Avviata attività di controllo relativa alla sussistenza ed al perdurante mantenimento nel tempo dei requisiti previsti per l’iscrizione all’Albo SCU.
Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale – 9 aprile 2025
Armi spuntate per le Polizie locali e per gli Ispettori ambientali nel contrasto alla maleducazione dei cittadini e al degrado urbano
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Potestà sanzionatoria amministrativa e riserva relativa di legge: principi generali
Come recentemente, e più volte, enunciato dalla Corte costituzionale (sentenza 18 gennaio 2021, n. 5; sentenza del 29 maggio 2019, n. 134), la potestà sanzionatoria amministrativa degli enti territoriali è soggetta alla riserva relativa di legge, ai sensi dell’articolo 23 della Costituzione, in quanto pure rispetto al diritto sanzionatorio amministrativo – di fonte statale o regionale che sia – si pone un’esigenza di predeterminazione legislativa dei presupposti dell’esercizio del potere sanzionatorio, con riferimento sia alla configurazione della norma di condotta, la cui inosservanza è soggetta a sanzione, sia alla tipologia e al quantum della sanzione stessa, sia alla struttura di eventuali cause esimenti.
E tanto per ragioni analoghe a quelle sottese al principio di legalità che vige per il diritto penale in senso stretto, trattandosi di assicurare al consociato tutela contro possibili abusi da parte della pubblica autorità (sentenza n. 32 del 2020, punto 4.3.1 del “considerato in diritto”): abusi che possono radicarsi tanto nell’arbitrario esercizio del potere sanzionatorio, quanto nel suo arbitrario non esercizio.
La Corte di cassazione – Civile, Sez. II, Ordinanza 24 ottobre 2023, n. 29427 – richiamando i sopra esposti principi, ha ulteriormente affermato:
«L’articolo 1 della Legge 24 novembre 1981, n. 689, avendo recepito anche per le sanzioni amministrative il principio di legalità, impedisce che sanzioni siffatte possano essere direttamente comminate da disposizioni contenute in fonti normative subordinate, quale un regolamento comunale o un’ordinanza del sindaco (1).
È stato chiarito che il principio di legalità fissato dall’articolo 1 della Legge 24 novembre 1981, n. 689, si concreta in un regime di “riserva assoluta” di legge, ma l’efficacia di tale riserva – a differenza della riserva di legge assoluta prevista con riguardo all’illecito penale direttamente dall’articolo 25 Cost. – non è di rango costituzionale in quanto la materia delle sanzioni amministrative sul piano costituzionale è riconducibile all’articolo 23 Cost., che stabilisce solo una riserva di legge di natura relativa; essa opera sul piano della forza di legge ordinaria, con l’effetto che senza una legge che deroghi al suddetto articolo 1 non è possibile l’introduzione di sanzioni amministrative mediante fonti secondarie, mentre questa possibilità ben può essere ammessa da una legge ordinaria, che la preveda in via generale o per singoli settori (Sez. 1, n. 12367 del 6 novembre 1999)».
A predeterminare i presupposti dell’esercizio del potere sanzionatorio è deputato solo l’organo legislativo (statale o regionale), il quale rappresenta l’intero corpo sociale, consentendo anche alle minoranze, nell’ambito di un procedimento pubblico e trasparente, la più ampia partecipazione al processo di formazione della legge (sentenza n. 230 del 2012).
Di contro, tale esigenza non potrebbe ritenersi soddisfatta, laddove questi presupposti fossero nella loro sostanza fissati da un atto amministrativo, sia pure ancora di carattere generale.
Al principio di legalità deve conformarsi l’intera azione amministrativa e, ancor di più, devono conformarsi gli atti di normazione generale, regolamenti e ordinanze, alle quali la legge inibisce, poiché fonti normative subordinate, la competenza ad introdurre sanzioni non disposte con legge.
Il potere regolamentare dei comuni nella gestione dei rifiuti urbani
Il caso approdato all’esame della Corte di cassazione, Sez. II, ordinanza 24 ottobre 2023, n. 29427, è stato determinato dalla redazione di verbali con cui gli Ispettori ambientali di AMA s.p.a. avevano accertato violazioni dell’articolo 14, comma 7, e 60 del regolamento per la gestione dei rifiuti urbani, approvato dal Comune di Roma con delibera consiliare n. 105 del 12 maggio 2005 (erroneo inserimento nei mastelli dei rifiuti differenziati) (2).
Il Giudice di pace rigettava l’opposizione dei sanzionati (3).
Avverso la decisione di primo grado, i soccombenti proponevano impugnazione, che il Tribunale di Roma disattendeva.
In particolare, gli appellanti avevano prospettato l’intervenuta prescrizione, l’insussistenza delle violazioni contestate, la mancanza dell’elemento soggettivo dell’illecito, l’incongruità della sanzione inflitta.
Avverso la decisione d’appello, i sanzionati ricorrevano sulla base di quattro motivi.
La Corte di cassazione, indipendentemente dalle doglianze proposte, ha inteso andare ben oltre, indagando in primo luogo proprio la legittimità del regolamento per la gestione dei rifiuti urbani, sotto l’aspetto della fissazione del comportamento sanzionato e della determinazione della sanzione.
Il suddetto regolamento era stato emanato in virtù di quanto stabilito dall’articolo 21, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (“Attuazione delle direttive 91/56/CEE sui rifiuti, 91/698/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio”), che testualmente prevedeva:
«I comuni disciplinano la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che, nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, stabiliscono:
L’articolo 14, comma 7, del regolamento del Comune di Roma, a sua volta prevedeva: «È fatto obbligo agli utenti o all’amministratore del condominio di custodire, mantenere e utilizzare correttamente i contenitori assegnati rispettivamente all’utenza o al condominio con le corrette modalità e in luoghi idonei o in ambienti a ciò destinati».
Tanto premesso sul piano generale, la fonte attributiva del potere regolamentare dei comuni, nella materia della gestione dei rifiuti urbani, nell’anno di entrata in vigore del regolamento del Comune di Roma (2005), era l’articolo 21 del d.lgs. n. 22/1997 (decreto cd. “Ronchi”).
Tale norma, tuttavia, non contemplava la possibilità, né direttamente né indirettamente, nell’ambito della raccolta differenziata di cui alla lettera c) (modalità del conferimento, della raccolta differenziata e del trasporto dei rifiuti urbani al fine di garantire una distinta gestione delle diverse frazioni di rifiuti e promuovere il recupero degli stessi), di introdurre una sanzione per la violazione dell’obbligo degli utenti o dell’amministratore del condominio di custodire, mantenere e utilizzare con le corrette modalità e in luoghi idonei o in ambienti a ciò destinati i contenitori loro assegnati.
Nella specie, mancava la fonte primaria attributiva del potere sanzionatorio limitatamente a questa singola ipotesi particolare.
D’altra parte, deve evidenziarsi anche che la fonte regolamentare, come sopra riportata (articolo 14, comma 7, regolamento comunale), era del tutto generica e priva di contenuto specifico e tipizzante la condotta sanzionabile e, dunque, illegittima anche sotto il profilo della tipicità della condotta.
Deve richiamarsi in proposito, il costante insegnamento della Suprema Corte, secondo cui il principio di tipicità e di riserva di legge fissato in materia delle sanzioni amministrative dall’articolo 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, impedisce che l’illecito amministrativo e la relativa sanzione siano introdotti direttamente da fonti normative secondarie, senza tuttavia escludere che i precetti della legge, sufficientemente individuati, siano eterointegrati da norme regolamentari, in virtù della particolare tecnicità della dimensione in cui le fonti secondarie sono destinate ad operare.
In altri termini, il rispetto del principio di tipicità e legalità, nell’ambito dell’illecito amministrativo comporta che la fattispecie dell’illecito e la relativa sanzione non possono essere introdotti direttamente da fonti normative secondarie, pur ammettendosi che i precetti della legge, se sufficientemente individuati, possano essere integrati da norme regolamentari, in virtù della particolare tecnicità della dimensione in cui le fonti secondarie sono destinate ad operare (Sez. 2, n. 7371/2009).
Pertanto, introdurre con regolamento comunale sia la fattispecie sanzionata, sia la specifica sanzione, va in irrimediabile rotta di collisione con il principio di legalità.
La copertura legislativa dell’atto impugnato nemmeno poteva rinvenirsi negli articoli 7 e 7-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, recante il “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”.
Infatti, l’articolo 7 prevede che il comune e la provincia adottino regolamenti nelle materie di propria competenza e, in particolare, per l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni, nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dello statuto. Invece, come si è detto, il potere regolamentare attribuito dall’articolo 21, d.lgs. n. 22/97, non ricomprendeva, né direttamente né indirettamente, quello di prevedere in capo a soggetti privati (nel caso di specie, gli utenti e gli amministratori di condominio), il più volte citato obbligo di custodia e corretto utilizzo dei contenitori in luoghi di proprietà privata.
Inoltre, l’articolo 7-bis, d.lgs. n. 267/2000, richiamato all’articolo 64 del regolamento capitolino, attribuisce agli enti locali il potere di applicare sanzioni amministrative per la violazione dei regolamenti comunali, ma sulla base di due elementi: uno esplicito, l’altro implicito.
Esplicitamente, l’articolo 7-bis, comma 1, precisa che il potere degli enti locali di stabilire sanzioni per violazioni ai regolamenti sia esercitabile “Salvo diversa disposizione di legge”, perché il regolamento cede sempre alla legge.
Implicitamente, l’articolo 7-bis sottintende che i comuni possano prevedere sanzioni per violazione dei propri regolamenti, sempre che detti regolamenti obbediscano al principio di legalità.
Quindi, se la legge non consente ai regolamenti di considerare una fattispecie come sanzionabile, l’articolo 7-bis non può essere applicato. Esso non è da intendere come “norma in bianco”, attributiva ai comuni di un generalizzato potere di fissare la condotta e determinare la sanzione (4).
Peraltro, mentre l’articolo 7-bis, comunque inapplicabile al caso di specie, indica la sanzione amministrativa pecuniaria da € 25 a € 500, il regolamento comunale “imputato” aveva persino introdotto una sanzione da € 50 a € 300, ovviamente totalmente insostenibile sul piano della legittimità.
La Corte di cassazione, Sez. II, ordinanza 24 ottobre 2023, n. 29427 annulla le ordinanze di ingiunzione di pagamento di Roma capitale per le violazioni regolamentari in materia di rifiuti urbani
La Corte di cassazione, previa disapplicazione del regolamento per la gestione dei rifiuti del Comune di Roma n. 105 del 2005, limitatamente al combinato disposto degli articoli 14, comma 7, e 64 e 65, nella parte in cui sanzionano, con la somma da € 50 a € 300, la condotta degli utenti o dell'amministratore di condominio che non rispettano l'obbligo di custodire, mantenere e utilizzare correttamente i contenitori loro assegnati con le corrette modalità e in luoghi idonei o in ambienti a ciò destinati, cassa la sentenza impugnata e annulla tutte le determinazioni dirigenziali opposte, originate da verbali di accertamento redatti dagli Ispettori ambientali.
Il principio di diritto, così come enunciato dalla Suprema Corte, resta saldo, naturalmente, anche per gli accertamenti, in ordine alle medesime violazioni, laddove effettuati dagli operatori della Polizia locale.
Il medesimo, inoltre, si estende in generale agli accertamenti per tutte le violazioni delle disposizioni contemplate in un regolamento comunale. Quindi, non solo quelle che riguardano i condomìni e gli adempimenti degli amministratori condominiali.
La continuità normativa tra l’articolo 21 del decreto legislativo n. 22/97 e l’articolo 198 del decreto legislativo n. 152/2006
L’articolo 198 del d.lgs. n. 152/2006 (cd. “Testo Unico dell’ambiente”), rubricato con il titolo “Competenze dei comuni”, stabilisce:
«1. I comuni concorrono, nell'ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 200 e con le modalità ivi previste, alla gestione dei rifiuti urbani. Sino all'inizio delle attività del soggetto aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta dall’Autorità d'ambito ai sensi dell'articolo 202, i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui al l'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
2. I comuni concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che, nel rispetto dei principi di trasparenza, efficienza, efficacia ed economicità e in coerenza con i piani d'ambito adottati ai sensi dell'articolo 201, comma 3, stabiliscono in particolare:
2-bis Le utenze non domestiche possono conferire al di fuori del servizio pubblico i propri rifiuti urbani previa dimostrazione di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi.
Tali rifiuti sono computati ai fini del raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio dei rifiuti urbani.
3. I comuni sono tenuti a fornire alla regione, alla provincia ed alle Autorità d'ambito tutte le informazioni sulla gestione dei rifiuti urbani da esse richieste.
4. I comuni sono altresì tenuti ad esprimere il proprio parere in ordine all'approvazione dei progetti di bonifica dei siti inquinati rilasciata dalle regioni».
Il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (“Attuazione delle direttive 91/56/CEE sui rifiuti, 91/698/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio”) è stato abrogato dall’articolo 264, comma 1, lett. i), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Anche se le disposizioni richiamate nel ricorso per cassazione sono riferite all’articolo 21 del d.lgs. n. 22/97, (decreto cd. “Ronchi”) (5), in quanto applicabile ratione temporis, non vi è minimo dubbio che tra la norma previgente e quella di cui all’articolo 198 del d.lgs. n. 152/2006, aventi medesimo titolo, oltre ad un pressoché identico tenore letterale, sussista un rapporto di continuità normativa. Vieppiù, in riferimento alla potestà dei comuni di disciplinare la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti.
Pertanto, come logico corollario, se la Corte di cassazione dovesse, nei prossimi mesi e anni, ritornare a pronunciarsi sulla potestà sanzionatoria amministrativa in materia di rifiuti urbani, il suo orientamento sarebbe sempre lo stesso, benché radicato sull’articolo 198, d.lgs. n. 152/2006 e non sull’abrogato articolo 21, d.lgs. n. 22/97.
La raccolta differenziata dei rifiuti nel condominio: chi (non) risponde per il conferimento dei rifiuti in violazione dei regolamenti comunali e delle ordinanze sindacali quando l’autore è ignoto?
La Corte di cassazione, Sez. II, Ordinanza 24 ottobre 2023, n. 29427, prende in esame anche la posizione giuridica dell’amministratore condominiale quando l’autore delle violazioni sia ignoto.
L’amministratore di condominio svolge l’incarico, riconducibile alla figura del mandato (articolo 1129, comma 15, cod. civ.), di gestione ed amministrazione dei beni comuni, oltre che di tenuta della contabilità (articolo 1130, cod. civ.), e nell’ambito solo di tali attribuzioni ha la rappresentanza dei condomini verso l’esterno (articolo 1131, cod. civ.).
Ciò comporta che l’amministratore di condominio possa essere chiamato a rispondere, anche nei confronti di terzi, per atti propri, sia commissivi che omissivi, ma non per gli atti posti in essere dai condomini. Nessuna norma di legge o principio in materia autorizza la conclusione di imputare a titolo di responsabilità solidale all’amministratore di condominio violazioni poste in essere dai singoli condomini.
Né la responsabilità solidale dell’amministratore può trovare titolo nella disposizione di cui all’articolo 6 legge n. 689/1981, secondo cui della violazione amministrativa risponde, oltre che il suo autore, anche il proprietario, l’usufruttuario e il titolare del diritto di godimento della cosa che è servita o fu destinata a commettere l’illecito, atteso che nessuna di queste situazioni può riscontrarsi con riguardo alla posizione che assume o alle funzioni che svolge l’amministratore di condominio, che gestisce il bene comune ma non ne ha alcuna disponibilità in senso materiale.
Di nessun rilievo, nel caso di specie, ai fini dell’affermazione di una responsabilità dell’amministratore di condominio, è anche la disposizione dettata dall’articolo 14, comma 7, del regolamento per la gestione dei rifiuti urbani del Comune di Roma che fa espressamente obbligo agli utenti ed all’amministratore di custodire ed utilizzare correttamente i contenitori assegnati al condominio.
Tali obblighi, di custodia e di utilizzazione, confermano, al contrario, la tesi opposta a quella fatta propria dal giudice a quo, che vale a dire la responsabilità dell’amministratore per la loro violazione può configurarsi soltanto in via diretta e non in via solidale, per il mancato o non corretto adempimento dei doveri di custodia e di utilizzazione. Nello specifico, con riferimento all’utilizzazione ed alle violazioni contestate, consistite nell’inserimento di rifiuti non conformi nei contenitori predisposti per la raccolta differenziata, la norma regolamentare colpisce fatti propri, senza prospettare alcun collegamento a carico dell’amministratore in termini di solidarietà con l’autore della non corretta utilizzazione.
Risulta così confermato che l’amministrazione di condominio non possa essere chiamato a rispondere, per il solo fatto di rivestire tale qualità, delle violazioni per cui è causa, occorrendo al contrario dimostrare una sua responsabilità diretta, per avere materialmente concorso, con atti o comportamenti, alla commissione delle infrazioni.
La Corte di cassazione, reiterando una propria recente pronuncia (Sez. II, sentenza n. 4561 del 14 febbraio 2023), evidenzia al riguardo:
«L'amministratore condominiale non è responsabile, in via solidale con i singoli condomini, della violazione del regolamento comunale concernente l'irregolare conferimento dei rifiuti all'interno dei contenitori destinati alla raccolta differenziata collocati all'interno di luoghi di proprietà condominiale, potendo egli essere chiamato a rispondere verso terzi esclusivamente per gli atti propri, omissivi e commissivi, non potendosi fondare tale responsabilità neanche sul disposto di cui all'articolo 6, della Legge n. 689/1981, avendo egli la mera gestione dei beni comuni, ma non anche la relativa disponibilità in senso materiale».
(1) L’articolo 1, legge 24 ottobre 1981, n. 689, rubricato con il titolo “Principio di legalità” stabilisce:
«Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.
Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati».
(2) Il vigente regolamento per la gestione dei rifiuti urbani del Comune di Roma è quello approvato con deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 44 del 13 maggio 2021.
(3) Ai sensi dell’articolo 6, comma 4, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, l’opposizione alle ordinanze-ingiunzione si propone davanti al Tribunale quando la sanzione è stata applicata per una violazione concernente disposizioni in materia:
a) di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro;
b) di previdenza e assistenza obbligatoria;
c) di tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette;
d) di igiene degli alimenti e delle bevande;
e) valutaria;
f) di antiriciclaggio.
Per le violazioni ambientali, l’opposizione si propone dinanzi al Tribunale e non dinanzi al Giudice di pace.
Anche quando il provvedimento sanzionatorio origini da un accertamento per violazione delle disposizioni regolamentari (Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Ischia, 14 maggio 2012, n. 829).
(4) Conforme: Luigi Oliveri, “La Cassazione bacchetta i comuni: i regolamenti sono subordinati alla legge”, www.leautonomie.it.
(5) L’articolo 21, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, stabilisce:
«1. I comuni effettuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui alla legge 8 giugno 1990, n. 142, e dell'articolo 23.
2. I comuni disciplinano la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che, nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, stabiliscono in particolare:
a) le disposizioni per assicurare la tutela igienico-sanitaria in tutte le fasi della gestione dei rifiuti urbani;
b) le modalità del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani;
c) le modalità del conferimento, della raccolta differenziata e del trasporto dei rifiuti urbani al fine di garantire una distinta gestione delle diverse frazioni di rifiuti e promuovere il recupero degli stessi;
d) le norme atte a garantire una distinta ed adeguata gestione dei rifiuti urbani pericolosi, e dei rifiuti da esumazione ed estumulazione di cui all'articolo 7, comma 2, lettera f);
e) le disposizioni necessarie a ottimizzare le forme di conferimento, raccolta e trasporto dei rifiuti primari di imballaggio in sinergia con altre frazioni merceologiche, fissando standard minimi da rispettare;
f) le modalità di esecuzione della pesata dei rifiuti urbani prima di inviarli al recupero e allo smaltimento;
g) l'assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi dell'articolo 18, comma 2, lettera d). Sono comunque considerati rifiuti urbani, ai fini della raccolta, del trasporto e dello stoccaggio, tutti i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade ovvero, di qualunque natura e provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle strade marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua.
3. È, inoltre, di competenza dei comuni l'approvazione dei progetti di bonifica dei siti inquinati.
4. Nell'attività di gestione dei rifiuti urbani, i comuni si possono avvalere della collaborazione delle associazioni di volontariato e della partecipazione dei cittadini e delle loro associazioni.
5. I comuni possono istituire, nelle forme previste dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, servizi integrativi per la gestione dei rifiuti speciali non assimilati ai rifiuti urbani.
6. I comuni sono tenuti a fornire alla regione ed alla provincia tutte le informazioni sulla gestione dei rifiuti urbani dalle stesse richieste.
7. La privativa di cui al comma 1 non si applica alle attività di recupero dei rifiuti che rientrino nell'accordo di programma di cui all'articolo 22, comma 11, ed alle attività di recupero dei rifiuti assimilati.
8. Sono fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 6, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, e relativi decreti attuativi».
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