La condotta di un soggetto economico che abbandoni rifiuti urbani e speciali estranei alla propria attività d’impresa

Quale illecito si configura alla luce della novella introdotta dalla legge n. 137/2023?

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di Alborino Gaetano
08 Agosto 2024

 

Abbandoni e depositi incontrollati di rifiuti: il quadro normativo sanzionatorio delineato dal Testo Unico dell’Ambiente

  • Articolo 255, comma 1 e 1-bis, d.lgs. n. 152/2006

1. Fatto salvo quanto disposto dall'articolo 256, comma 2, chiunque, in violazione delle disposizioni degli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con l'ammenda da mille euro a diecimila euro. Se l'abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la pena è aumentata fino al doppio.
(Comma così sostituito dall'articolo 6-ter, comma 1, del decreto-legge 20 agosto 2023, n. 105, convertito dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137).
1-bis. Chiunque viola il divieto di cui all’articolo 232-ter è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro trenta a euro centocinquanta. Se l’abbandono riguarda i rifiuti di prodotti da fumo di cui all’articolo 232-bis, la sanzione amministrativa è aumentata fino al doppio.
(Comma introdotto dall'articolo 40, comma 1, lettera b), legge 28 dicembre 2015, n. 221).

  • Articolo 256, comma 1 e 2, d.lgs. n. 152/2006 

1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell'articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito:

  • con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
  • con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

2. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all'articolo 192, commi 1 e 2.

Il reato di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti posto in essere da un titolare d’impresa
«Ai fini della sussistenza del reato di cui all’articolo 256, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, è necessaria e sufficiente la qualifica soggettiva dell’autore della condotta, non essendo altresì richiesto che i rifiuti abbandonati derivino dalla specifica attività di impresa, posto che il reato in esame può essere commesso dai titolari di impresa o responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato non solo rifiuti di propria produzione, ma anche quelli di diversa provenienza e ciò in quanto il collegamento tra le fattispecie previste dal primo e dal secondo comma dell'articolo 256, comma 2, riguarda il solo trattamento sanzionatorio e non anche la parte precettiva».

Ad affermare tale principio è la Corte di cassazione, Sez. III, 8 maggio 2024, n. 18046, alla quale l’imputato aveva fatto ricorso per l'annullamento dell'ordinanza del Tribunale di Cosenza, che aveva rigettato la richiesta di riesame del decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Paola che, a sua volta, ritenuta la sussistenza indiziaria del reato di cui agli articoli 81,110 cod. pen., 256, commi 1, lett. a), e 2, d.lgs. n. 152/2006, aveva disposto il sequestro preventivo del furgone di sua proprietà utilizzato per il trasporto di un carico di rifiuti (pericolosi e no), smaltiti mediante abbandono e deposito incontrollato.

Nel caso di specie, il ricorrente aveva dedotto la non provenienza dei rifiuti dalla propria attività di impresa; deduzione fondata sul dato formale della eterogeneità dei rifiuti rispetto all'attività stessa, e aveva, quindi, lamentato l'omessa valutazione di tale circostanza a suo dire decisiva. 

Aveva lamentato, in particolare, l'errore nel quale era incorso il Tribunale del riesame, secondo li quale la società da lui legalmente rappresentata, esercitava attività di costruzioni; laddove, in realtà, esercitava attività di carpenteria metallica, in legno e cemento, cadendo così nell'errore di considerare i rifiuti come provenienti dall'attività di costruzioni.

I rilievi difensivi, tuttavia, sono stati ritenuti dalla Suprema Corte doppiamente infondati, sia perché espungono dalla fattispecie penale in questione la condotta dell'imprenditore che abbandona rifiuti prodotti da altri, sia perché fa dipendere la penale rilevanza della condotta dalla natura giuridica del rifiuto abbandonato: l'abbandono di rifiuti domestici sarebbe, in tesi difensiva, penalmente irrilevante.

Il precetto violato non solo non pretende che l'imprenditore sia anche il produttore del rifiuto abbandonato, ma ritiene perfettamente compatibile con la penale rilevanza dell'abbandono, la possibilità che oggetto materiale della condotta siano rifiuti domestici, come si evince dal richiamo al comma 1 che diversifica la sanzione a seconda della natura del rifiuto abbandonato.

E, infatti, secondo il dato testuale oggetto materiale dell'abbandono vietato sono i "rifiuti" tout court, rilevando (solo) la distinzione tra rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi ai fini sanzionatori. 
Non vi è minimo dubbio che oggetto materiale della condotta di abbandono penalmente sanzionata dall'articolo 256, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, possano essere anche i "rifiuti domestici".

Quanto alla provenienza del rifiuto e alla qualifica soggettiva dell'autore dell'abbandono, la Corte di cassazione ha costantemente affermato che il reato di cui all'articolo 256, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, pur avendo in comune con l'(ex) illecito amministrativo previsto dall'articolo 255, comma 1, le medesime condotte di abbandono e deposito incontrollato, si trova con tale ultima norma in rapporto di specialità, in ragione delle peculiari qualifiche soggettive rivestite dai suoi destinatari, che possono essere solo i titolari di imprese o i responsabili di enti (Sez. 3, n. 15234 del 23/01/2020, Lo Bartolo, Rv. 278853 - 01; Sez. 3, n. 5042 del 17/01/2012, Golfrè, Rv. 252131 - 01; Sez. 3, n. 33766 del 10/05/2007, Mario, Rv. 238859 - 01; Sez. 3, n. 42377 del 19/09/2003, Sfrappini, Rv. 226585 - 01).

La Corte di cassazione, Sez. III, 8 maggio 2024, n. 18046 ha ribadito tale principio, anche a seguito della modifica dell'articolo 255, comma 1, d.lgs. n. 152/2006, operata dall'articolo 6-ter, decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, che ha reso penalmente rilevanti le condotte di abbandono ivi previste, siccome punite per i fatti commessi dal 10 ottobre 2023, con la pena dell'ammenda da mille a diecimila euro, nel caso di abbandono di rifiuti non pericolosi; con la pena raddoppiata,  nel caso di abbandono di rifiuti pericolosi. 

Secondo la Suprema Corte, la novella ha, infatti, solo trasformato l'illecito amministrativo in un reato, ma non ha modificato né il precetto, né i rapporti strutturali tra le due fattispecie (quella regolata dall'articolo 255, comma 1, e quella prevista dall'articolo 256, comma 2, d.lgs. n. 152/2006), che restano regolati dal criterio di specialità di cui all'articolo 15 cod. pen. e dai principi più volte affermati dalla medesima Corte in materia.

L’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti estranei alla propria specifica attività di impresa
Integra la contravvenzione di cui all'articolo 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, la condotta del titolare di un'impresa o del responsabile di un ente che abbandoni o depositi in modo incontrollato rifiuti derivanti dallo svolgimento di attività comunque riconducibili all'impresa o all'ente, in quanto dagli stessi esercitabili anche in maniera occasionale ed illegale, essendo esclusa la configurabilità dell'illecito penale nel solo caso in cui i rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato siano estranei a qualunque attività che, anche episodicamente, potrebbe svolgere l'impresa o l'ente (Sez. 3, n. 33423 del 01/06/2023, Rv. 284999 - 01, che, in fattispecie relativa allo sversamento ripetuto e incontrollato, da parte del titolare di un'impresa esercente attività edile, di quantitativi non irrilevanti di materiali provenienti da demolizioni, di legnami e di metalli, ha valutato corretta la decisione che aveva ritenuto la configurabilità della contravvenzione).

Non è, dunque, sulla qualifica dei rifiuti e sulla loro provenienza che si traccia il confine tra l'illecito di cui all'articolo 255, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006 e quello di cui al comma 2 dell'articolo 256.

Come ben spiegato in motivazione dalla risalente Sez. 3, n. 35710 del 22/06/2004, Carbone, Rv.  229562-01, il deposito o l'abbandono incontrollato di rifiuti, ove posti in essere da titolari d'imprese e responsabili di enti, integrano il reato contravvenzionale di cui all'articolo 51, comma 2, d.lgs. n. 22/97, indipendentemente dalla circostanza che i materiali provengano dall'esercizio di attività di raccolta, recupero, smaltimento, commercio o intermediazione di rifiuti, da parte dei soggetti attivi.

L'esercizio di dette attività connota in termini di "reato proprio" solo le ipotesi contravvenzionali, di esercizio abusivo di attività, previste nel primo comma dell'articolo citato, mentre i soggetti attivi delle distinte ipotesi configurate nel secondo comma sono tutti, indistintamente, i titolari di impresa o responsabili di enti, che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti, non solo di propria produzione (come previsto nell'originaria formulazione della disposizione), ma anche di diversa provenienza. Il collegamento tra le fattispecie previste dai due diversi commi riguarda il solo trattamento sanzionatorio, e non anche la parte precettiva, che solo nel primo è indirizzata agli esercenti (abusivi) di specifiche attività; l'inclusione, d'altra parte, tra i soggetti attivi della contravvenzione di cui al secondo comma, dei responsabili cli enti, evidenzia anche l'implausibilità della tesi proposta, non essendo ipotizzabili da parte degli stessi attività imprenditoriali correlate alla raccolta, smaltimento di rifiuti et similia. 

La ratio dell'assoggettamento a trattamento penale delle condotte previste dal comma secondo, ove commessa da titolari di impresa o responsabili di enti, è evidente e risiede nella maggior gravità e pericolosità ambientale dell'abbandono o deposito incontrollato di rifiuti provenienti dall'esercizio di attività produttive, di qualsiasi genere, organizzate o comunque ricollegabili alla gestione di enti collettivi, rispetto alle analoghe condotte riferibili a singoli soggetti privati, operanti uti cives, i cui comportamenti il legislatore, sulla considerazione del minor disvalore sociale e del presumibile limitato impatto ambientale di siffatte episodiche condotte, ha ritenuto di dover sanzionare solo in termini di illecito amministrativo, ai sensi dell'articolo 50, d.lgs. n. 22/97» (nello stesso senso, più recentemente, Sez. 7, n. 15025 del 29/11/2017, dep. 2018, Cerchecci, non mass.; Sez. 3, n. 19969 del 14/12/2016, dep. 2017, Boldrin, non mass. sul punto; Sez. 3, n. 8652 del 18/11/2015, dep. 2016, Prudentino, non mass.; Sez. 3, n. 47662 del 08/10/2014, Pelizzari, non mass. sul punto).

E, invero, l'articolo 51, comma 2, d.lgs. n. 22/1997 (cd. Decreto Ronchi), abrogato e sostituito dall'odierno articolo 256, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, nella sua originaria formulazione qualificava i rifiuti abbandonati dai titolari di imprese e responsabili di enti come "propri" (“Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i propri rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all'articolo 14, commi 1 e 2, ovvero effettuano attività di gestione dei rifiuti senza le prescritte autorizzazioni, iscrizioni o comunicazioni di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33”).

La parola "propri" è stata poi soppressa dall'articolo 1, comma 24, legge 9 dicembre 1998, n. 426, che ha eliminato dalla fattispecie anche l'ultimo periodo: «ovvero effettuano attività di gestione dei rifiuti senza le prescritte autorizzazioni, iscrizioni o comunicazioni di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33», così che la norma, prima della sua abrogazione, era testualmente sovrapponibile a quella che l'ha sostituita (l'odierno articolo 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006).

Richiamato e condiviso tutto quanto sopra, la Corte di cassazione, Sez. III, 8 maggio 2024, n. 18046, ha ulteriormente enunciato il seguente principio di diritto:
«Ai fini della sussistenza del reato di cui all'articolo 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, è necessaria e sufficiente la qualifica soggettiva dell'autore della condotta, non essendo altresì richiesto che i rifiuti abbandonati derivino dalla specifica attività di impresa, posto che il reato in esame può essere commesso dai titolari di impresa o responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato non solo i rifiuti di propria produzione, ma anche quelli di diversa provenienza e ciò in quanto il collegamento tra le fattispecie previste dal primo e dal secondo comma dell'art. 256, comma 2, riguarda il solo trattamento sanzionatorio e non anche la parte precettiva».

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, il ricorrente postulava la provenienza dei rifiuti abbandonati (resti di porte, pannelli di truciolato, lastre di vetro, tubi in plastica, un frigorifero) da un'attività diversa da quella svolta dalla società di cui era socio accomandatario (che esercitava attività di carpenteria metallica, in legno e cemento), nonché la qualifica di soggetto "privato" da lui rivestita all'atto dell'abbandono e la qualifica di rifiuti domestici delle cose abbandonate. Ma così non è: non poteva, infatti, considerarsi "privato" l'imprenditore che si fosse prestato ad abbandonare rifiuti altrui, tanto più se gli stessi erano perfettamente compatibili, non solo con l'attività di cantiere nel quale era impegnata anche la società del ricorrente, ma anche con l'attività di quest'ultima.

In conclusione, la qualifica di "privato" che esclude l'applicazione della fattispecie sanzionata dall'articolo 256, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, prevede che la condotta sia posta in essere al di fuori di qualsiasi attività imprenditoriale; che non vi sia, cioè, alcun collegamento, nemmeno occasionale, con l'attività svolta dal titolare dell'impresa (tale, per esempio, il caso dell'imprenditore che abbandoni sulla pubblica via i rifiuti ingombranti di casa sua, così rispondendo del reato di cui all'articolo 255, comma 1).


Articolo di Gaetano Alborino


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