Sì al sindaco-Rup nei piccoli comuni

La legittimità dell’incarico deriva direttamente dalla legge 388/2000

Servizi Comunali Amministratori locali Dotazione organica Responsabilità amministrativa Sindaco Trattamento giuridico
di Oliveri Luigi
28 Aprile 2025

 

È scontato che nei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti che attuino quanto previsto dall’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000 il sindaco possa assolvere anche la funzione di Rup.

La norma ricordata prima dispone: “Gli enti locali con popolazione inferiore a cinquemila abitanti fatta salva l'ipotesi di cui all'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all'articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e all'articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio”.

Quindi, in questi comuni il sindaco che rivesta l’incarico di vertice della struttura amministrativa competente alla gestione dell’appalto può svolgere senza nessun dubbio la funzione di Rup.

Non ha, dunque, alcun fondamento il ragionamento dal quale prende le mosse il parere del Mit 3349, laddove afferma:

  1. L’art. 15 del D.lgs. 36/2023 prevede che il RUP debba essere individuato tra i dipendenti (assunti anche a tempo determinato) della stazione appaltante in possesso di adeguati requisiti di competenza, esperienza e professionalità. Tuttavia, la qualifica di dipendente della stazione appaltante, inteso in senso formale come rapporto di lavoro subordinato con l’ente, non sembra essere un requisito imprescindibile;
  2. a seguito delle recenti modifiche introdotte con il decreto n. 209/2024, la stessa disposizione ammette in via residuale la possibilità di nominare RUP un dipendente appartenente a un’altra pubblica amministrazione, il che dimostra che il criterio dirimente per l’assunzione del ruolo non è la qualifica del rapporto di lavoro, bensì il collegamento funzionale alla struttura organizzativa della stazione appaltante tale da consentirgli di esercitare le funzioni gestionali connesse agli affidamenti pubblici, in particolare la titolarità di poteri di spesa e di firma sugli atti della procedura.

Tali ragionamenti non assumono alcun rilievo rispetto alla possibilità che il sindaco di un comune con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti possa svolgere la funzione di Rup, perchè la legittimità dell’incarico come Rup deriva direttamente dalla legge 388/2000.

In ogni caso, è del tutto da rigettare l’approccio interpretativo suggerito dal Mit sui requisiti soggettivi che deve possedere il destinatario della funzione di Rup.

Non esiste nell’ordinamento giuridico una distinzione possibile tra qualifica di dipendente “in senso formale” o “in senso informale”. Semplicemente, o si conduce un rapporto di lavoro subordinato, o non lo si conduce.

Nel caso in cui si conduca un rapporto di lavoro subordinato, si entra necessariamente nei ruoli della PA e si viene incardinati nell’ufficio-organo che esercita le competenze connesse. Si innesca, quindi, sia il rapporto di servizio, derivante dalla sottoscrizione del contratto di lavoro, sia il rapporto organico, che permette al dipendente incardinato, mediante un incarico specifico in un “ufficio”, nel caso di specie quello di Rup, ad agire come organo della PA, adottando, dunque i poteri connessi.

Ora, se l’ente, in presenza dei presupposti richiesti dal testo novellato dell’articolo 15, comma 2, del d.lgs 36/2023 (cioè l’assenza totale di professionalità interne) incarica un dipendente di un’altra amministrazione, non può certo agire con la semplice “imposizione delle mani” o appoggiando la spada sulle spalle dell’incaricando.
Occorre costruire il titolo giuridico posto a costituire il rapporto di servizio con l’ente; il rapporto organico, che consente al dipendente di altra amministrazione di svolgere l’incarico, trova direttamente nel testo novellato dell’articolo 15, comma 2, del d.lgs 36/2023, la propria fonte.
Detta norma consente di reperire come presupposto della funzione di rup non solo il rapporto di servizio discendente da un contratto di lavoro subordinato, ma anche derivante da ulteriori e diverse forme di insorgenza del rapporto di servizio.

Per esempio, l’applicazione dell’articolo 53, comma 7, del d.lgs 165/2001: “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.

Sarebbe anche immaginabile un incarico di lavoro autonomo occasionale, a mente dell’articolo 7, commi 5-bis e seguenti, del d.lgs 165/2001 da attribuire ad un dipendente pubblico che sia previamente autorizzato dalla PA di appartenenza. In questo caso, nel quadro economico andrebbero evidenziati i finanziamenti per il compenso a tale incaricato. Le risorse per il compenso in parola non potrebbero passare per il fondo della contrattazione decentrata: infatti, un incarico di tale genere è configurabile appunto come lavoro autonomo occasionale e, quindi, non si instaura alcun rapporto organico con l’ente incaricante, poichè il Rup non è un suo dipendente. La determinazione del compenso, quindi, sarebbe il frutto di una contrattazione sostanzialmente di mercato e non fondata sul Ccnl, sicchè del tutto estranea all’applicazione dell’articolo 45 del d.lgs 36/2023, riservato unicamente ai dipendenti assunti con contratto di lavoro subordinato.


Ulteriore alternativa, valevole specificamente per i soli enti locali, è lo scavalco condiviso di cui all’articolo 23 del Ccnl 16.11.2022 per il comparto e 36 del Ccnl 16.7.2024, per l’area dirigenza.

Con tale istituto si dà vita ad una convenzione tra enti, di tipo gestionale, cioè riferita alla condivisione delle attività lavorative del dipendente per un certo tratto di tempo. Non si tratta, quindi, di una convenzione tra enti volta a gestire un ufficio e le connesse funzioni, ma di un accordo per condividere parte delle obbligazioni lavorative del dipendente interessato.

Sicchè, il dipendente a scavalco continua a condurre un unico rapporto di lavoro con l’ente di appartenenza che ne condivide le prestazioni con l’altro ente utilizzatore, il quale non solo corrisponde all’altro ente la somma corrispondente – definita dalla convenzione – all’impegno lavorativo a proprio beneficio, ma anche gli incentivi. Dunque, in tal caso l’articolo 45 del codice dei contratti risulta applicabile.

Si considera applicabile anche la formula dell’assegnazione temporanea, prevista dall’articolo 30, comma 2-sexies, del d.lgs 165/2001: “Le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, risultanti dai documenti di programmazione previsti all’articolo 6, possono utilizzare in assegnazione temporanea, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni, fermo restando quanto già previsto da norme speciali sulla materia, nonché il regime di spesa eventualmente previsto da tali norme e dal presente decreto”.

L’assegnazione temporanea è il medesimo istituto definito come “comando” dal dPR 3/1957. In tal caso, quindi, il dipendente, fermo restando il rapporto organico con l’ente che lo assegna temporaneamente all’altro (l’utilizzatore, che rimborsa integralmente i costi), assume uno specifico rapporto di servizio con l’ente utilizzatore: dunque, si creano i presupposti per applicare le previsioni di cui all’articolo 45 del codice in tema di incentivi.

Non si può considerare, invece, corretto il riferimento all’articolo 30 del d.lgs 267/2000, che al comma 1 disciplina le convenzioni tra enti locali: “Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni”. Tali convenzioni sono forme associative degli enti locali, finalizzate a mettere in comune appunto le risorse complessive per svolgere funzioni o servizi, non per condividere le prestazioni lavorative di un singolo dipendente: a tale scopo provvedono le già citate norme contrattuali in tema di scavalco condiviso.

Per le stesse ragioni, quindi, non appare corretto il richiamo all’articolo 15 della legge 241/1990, che consente alle PA di stipulare accordi finalizzati a “disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”. Si tratta, quindi, comunque di moduli associativi finalizzati ad attività e servizi e non alla condivisione di dipendenti e, soprattutto, occorre un interesse comune, certo inesistente per il caso dell’individuazione del Rup, che presterebbe la propria opera nell’esclusivo interesse dell’ente incaricante.


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