Licenziamento dipendente agli arresti domiciliari, con procedimento disciplinare sospeso in attesa delle indagini e erogazione assegno alimentare

Risposta del Dott.ssa Ylenia Daniele

Quesiti
di Daniele Ylenia
10 Aprile 2024

Un dipendente sottoposto agli arresti domiciliari, gli è stato contestato avvio di procedimento disciplinare sospeso, in attesa dei risultati delle indagini, gli è stato erogato l'assegno alimentare. Il dipendente si è poi dimesso. A breve ci sarà l'udienza nel quale l'ex dipendente patteggerà 2 anni di pena. In caso di patteggiamento l'Ente deve procedere autonomamente al licenziamento del dipendente, e con quale decorrenza? Gli importi corrisposti quale assegno alimentare vanno recuperati?
 

Risposta

In ordine al primo quesito, occorre precisare che la sentenza c.d. di patteggiamento è disciplinata dall'art.444 c.p.p., rubricato "Applicazione della pena su richiesta"; essa presuppone il riconoscimento di colpevolezza da parte dell'imputato che, patteggiando, chiede l'applicazione di una pena "scontata" nella sua prevedibile entità.
Ai fini dell'art. 55-ter, il patteggiamento viene equiparato ad una sentenza di condanna; infatti, nell'art. 55 quinquies, comma 3,  il legislatore menziona distintamente la sentenza «definitiva di condanna» e quella «di applicazione della pena», dimostrando così di essere perfettamente consapevole della differenza tra le due categorie di pronunce giudiziali e deve ritenersi operante, nella fattispecie, il disposto dell'art. 445, comma 1-bis, c.p.p., a norma del quale “salve diverse disposizioni di legge, la sentenza [di patteggiamento] è equiparata a una pronuncia di condanna”. 

Ciò premesso, ai sensi dell’art. 55 ter del D.Lgs n. 165/2001, comma 1, il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale e l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, “nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale.”
La sospensione, ove disposta, dura fino al “termine” del procedimento penale, dovendosi intendere per tale il momento in cui diviene definitivo il provvedimento giudiziale che conclude quel procedimento.
A norma del comma 3 del medesimo articolo 55 ter, se il procedimento disciplinare si conclude con l'archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna (ovvero di patteggiamento, per quanto sopra esposto), l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all'esito del giudizio penale. 

Tuttavia, nel caso che ci occupa, durante la sospensione cautelare e prima della conclusione del procedimento disciplinare sono intervenute le dimissioni del lavoratore.
Di norma, l’art. 55 bis comma 9 dispone che “la cessazione del rapporto di lavoro estingue il procedimento disciplinare salvo che per l'infrazione commessa sia prevista la sanzione del licenziamento o comunque sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio. In tal caso le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici ed economici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro.”
La disposizione è chiara nell’affermare la permanenza del potere disciplinare in capo alla Pubblica Amministrazione non solo nella ipotesi in cui la pregressa sospensione cautelare del dipendente renda necessaria la regolazione degli effetti economici connessi alla sospensione e, quindi, l’accertamento sulla sussistenza dell’illecito che aveva dato causa alla sospensione medesima.
Nel merito, con la sentenza n. 17307 del 24/8/2016 la Cassazione chiarisce che, in caso di dimissioni del dipendente, se per l’infrazione commessa è prevista la sanzione del licenziamento o se comunque è stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare ha ugualmente corso secondo le disposizioni del presente articolo e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Il legislatore ha voluto infatti che, nei casi di comportamenti di gravità tali da giustificare il licenziamento, la sanzione debba comunque essere inflitta, a prescindere dalla attualità del rapporto di lavoro ai fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione. La ratio della norma va ricercato nella necessità di accertare se sussista o meno la possibilità disciplinare per impedire, in caso di accertamento positivo, che il dipendente dimessosi possa essere riammesso in servizio, possa partecipare a successivi concorsi pubblici, possa far valere il rapporto di impiego come titolo per il conferimento di incarichi da parte della PA. Ciò a tutela dei principi di legalità, buon andamento e imparzialità che sussistono in eguale misura sia nella ipotesi in cui il dipendente si dimetta a procedimento disciplinare già avviato, sia qualora le dimissioni siano antecedenti all’esercizio della azione disciplinare.

Pertanto, non rileva che le dimissioni del dipendente siano intervenute in epoca antecedente alla conclusione del procedimento disciplinare, restando ferma la necessità di comminare il licenziamento da parte dell’ente.

In merito al termine di decorrenza del licenziamento, infine, appare utile richiamare la sentenza n. 567/2021 con cui la Corte d’Appello di Milano è intervenuta sul tema dell’applicazione della sospensione cautelare nell’ambito del procedimento disciplinare, e delle conseguenze della stessa nel caso di successivo licenziamento.
Con la pronuncia in commento la Corte d’Appello meneghina ha confermato il principio, già consolidato da altre pronunce in materia (cfr. Cass. civ., sez. lav., 12 maggio 2015, n. 9818), secondo cui il procedimento disciplinare conclusosi in senso sfavorevole al lavoratore – ossia con il licenziamento in tronco di quest’ultimo – comporta la “fusione” del momento di applicazione della sospensione cautelare con il momento di definitiva interruzione del rapporto di lavoro, con conseguente perdita ex tunc del diritto alle retribuzioni, vale a dire “a far data dal momento della sospensione medesima”.

Ciò, in quanto, sostiene la Corte, la sospensione cautelare – “pur strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento risolutivo del rapporto, giacché adottata in via meramente cautelare in attesa del secondo – si salda con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto”.
La sospensione cautelare, infatti, non si configura come un provvedimento disciplinare, ma rientra nel potere direttivo del datore di lavoro. Nel caso che ci occupa, il datore di lavoro applica lo strumento della sospensione cautelare al lavoratore contestualmente alla comunicazione della contestazione disciplinare.
Ne deriva che, il momento di comunicazione di avvio del procedimento disciplinare e quello di applicazione della sospensione cautelare coincidono. 

Infine, in relazione alle possibilità di ripetizione delle somme corrisposte al lavoratore dall’avvio della sospensione cautelare, si fa notare che l’art. 61 del Ccnl 18.05.2018 enti locali dispone che “Il dipendente che sia colpito da misura restrittiva della libertà personale è sospeso d'ufficio dal servizio con privazione della retribuzione per la durata dello stato di detenzione o, comunque, dello stato restrittivo della libertà.”.
Inoltre, al comma 7 del medesimo articolo, si precisa che “Al dipendente sospeso, ai sensi del presente articolo, sono corrisposti un'indennità pari al 50% dello stipendio, nonché gli assegni del nucleo familiare e la retribuzione individuale di anzianità, ove spettanti.”
La norma richiama, infatti la c.d. indennità alimentare, di cui all’art.5, comma 7, del CCNL dell’11.4.2008.  
In proposito, l’ARAN con l’orientamento applicativo Ral_1450 del 8.8.2012 precisa che l'indennità prevista dall'art.5, comma 7 del CCNL dell’11.4.2008, non ha natura retributiva, ma assistenziale.
In quanto tale, quindi non è ripetibile nel caso di risoluzione retroattiva del rapporto di lavoro. (si vedano gli orientamenti giurisprudenziali nelle seguenti sentenze: T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 28 aprile 2001, n. 316; Consiglio Stato, sez. IV, 29 gennaio 1996, n. 65; Consiglio Stato a. plen., 26 ottobre 1988, n. 9; Consiglio Stato, sez. IV, 24 gennaio 1990, n. 37).


10 aprile 2024                   Ylenia Daniele

Per i clienti Halley: ricorrente QP n.7233, sintomo n.7334


 

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