono autonomamente impugnabili. Il contenuto di questa norma è sostanzialmente confermativo del consolidato orientamento (Corte Costituzionale sentenza 14 giugno 2007, n. 191 - Consiglio di Stato, decisione 26 gennaio 2009, n. 414) teso a negare tutela giurisdizionale, sia dinanzi al giudice tributario che davanti a quello amministrativo avverso le risposte ad istanze di interpello, conformemente alla loro natura di “pareri” (e quindi di atti privi dei caratteri necessari per la loro immediata ricorribilità in giudizio) ed alle regole di istruttoria che non attribuiscono mai all’amministrazione poteri in ordine alla verifica della completezza e veridicità delle informazioni fornite dall’istante.
27 maggio 2019