Correzione o rettifica su atto di nascita estero di neo cittadino italiano in cui risulta mancante cognome della madre
Risposta della Dott.ssa Roberta Mugnai
Risposta di Andrea Dallatomasina
QuesitiUn cittadino ha ricevuto diniego all’iscrizione anagrafica dall’Acer in quanto presso quell’immobile è residente la madre morosa.
Si chiede se è possibile iscrive questo cittadino presso la casa comunale, come senza fissa dimora, eleggendo domicilio presso l’immobile popolare Acer da cui ha ricevuto diniego.
Com’è noto l'iscrizione anagrafica è un diritto costituzionalmente garantito nei confronti di coloro che hanno la dimora abituale ad un determinato indirizzo.
Si ricorda che l’ufficiale di anagrafe assume le proprie decisioni conformemente alle norme di diritto che disciplinano l’ordinamento anagrafico. A tal proposito si richiama quanto disposto dall’articolo 1, comma 2, della Legge 24 dicembre 1954, n. 1228, secondo cui nell'anagrafe della popolazione residente sono registrate le posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze, che hanno fissato nel Comune la residenza, nonché le posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel Comune il proprio domicilio.
Di particolare interesse è anche l’articolo 4 della medesima legge che individua il compito dell’ufficiale di anagrafe, cioè quello di provvedere alla “regolare” tenuta dell’anagrafe.
Questi principi, che costituiscono l’architrave di tutto l’ordinamento anagrafico, sono richiamati anche dal Ministero dell’Interno che, in una circolare datata nel tempo, ma attualissima nei suoi contenuti (Circolare n. 8 del 29 maggio 1995), ha affermato che il fine cui è ispirata la legislazione anagrafica è la rilevazione delle situazioni di fatto.
In altri termini la funzione dell'anagrafe “è essenzialmente di rilevare la presenza stabile, comunque situata, di soggetti sul territorio comunale, né tale funzione può essere alterata dalla preoccupazione di tutelare altri interessi anch'essi degni di considerazione (…), per la cui tutela dovranno essere azionati idonei strumenti giuridici, diversi tuttavia da quello anagrafico.
Dalle suesposte considerazioni emerge che compito precipuo dell'ufficiale di anagrafe è quello di accertare la corrispondenza tra quanto dichiarato dal cittadino, cioè l'intenzione di risiedere, nel comune, e la res facti, ovverosia l'effettiva presenza abituale dello stesso, che dovrà formare oggetto di apposito accertamento disposto dall'ufficiale di anagrafe, cui spetti esclusivamente la decisione finale - accoglimento o meno - della richiesta di iscrizione anagrafica”.
L'ufficiale d'anagrafe ha quindi l'obbligo di registrare la situazione reale come se fosse una fotografia raffigurante le persone che dimorano abitualmente nel territorio. Questo compito deve essere eseguito applicando la normativa anagrafica, e seguendo tutti i passi previsti dalla Legge 7 agosto 1990, n. 241, in materia di procedimento amministrativo.
Tali principi, a partire dal marzo del 2014, devono essere coordinati con le disposizioni del Decreto Legge 28 marzo 2014, n. 47.
L'orrendo articolo 5 del Decreto Legge 28 marzo 2014, n. 47, deve essere applicato "correttamente" e, quindi, solo nei casi espressamente previsti da quella norma e nei limiti indicati dal Ministero dell'interno con la sua Circolare n. 14 del 2014, dove si afferma: "...Al fine di chiarire la portata della disposizione in argomento è utile osservare che la volontà del legislatore, così come rilevabile dagli atti parlamentari, sia stata quella di consentire il "...ripristino delle situazioni di legalità compromesse dalla sussistenza di fatti penalmente rilevanti".
Tale disposizione mira a colpire "situazioni di legalità compromesse dalla sussistenza di fatti penalmente rilevanti" (cfr. Servizio Studi del Senato, aprile 2014, n. 123, Dossier sull'A.S. n. 1413, pag. 43) e non altre situazioni di ordinari rapporti tra proprietari (pubblici o privati) e occupanti.
Il reato, cui fa riferimento la Circolare n. 14, è previsto dall'articolo 614 del Codice Penale, che dispone "Chiunque s'introduce nell'abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s'introduce clandestinamente o con l'inganno, è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l'espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno. Il delitto è punibile a querela della persona offesa".
Ebbene, chi entra in un immobile con la chiave consegnata dal proprietario o perché viene accolto dall'inquilino che occupa regolarmente l'immobile, NON commette alcun reato.
Le questioni relative alla regolarità edilizia e igienico sanitaria, al sovraffollamento, alle questioni fiscali e anche ai rapporti fra proprietario e inquilini o famigliari degli inquilini, alla durata del titolo di occupazione dell’alloggio, agli abusi edilizi, non riguardano l’anagrafe che deve registrare le persone esattamente nel luogo di dimora abituale.
Nessuno nega che nei casi sopra elencati vi siano irregolarità amministrative o di diritto privato di varia natura; ebbene, non è l’ufficiale d’anagrafe che ha il potere di risolverli ma il giudice del tribunale civile.
Per concludere quindi l’occupazione è da ritenersi abusiva solamente quando chi occupa l’immobile ne è entrato in possesso con la violenza (tipico il caso di chi sfonda la porta di ingresso dell’abitazione) compiendo un reato (articolo 614 e 633 del Codice Penale).
A questa regola non si sottraggono gli alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Quando poi, come nel caso di specie, chi deve essere iscritto (il figlio dell’assegnataria di alloggio di edilizia residenziale pubblica) ha un vincolo familiare con l’assegnataria stessa che, fra l’altro, ha un titolo legittimo di occupazione dell’immobile, occorre tener presente che la giurisprudenza, in maniera molto decisa, si è sempre orientata verso la tutela dell’unità familiare (cfr. Cassazione Sez. III, sent. n. 14343 del 19 giugno 2009 - “… i divieti di ospitalità (non temporanea di persone estranee al nucleo familiare anagrafico) del contratto di locazione confliggono proprio con l'adempimento dei doveri di solidarietà (art. 2 Costituzione) che si può manifestare attraverso l'ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà e possono altresì confliggere con la tutela dei rapporti sia all'interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto formazione sociale, o con l'esplicazione di rapporti amicizia”.
Nella situazione rappresentata si rileva che l'ingresso nell'alloggio di edilizia popolare pubblica non è avvenuto abusivamente ma con il consenso dell'assegnataria, madre del richiedente la residenza anagrafica.
Perciò, alla luce di quanto sopra esposto, ribadendo che il contratto di assegnazione vincola le parti fra di loro, ma non vincola l’operato dell’ufficiale d'anagrafe, che deve comunque fare il suo lavoro, se gli accertamenti fatti danno esito positivo, confermare la registrazione anagrafica del figlio iscrivendolo nell'appartamento dove vive con la madre, nella famiglia anagrafica dell'assegnataria dell'alloggio ai sensi dell’articolo 4 del dPR 30 maggio 1989, n. 223, poiché esiste vincolo di parentela.
Naturalmente l’assegnatario e la madre avranno l'onere di sistemare la questione amministrativa dell'allargamento del nucleo, ci potrebbero essere sanzioni a carico dell'assegnataria che non ha provveduto a regolarizzare tale richiesta per tempo, ma in tutto questo non vi è nulla di penalmente rilevante e la mutazione anagrafica dovrà essere eseguita regolarmente.
9 febbraio 2024 Andrea Dallatomasina
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