Applicabilità del c.d. Decreto Salva Casa ai procedimenti in corso

Le prime indicazioni della giurisprudenza

Servizi Comunali Abusi edilizi Attività edilizia Gestione del territorio Sanzioni
di Petrulli Mario
08 Maggio 2025

 

Uno degli aspetti più interessanti del c.d. Decreto Salva Casa (decreto legge n. 69/2024, convertito in legge n. 105/2024) è quello relativo alla sua applicabilità ai procedimenti già in essere (si pensi, ad esempio, ad una istanza di conformità presentata secondo il vecchio testo dell’art. 36 del Testo Unico Edilizia) o addirittura conclusi negativamente per il privato, con adozione di un’ordinanza di demolizione, alla data di entrata in vigore di detta fonte normativa (30 maggio 2024).


Le indicazioni della giurisprudenza

La sent. 27 febbraio 2025, n. 406, del TAR Campania, Salerno, sez. II, ha affermato che “è da ritenersi che […] il ius superveniens costituito dalla disciplina “Salva Casa” (art. 1, comma 1, lett. h, del d.l. n. 69/2024, conv. in l. n. 105/2024) faccia premio, in omaggio al sotteso favor per la regolarizzazione degli illeciti edilizi, su tutti i procedimenti sanzionatori non ancora irreversibilmente conclusisi col ripristino dello stato dei luoghi” (1).

Nel caso specifico, come desumibile dalla lettura della sentenza, l’interessato aveva presentato, in passato, una prima istanza di accertamento di conformità, secondo la disciplina all’epoca vigente; tale istanza, tuttavia, era stata respinta dall’ufficio tecnico comunale, il quale aveva anche provveduto ad adottare il conseguente ordine di demolizione. Una volta entrato in vigore il nuovo Decreto Salva Casa, l’interessato aveva presentato una nuova istanza ex art. 36-bis per il medesimo accertamento di conformità per parziali difformità e l’ufficio tecnico comunale aveva inviato il preavviso di rigetto e, successivamente, negato nuovamente l’accertamento, facendo leva sulle motivazioni già espresse in occasioni del precedente procedimento.

I giudici, però, hanno evidenziato che: “Nella fattispecie, invero, viene in rilievo una sanatoria introdotta molto di recente dal Decreto “Salva Casa”, sicché non paiono condivisibili le argomentazioni svolte dal procedente Ufficio, ancorate al precedente quadro di riferimento, trattandosi di una chiara ipotesi di ius superveniens, con introduzione di nuovi criteri, parametri e condizioni per la sanabilità e la conservazione delle opere abusive”

In altri termini, posto che l’accertamento di conformità ex art. 36-bis è diverso rispetto al modello precedente di accertamento previsto dal precedente art. 36, è necessario effettuare le valutazioni alla luce del diritto sopravvenuto, non potendosi utilizzare le valutazioni del passato, proprio perché il nuovo procedimento presenta elementi di diversità rispetto al passato; come precisato nella sentenza, “la precedente adozione delle ordinanze demolitorie e il diniego della precedente domanda di sanatoria si rivelano ininfluenti ai fini dell’esame dell’istanza presentata di recente dalla ricorrente ai sensi dell’art. 36 bis […] e, dunque, sulla base di un regime normativo e di presupposti differenti”.

Conseguentemente, i giudici hanno annullato il diniego dell’ufficio tecnico comunale sull’istanza di accertamento di conformità.


Il limite temporale

Un aspetto fondamentale che viene in rilievo nella sentenza in discorso è il momento temporale entro cui è possibile considerare ammissibile una nuova istanza rispetto a quella precedentemente rigettata: dovendosi individuare un momento che offra certezza giuridica, mutuando il pensiero dei giudici salernitani, si può affermare che la nuova istanza può presentarsi fino a quando tutti i procedimenti sanzionatori non siano ancora irreversibilmente conclusi col ripristino dello stato dei luoghi.


Gli effetti della presentazione della nuova istanza di accertamento rispetto ai provvedimenti sanzionatori adottati in precedenza

Come osservato dal Consiglio di Stato (2), l’avvenuta presentazione dell’istanza di sanatoria ai sensi del Decreto Salva Casa non può influire sull’esito del giudizio, data la giurisprudenza secondo cui la presentazione della richiesta di sanatoria non incide sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione ma solo sulla sua efficacia (3).

Pertanto, in caso di rigetto dell’appello, l’efficacia degli atti impugnati in primo grado rimarrebbe sospesa fino alla pronuncia dell’ufficio tecnico comunale sulla nuova domanda la quale, se favorevole per il privato, rappresenterebbe una sopravvenienza tale da rendere legittimo l’intervento – sulla base della nuova normativa, dunque a prescindere da quanto affermato in questa sentenza – mentre, se sfavorevole, riprenderebbe efficacia l’ingiunzione di ripristino.


L’obbligo in capo all’ufficio tecnico comunale

Se l’interessato presenta una nuova istanza ex art. 36-bis, il Comune ha l’obbligo di attivare una autonoma istruttoria in relazione alla nuova pratica di sanatoria (4), dovendo in caso di rigetto dell’istanza adottare un ulteriore provvedimento demolitorio conclusivo del procedimento, fissando in quella sede un altro termine per ottemperarvi (5).

Pare corretto ritenere, al contrario, che, in assenza della presentazione di una istanza di accertamento di conformità secondo le nuove regole del Decreto Salva Casa, i provvedimenti sanzionatori adottati in precedenza conservino la loro efficacia e debbano essere eseguiti. Ed infatti, il rapporto di collaborazione e buona fede che deve intercorrere fra P.A. e cittadino non può essere dilatato al punto tale che, in assenza di un atto di input da parte dell’interessato, si possa ritenere ammissibile un intervento dell’ufficio tecnico comunale al fine di adottare una nuova valutazione rispetto a quella negativa precedente.

Peraltro, un atto di impulso del privato è normalmente richiesto in tutti i casi di avvio di procedimenti che possono accrescere la sfera giuridica dell’interessato; si pensi, ad esempio, alla proroga del permesso di costruire, ammissibile solo in presenza di apposita istanza del titolare, da presentare motivatamente prima della scadenza dell’efficacia del titolo edilizio (6).


(1) Similmente, cfr. anche TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 21 ottobre 2024, n. 1929.
(2) Sez. II, sent. 9 settembre 2024, n. 7486.
(3) Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 8 agosto 2023, n. 7680; sez. II, sentt. 20 gennaio 2023, n. 714 e 20 febbraio 2023, n. 1708.
(4) TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, sent. 20 febbraio 2025, n. 165.
(5) TAR Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 11 novembre 2024, n. 3091; Consiglio di Stato, sez. V, sent. 22 agosto 2024, n. 7203.
(6) TAR Lazio, Latina, sez. II, sent. 23 febbraio 2024, n. 159: “L’art. 15, comma 2, del D.P.R. 380/2001 prevede che “Salvo quanto previsto dal quarto periodo, il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari. […]”.
Quindi, la norma richiamata prevede testualmente che il titolo edilizio decada ex lege allo spirare dei termini di validità in esso indicati; per evitarne la decadenza, l’interessato ha l’onere di chiedere la proroga necessariamente prima della scadenza dello stesso […].


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