Sulla configurabilità del subingresso nell’esercizio delle sale da gioco e sulla possibilità di mantenere in esercizio sale da gioco esistenti in deroga al limite distanziometrico nella Regione Lazio

T.A.R. Lazio, sentenza n. 6635 del 5 aprile 2024

Servizi Comunali Attività commerciali Polizia amministrativa Tutela salute pubblica
di Conte Elena
23 Aprile 2024

 

La disciplina dei giochi leciti è ricondotta alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordine pubblico e sicurezza” per le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti e per l’individuazione dei giochi leciti. Si tratta di profili, infatti, che evocano finalità di prevenzione dei reati e di mantenimento dell’ordine pubblico (Corte Costituzionale, sentenze n. 72 del 2010 e n. 237 del 2006), giustificando la vigenza del regime autorizzatorio previsto dagli artt. 86 e 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza - TULPS).

Non ogni aspetto concernente la disciplina dei giochi leciti ricade nella competenza statale, ben potendo le Regioni intervenire con misure tese a inibire l’esercizio di sale da gioco e di attrazione ubicate al di sotto di una distanza minima da luoghi considerati “sensibili”, al fine di prevenire il fenomeno della ludopatia. Disposizioni di tal fatta risultano “dichiaratamente finalizzate a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio assistenziale, e a prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo, nonché ad evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilità e la quiete pubblica” (Corte costituzionale, sentenza n. 300 del 2011). Si tratta, in altri termini, di normative che prendono in considerazione principalmente le conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell’impatto sul territorio dell’afflusso a detti giochi da parte degli utenti. Esse, pertanto, sono ascrivibili alle materie “tutela della salute” e “governo del territorio”, nelle quali spetta alle Regioni e alle Province autonome una potestà legislativa concorrente (Corte costituzionale, sentenza n. 27 del 2019).

In tale quadro si inscrive il decreto legge n. 158 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 189/2012, con cui il legislatore ha previsto (art. 7, comma 10) la progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante le cosiddette slot machines, ubicati in prossimità di luoghi sensibili (definendo come tali, in particolare, gli istituti di istruzione primaria e secondaria, le strutture sanitarie e ospedaliere, i luoghi di culto e i centri socio-ricreativi e sportivi) mentre alle Regioni è lasciata la possibilità di individuare distanze minime dai luoghi sensibili per l’esercizio delle attività legate ai giochi leciti, anche individuando luoghi diversi da quelli indicati dal decreto legge (Corte costituzionale, sentenza n. 108 del 2017).

La Regione Lazio ha adottato disposizioni tese a individuare luoghi sensibili con la legge regionale n. 5/2013 che, dapprima, ha fatto coincidere il limite distanziometrico con quello nazionale, per poi indicare, nell’ultima modifica intervenuta con la legge regionale n. 19/2022, un raggio non inferiore a 250 metri dalle aree sensibili. A tale ultima modifica si è accompagnata la riformulazione dell’art. 11 bis (disposizioni transitorie) che, al comma 1, stabilisce che “1. Agli esercizi pubblici e commerciali nonché alle sale da gioco già esistenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 4, comma 1, lettera a), e si applicano esclusivamente le limitazioni di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b).”. Con quest’ultima norma transitoria si è voluto limitare gli effetti delle misure adottate sulle attività in essere, realizzando un equo contemperamento tra gli interessi pubblici e privati coinvolti, onde evitare che si determini l’ablazione di diritti acquisiti in forza di titoli autorizzatori legittimi.

Medio tempore, in data 7 settembre 2017, è stata siglata in Conferenza unificata Stato – Regioni l’intesa prevista dall’art. 1, comma 936, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), volta alla definizione delle caratteristiche dei punti di vendita ove si raccoglie gioco pubblico, nonché dei criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell’ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età. L’intesa fa esplicitamente salve le vigenti disposizioni regionali e comunali, ove recanti standard più elevati di tutela, con la possibilità per Regioni ed enti locali di dettare anche in futuro nuove discipline più restrittive. Sebbene tuttora non recepita dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze previsto dalla legge n. 208 del 2015, tale intesa è stata espressamente richiamata dalla successiva legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), che all’art. 1, comma 1049, stabilisce che le Regioni adeguino la propria legislazione a quanto sancito dalla stessa.

Così delineato, a grandi linee, il quadro normativo di riferimento, sul fronte giurisprudenziale si richiama:

  • la giurisprudenza della Corte Costituzionale per la quale non sussistono dubbi di costituzionalità in riferimento alle disposizioni contenute il Leggi regionali o provinciali che prevedono limitazioni di distanza (Corte Costituzionale, sentenza n. 300/2011 e n. 108/2017);
  • la giurisprudenza amministrativa secondo cui “sono ammissibili restrizioni che vadano sino al divieto delle lotterie e di altri giochi a pagamento con vincite in denaro, trattandosi di un divieto pienamente giustificato da superiori finalità di interesse generale” (Cons. Stato, sentenza n. 4867/2018); 
  • la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (22 ottobre 2014, C-344/13 e C367/13) che, nell’ambito della materia in esame, nel bilanciamento tra libertà economica e tutela della salute, dà prevalenza a quest’ultima.

Delineato il contesto di riferimento, si ci interroga in relazione alla configurabilità del subingresso nell’esercizio delle sale da gioco e sulla possibilità di mantenere in esercizio sale da gioco esistenti in deroga al limite distanziometrico nella Regione lazio. Se, cioè, la norma transitoria regionale che consente la permanenza delle attività già in essere alla data di entrata in vigore della disposizione (art. 11 bis l.r.L. n. 5/2013) possa applicarsi al nuovo soggetto che, a seguito di asserito subentro/subingresso/cambio di gestione comunque denominato, voglia giovarsi della deroga mantenendo le macchine da gioco non più autorizzabili ai sensi dell’art. 4 della l. 5/2013 per mancato rispetto dei limiti di distanza da siti sensibili.

In primo luogo, bisogna chiedersi se, nel caso di cessione d’azienda dell’attività principale (ad esempio, bar, tabaccheria, etc.) il cessionario possa assumere la qualità di subentrante nella concessione delle macchine di raccolta gioco che in tali attività risultino precedentemente esistenti.

In argomento, una sentenza del T.A.R. Venezia (n. 307/2022), con riferimento alla legge regionale Veneto contenente una formulazione simile a quella del Lazio, ha affermato che “non vi è, …alcun riferimento all’aspetto soggettivo dell’identità del gestore-titolare dell’autorizzazione e ciò non appare illogico anche rispetto alla ratio della disposizione, …e cioè la tutela degli investimenti finanziari operati prima dell’entrata in vigore della normativa, la quale non può ritenersi garantita solo dalla possibilità di continuare nell’esercizio dell’attività, ma passa anche attraverso la possibilità di cedere ad altri la gestione della stessa” - “così chiarito il significato da attribuire alla norma, nella fattispecie in esame è incontestato che l’esercizio adibito alla somministrazione di alimenti e bevande nella cui gestione la ricorrente è subentrata, era caratterizzato, già prima del 2015, dalla presenza, al suo interno, dei cinque apparecchi idonei al gioco lecito di cui all’art. 110, comma 6, lett. a) del TULPS oggetto della mancata autorizzazione” concludendo che “Ne deriva che la SCIA presentata dall’odierna ricorrente riguarda il subentro in un’attività già esistente, anche per quanto riguarda l’esercizio degli apparecchi da gioco che, conseguentemente, non può essere inibito per la mancanza della distanza minima da luoghi sensibili, il cui rispetto può essere richiesto solo con riferimento alla nuova installazione di apparecchi da gioco e non anche in occasione del mutamento soggettivo del gestore”.

Tuttavia, sebbene la richiamata giurisprudenza valorizzi il dato oggettivo della continuità dell’attività, si ritiene che essa trascuri quello soggettivo e, cioè, la circostanza che la normativa vigente (artt. 86 e 110 TULPS) richiede l’autorizzazione di polizia come necessario presupposto per l’esercizio della sala giochi. Trattandosi di autorizzazione di polizia, essa è personale e non trasmissibile, ragion per cui in alcun caso potrebbe verificarsi una situazione di subentro rispetto a tale titolo che, per sua natura, deve essere necessariamente richiesto ed ottenuto ex novo.

Pertanto, i limiti previsti, in via generale, dall’art. 4 comma 1 lettera a) l.r. n. 5/13 devono ritenersi applicabili anche a tutte le ipotesi in cui viene in rilievo una nuova istanza ex art. 86 Tulps anche se la stessa abbia ad oggetto impianti già esistenti (in questo senso TAR Lazio – Latina n. 29/24 nonché, di recente e compiutamente, T.A.R. Lazio – Roma n. 6635/2024).

In particolare, nella recentissima sentenza n. 6635/2024, il T.A.R. Roma, nell’interpretare la l.r. n. 5/13, non ha mancato di sottolineare che “- ai fini della perimetrazione dell’ambito applicativo della disposizione transitoria il Collegio ritiene di non potere accedere all’opzione ermeneutica prospettata da parte ricorrente che attribuisce esclusiva rilevanza al profilo c.d. “oggettivo” dell’esercizio pregresso dell’attività di gestione della sala giochi indipendentemente dalla titolarità della stessa per cui, in quest’ottica, i limiti di distanza non si applicherebbero alle ipotesi di mutamento della titolarità degli impianti già esistenti;

  • questa impostazione, infatti, finisce per disconoscere il ruolo di presupposto indispensabile che la normativa vigente (artt. 86 e 110 tulps) attribuisce all’autorizzazione di polizia necessaria per l’esercizio della sala giochi, tale dovendosi qualificare la scia presentata dalla ricorrente il 06/10/23 come emerge espressamente dal contenuto di tale atto;
  • a tal fine, deve essere rilevato che l’autorizzazione ex art. 86 r.d. n. 773/31 deve essere sempre qualificata come finalizzata ad ottenere un nuovo titolo abilitativo concernente l’esercizio di una nuova attività;
  • infatti, per le autorizzazioni di polizia, caratterizzate da una valutazione ampiamente discrezionale dell’amministrazione e dalla loro natura intuitu personae, non è mai consentito il subingresso come espressamente previsto dall’art. 8 r.d. n. 773/31 secondo cui “le autorizzazioni di polizia sono personali: non possono in alcun modo essere trasmesse né dar luogo a rapporti di rappresentanza, salvi i casi espressamente preveduti dalla legge”.

In secondo luogo, la risposta al quesito non può prescindere dalla valorizzazione della ratio dell’art. 11 bis legge regionale Lazio n. 19/2022 che è quella di realizzare un equo contemperamento tra gli interessi pubblici e privati coinvolti, onde evitare che si determini l’ablazione di diritti acquisiti in forza di titoli autorizzatori legittimi. In altre parole, viene valorizzato il legittimo affidamento dei soggetti che avevano investito in attività poi ricadute nell’ambito del divieto legale di installazione, consentendo la prosecuzione di tali attività entro il perimetro in cui è inibita l’installazione di nuove.

Tale legittimo affidamento va necessariamente contemperato con i principi fondamentali del decreto legge n. 158 del 2012, tra i quali vi è certamente quello che si può definire di “prevenzione logistica”, in base al quale tra i locali ove sono installati gli apparecchi da gioco e determinati luoghi di aggregazione e/o permanenza di fasce vulnerabili della popolazione deve intercorrere una distanza minima, ritenuta plausibilmente e ragionevolmente idonea ad arginare, sotto il profilo della vicinitas, i richiami e le suggestioni di facile ed immediato arricchimento. Se da una parte, quindi, viene in rilievo l’art. 41 Cost., sull’altro piatto della bilancia c’è il diritto alla salute (art. 32 Cost.). 

Se questa è la ratio della disciplina transitoria, per il nuovo soggetto che voglia “mantenere” la sala da gioco esistente  non si ravvisano le esigenze di tutela dell’affidamento che, invece, presidiavano la posizione del precedente titolare: tale tutela – transitoria – va garantita solo a coloro che, prima della entrata in vigore della nuova normativa sulle distanze minime da particolari luoghi sensibili, avevano già iniziato l’attività di gioco lecito e ottenuto le relative autorizzazioni, sostenendo investimenti finanziari che l’applicazione della nuova disciplina regolamentare rischierebbe di pregiudicare.

A parere di chi scrive, una lettura diversa che, attraverso il meccanismo del subingresso nell’attività principale, consentisse di perpetrare a tempo illimitato l’esercizio dell’attività di gioco altrimenti vietata genererebbe una palese alterazione della concorrenza, e, tradendo l’originario spirito di tutela dell’affidamento che anima la norma transitoria, creerebbe vere e proprie sacche di privilegio anticoncorrenziale in violazione del diritto dell’Unione europea (articoli 26, 49 e 56 TFUE). L’effetto, infatti, sarebbe quello di determinare una condizione di esclusività per quelle attività proprio in quanto esse si trovano ad operare in un perimetro interdetto a tutti gli altri operatori e tale “privilegio” sine die, ove ritenuto trasmissibile, sarebbe assolutamente ingiustificato, privo di causa e contrario ai principi del diritto dell’Unione Europea, con particolare riferimento: (i) al principio di proporzionalità, sotto i diversi profili dell’idoneità, adeguatezza e necessità delle misure ed al loro carattere non discriminatorio; (ii) al principio di libertà d'impresa, di stabilimento e di accesso al mercato; (iii) al principio di unità del mercato e di trattamento uniforme, indipendentemente dal fatto che l'operatore economico sia pubblico o privato, vietando qualsiasi tipo di vantaggio che distorca la concorrenza; (iv) al divieto di discriminazioni, divieto di vantaggi che distorcano la concorrenza o implichino forme nascoste di monopolio.


Articolo di Elena Conte

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