Convenzioni tra enti se è previsto soltanto il rimborso spese per la compartecipazione

Risposta dell'Avv. Elena Conte

Quesiti
di Conte Elena
01 Febbraio 2024

Vorrei un parere sul tema delle convenzioni tra Enti di cui all'art 15 L 241/90, se è previsto il solo rimborso spese per la compartecipazione si può considerare sempre un accordo fra PA o non è ammissibile?

 

Risposta

La disposizione generale di riferimento che regola la materia, contenuta nell’art. 15 della legge n. 241/90, per quanto di interesse, stabilisce che “1. Anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune…”.

Come chiarito dall’ANAC con parere AG. 20/2014 (e precedente determinazione n. 7/2010), affinché possa configurarsi un accordo tra pubbliche amministrazioni sottratto alla disciplina dei contratti pubblici, “è di particolare importanza il requisito dell’“interesse comune”, da valutarsi secondo un criterio di effettività alla luce di un’attenta valutazione del caso concreto. In altri termini, vi deve essere e deve sussistere una effettiva condivisione di compiti e di responsabilità, ben diversa dalla situazione che si avrebbe in presenza di un contratto a titolo oneroso in cui solo una parte svolge la prestazione pattuita mentre l’altra assume l’impegno della remunerazione”.

Tale precisazione si è resa necessaria successivamente all’estensione da parte della Corte di Giustizia UE della nozione di operatore economico legittimato a partecipare alle gare anche ai soggetti che, non perseguendo un preminente scopo di lucro e non disponendo della struttura organizzativa di un’impresa, non assicuravano la loro costante presenza sul mercato, quali le università e gli istituti di ricerca nonché i raggruppamenti di università e le pubbliche Amministrazioni.

Al riguardo, si richiama il Considerando 33 della direttiva 2014/24/UE, che, in applicazione del principio di libera amministrazione, stabilisce che “Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero poter decidere di fornire congiuntamente i rispettivi servizi pubblici mediante cooperazione senza essere obbligate ad avvalersi di alcuna forma giuridica in particolare. Tale cooperazione potrebbe riguardare tutti i tipi di attività connesse alla prestazione di servizi e alle responsabilità affidati alle amministrazioni partecipanti o da esse assunti, quali i compiti obbligatori o facoltativi di enti pubblici territoriali o i servizi affidati a organismi specifici dal diritto pubblico. I servizi forniti dalle diverse amministrazioni partecipanti non devono necessariamente essere identici; potrebbero anche essere complementari. I contratti per la fornitura congiunta di servizi pubblici non dovrebbero essere soggetti all'applicazione delle norme stabilite nella presente direttiva, a condizione che siano conclusi esclusivamente tra amministrazioni aggiudicatrici, che l'attuazione di tale cooperazione sia dettata solo da considerazioni legate al pubblico interesse e che nessun fornitore privato di servizi goda di una posizione di vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. Al fine di rispettare tali condizioni, la cooperazione dovrebbe fondarsi su un concetto cooperativistico. Tale cooperazione non comporta che tutte le amministrazioni partecipanti si assumano la responsabilità di eseguire i principali obblighi contrattuali, fintantoché sussistono impegni a cooperare all'esecuzione del servizio pubblico in questione. Inoltre, l'attuazione della cooperazione, inclusi gli eventuali trasferimenti finanziari tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, dovrebbe essere retta solo da considerazioni legate al pubblico interesse…” (cfr. il richiamo al considerando 33 in Corte Giustizia Unione Europea Sez. IX, 4 giugno 2020, n. 429/19).

In linea con tale previsione, l’attuale Codice dei contratti pubblici (D.lgs. n. 36/2023) prevede all’art. 7, co. 4, che “La cooperazione tra stazioni appaltanti o enti concedenti volta al perseguimento di obiettivi di interesse comune non rientra nell’ambito di applicazione del codice quando concorrono tutte le seguenti condizioni:

a) interviene esclusivamente tra due o più stazioni appaltanti o enti concedenti, anche con competenze diverse;

b) garantisce la effettiva partecipazione di tutte le parti allo svolgimento di compiti funzionali all’attività di interesse comune, in un’ottica esclusivamente collaborativa e senza alcun rapporto sinallagmatico tra prestazioni;

c) determina una convergenza sinergica su attività di interesse comune, pur nella eventuale diversità del fine perseguito da ciascuna amministrazione, purché l’accordo non tenda a realizzare la missione istituzionale di una sola delle amministrazioni aderenti;

d) le stazioni appaltanti o gli enti concedenti partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione.”.

Il rischio dell’elusione della normativa sugli appalti, quindi, non comporta la diretta incompatibilità tra accordi e diritto eurounitario, avendo la stessa Corte di Giustizia UE affermato che una pubblica amministrazione ben possa perseguire gli obiettivi ad essa affidati dalla legge decidendo di fare ricorso alla collaborazione con altre pubbliche amministrazioni piuttosto che introducendo la domanda all’interno del mercato esterno, subordinando però la compatibilità di tali accordi con il diritto dei contratti pubblici al rispetto delle condizioni sopra riportate.

Chiarito che l’art. 15 della legge n. 241/1990 deve essere letto alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale europeo, si deve a questo punto stabilire se l’accordo di che trattasi rispetti le condizioni su indicate e, in particolare, sia riscontrabile l’effettivo interesse comune tra le pubbliche amministrazioni partecipanti all’accordo, ovvero una cooperazione tra queste ultime esclusivamente deputata all’adempimento di una funzione di pubblico servizio.

Diversamente, ove difetti tale requisito, non sarebbe configurabile un accordo ex art. 15 della legge 241/90 e, di conseguenza, non sarebbe possibile il diretto affidamento ad un’altra amministrazione, non ricorrendo quei motivi imperativi di carattere generale che giustificano l’assenza di una procedura di evidenza pubblica, che dovrà quindi essere indetta in rispetto del principio della tutela della concorrenza.

Al riguardo, va precisato che l’effettività della cooperazione, quale partecipazione congiunta delle parti dell’accordo, costituisce requisito indispensabile, che non si ravviserebbe qualora l’unico contributo di una delle parti sia limitato al mero rimborso delle spese.

Il che significa anche che – mentre la previsione di un corrispettivo esclude certamente la sussistenza di un accordo ai sensi dell’art. 15 (cfr. Corte di giustizia UE, Sez. IX, sentenza 4 giugno 2020, C-429/19) – la previsione di un rimborso spese si pone quale elemento in sé neutro, in quanto la previsione del rimborso, e non del corrispettivo, di per sé non sarebbe dirimente al fine di escludere l’accordo di collaborazione dal campo di applicazione della normativa sugli appalti.

Infatti, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha riconosciuto che neanche le fattispecie in cui l’unico contributo apportato da uno dei contraenti consiste nel mero rimborso delle spese sostenute da un altro contraente sono indiziarie di un’effettiva cooperazione (elemento neutro), ma ben possono pienamente rientrare, in difetto delle condizioni cumulative prescritte, nella nozione di appalto pubblico ed essere dunque sottoposte alle regole dell’evidenza pubblica (cfr. Corte di Giustizia UE, 4 giugno 2020, C-429/19 cit.).

Va, in conclusione, verificato in concreto che l’erogazione del contributo spese non sia l’elemento unico di compartecipazione all’accordo ma che sia accompagnato dal requisito dell’“interesse comune”, da valutarsi secondo un criterio di effettività alla luce di un’attenta valutazione del caso concreto.

29 gennaio 2024           Elena Conte

 

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