Approfondimento di Alessandro Russo
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Mediazione, negoziazione assistita e transazione: quali vantaggi e quali rischi per la Pubblica Amministrazione?
Alessandro Russo
Gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie si impongo sempre di più nel nostro ordinamento, spinti anche da quelli comunitario ed internazionale.
La domanda cui qui si cercherà di rispondere è: può la Pubblica Amministrazione legittimamente sedersi a tavoli di giustizia alternativa a quella dello Stato?
La risposta è assolutamente sì.
Già nel 1936 Enrico Guicciardi affermava: <<La transazione costituisce uno strumento efficacissimo per la pace sociale, cui la Pubblica Amministrazione non può sottrarsi.>>[1].
Nei primi anni del XXI secolo è invece Guido Greco che, interessandosi degli strumenti alternativi al Giudice come forma di deflazione del contenzioso cui la Pubblica Amministrazione è parte, sostiene: <<Nell’età della risarcibilità degli interessi legittimi, la conclusione di accordi transattivi può rappresentare per la P.A. un formidabile strumento di contenimento della spesa pubblica, se utilizzato in maniera trasparente, ragionevole e leale>>[2].
Solo ragioni di brevità hanno costretto al salto temporale, che testimonia però come il diritto amministrativo si sia sempre interessato alle forme di auto-risoluzione delle controversie, legittimando l’Amministrazione all’utilizzo di tali strumenti.
Fermi gli istituti “classici” quali la transazione, l’arbitrato, l’accordo bonario e la conciliazione della lite, previsti sia dal codice civile che dal nuovo codice dei contratti, chi scrive vorrebbe qui brevemente considerare la possibilità per gli Enti pubblici di sedersi ai tavoli di mediazione e di negoziazione assistita.
Non pare questa la sede per un’analisi degli istituti in senso processualistico o civilistico sostanziale, chi scrive vorrebbe invece rintracciare la logica sottesa alla mediazione ed alla negoziazione assistita, per comprendere se questa logica può essere applicata anche alla Pubblica Amministrazione.
Obbiettivo degli strumenti di decisione alternativi al Giudice è l’assistenza delle parti nella ricerca di una composizione non giudiziale della loro crisi; tentando di rendere complementari interessi che, ad una visione meramente retributiva del conflitto, appaiono opposti.
Così le parti - con l’aiuto degli avvocati - tentano di risolvere la lite da loro, ricercando un punto di equilibrio, in un tempo contenuto, quattro mesi al massimo. Se non vi riescono allora si rivolgeranno alla Giustizia dello Stato: l’ultima fortezza a presidio del diritto.
Le tecniche ADR puntano quindi a far ricostruire alle parti la propria verità, concepita in termini dialogici. Queste tenteranno di allontanarsi dallo scontro, per approcciarsi ad una visione integrativa dei loro interessi, che sia in grado di ristabilire il rapporto incrinatosi e permetta una produttiva relazione futura.
Non si comprende allora perché alla giustizia riparativa non dovrebbe accedere anche la Pubblica Amministrazione.
Questa infatti (oggi molto più di ieri) ha bisogno di non interrompere il rapporto col cittadino-utente, almeno per non veder decrescere il gettito fiscale.
Le tecniche ADR sono state introdotte con l’esplicita finalità di evitare che ogni controversia si trasformi in contenzioso giurisdizionale, ma è dei vantaggi impliciti che qui si vuole discutere. Primo fra tutti una nuova responsabilizzazione degli agenti in conflitto, includendovi anche la PA, quando questa abbia legittimazione soggettiva e disponibilità dei diritti[3].
L’Ente potrà tentare di risolvere il conflitto con gli istituti alternativi al Giudice quando, nel perseguimento del pubblico interesse, utilizzerà gli strumenti del diritto privato.
È infatti l’art. 1 c. 1bis Legge 241/1990 smi che impone alle Amministrazioni pubbliche, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, di utilizzare gli strumenti previsti dal diritto privato e di ricercare l’accordo con il cittadino.
È però tutto l’impianto della Legge n. 241/1990 smi che, partendo dagli obblighi di partecipazione del privato al procedimento e terminando col diritto d’accesso, va letto nel senso di una composizione preventiva dei potenziali conflitti.
Ad obbligare le Pubbliche Amministrazioni all’utilizzo degli strumenti ADR ci ha pensato lo stesso Governo.
La Circolare n. 2/2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica infatti stabilisce: <<La normativa in materia di mediazione trova applicazione anche con riferimento al settore pubblico (…) per quelle controversie che implichino la responsabilità della P.A. per atti di natura non autoritativa.>>.
Uno degli arresti più pregevoli del documento è proprio la definizione di controversia: <<Crisi di cooperazione tra privati e Enti che agiscono jure privatorum, risolubile (…), anche per mezzo di accordi amichevoli che tendano a rinegoziare, a ridefinire obbiettivi, contenuti e tempi del rapporto di cooperazione in vista del suo prolungamento>>.
A giudizio di chi scrive, entro questi limiti, la PA ha la possibilità di agire come il privato cittadino e può trarre i veri vantaggi offerti dalla mediazione e dalla negoziazione assistita: curare il conflitto condizionando i propri interessi con quelli del confliggente, tentando - per il possibile - di moltiplicare i bisogni e le richieste di entrambe le parti, pubblica e privata, di modo che si possa raggiungere una zona d’equilibrio in cui si sviluppino soluzioni creative alla crisi di cooperazione, capaci di superarla, in vista proprio del prolungamento della relazione.
E questo, a voler essere ciechi, col solo fine di continuare ad estrarre un gettito fiscale che, se non adeguatamente trattenuto, rischia di sfuggire alla nostra tassazione.
Venendo poi all’analisi della L. n. 164/2014, di conversione del D.L. n. 132/2014, l’art. l’2 c. 1bis espressamente recita: <<E’ fatto obbligo per le Amministrazioni di cui all’art. 1 c. 2 D.Lgs. N. 165/2001 smi, di affidare la convenzione di negoziazione alla propria Avvocatura, ove presente.>>.
Ragionando a contrario si approda facilmente alla conseguenza che le Amministrazioni non dotate di Avvocatura affideranno le proprie negoziazioni assistite o ad un procuratore esterno, oppure ad una figura interna competente.
E le materie della negoziazione assistita sono le più disparate, data la formulazione aperta dell’art. 3 c. 1: <<Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l'altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Allo stesso modo deve procedere, (…) chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti € 50.000.>>.
È allora opportuno che gli Enti pubblici si dotino di figure capaci di utilizzare con criterio gli strumenti ADR, o ricercandoli all’esterno oppure formandoli all’interno; dotandoli nel contempo di quei poteri necessari ad impegnare l’Ente nei limiti dell’affare da gestire.
Il funzionario pubblico però è reticente nell’utilizzo di questi istituti. Preferisce ancora barricarsi dietro la decisione giurisdizionale, che considera - a torto - la sola in grado di evitare la “scure” della responsabilità erariale, piuttosto che assumersi il peso di un tempestivo accordo.
La Corte dei Conti però non preclude affatto la via del compromesso, anzi sono ormai numerose le decisioni che condannano l’irragionevole difesa ad oltranza della PA, piuttosto che il raggiungimento di un accordo che risparmi all’Ente la difesa in più gradi di giudizio con tempi e costi spesso sottovalutati dal funzionario pubblico[4].
Infatti: <<La scelta se proseguire un giudizio o addivenire ad una transazione e la concreta delimitazione dell’oggetto della stessa spetta all’Amministrazione nell’ambito dello svolgimento dell’ordinaria attività amministrativa ed è sottratta al sindacato giurisdizionale, anche di responsabilità, se non nei limiti della rispondenza delle stesse a criteri di razionalità, congruità e prudente apprezzamento ai quali deve sempre ispirarsi l’azione amministrativa.>>[5].
Così il funzionario che rifiuti senza giustificato motivo una proposta di accordo espone – se stesso e l’Ente – a una responsabilità contabile che sarebbe opportuno ben valutare[6].
Concludendo la risposta alla domanda che ci si è posti all’inizio è: sì la Pubblica Amministrazione può e deve utilizzare gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, da quelli classici e già sperimentati, come la transazione, l’accordo bonario e la conciliazione della lite; sino a quelli più recenti e maggiormente flessibili, perché meno procedimentalizzati, come la mediazione e la negoziazione assistita.
Questo al fine di rendere il conflitto con i privati il meno oneroso possibile in termini di economicità, flessibilità, creatività e consensualità delle soluzioni, fondate più sul fatto che sul diritto ed orientate verso il mantenimento del rapporto, piuttosto che alla sua definitiva frattura.
Il funzionario pubblico agirà comunque avendo sempre come stella polare il principio secondo cui la legittimità degli atti e dei comportamenti è il limite ed il fine della sua azione[7].
Se tutto quello a cui è accennato si verificherà non potremo che augurare il benvenuto all’Amministrazione dell’evoluzione!
16 luglio 2018
[1] E. GUICCIARDI, La transazione degli Enti Pubblici, CEDAM, 1936
[2] G. GRECO, Contratti e accordi della Pubblica Amministrazione con funzione transattiva (appunti per un nuovo studio), in Dir. Amm., 2005
[3] Vedi Corte dei Conti Lombardia sent. n. 26/2008.
[4] In materia di responsabilità medica, pregevole è la decisione del Giudice contabile siciliano n. 2719/2013, si vedano anche Corte dei conti Puglia nn. 938/2004 e 427/2015.
[5] Cfr. Corte dei Conti Piemonte sent. n. 2/2012.
[6] Ai sensi dell’art. 91 c.p.c. infatti: <<Il Giudice (…). Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta>>.
[7] Anche se brevemente, non si può sottacere la vera questione di difficile risoluzione che può riassumersi nel fatto che mentre per il privato il vincolo è la liceità dei suoi atti o comportamenti, ben espressa nell’art. 1322 c.c: <<Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge.>>, per la Pubblica Amministrazione il vincolo è la legittimità dei suoi atti o comportamenti, espressa nell’art. 1 c. 1 Legge n. 241/1990 smi: <<L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento comunitario.>>.
presentata dal dott. Giustino Goduti
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