SCIA: aspetti peculiari e ipotesi patologiche

Un utile vademecum gestionale per gli amministratori alla luce della giurisprudenza

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di Petrulli Mario
11 Gennaio 2024

Ipotesi patologiche: cosa fare entro i primi 30 giorni

La prima ipotesi è quella di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per l’operatività della SCIA: in tal caso si adotta motivato provvedimento di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi della segnalazione (cfr. art 19, comma 3, della Legge n. 241/1990). 
La seconda ipotesi è quella in cui l’attività presenta alcuni elementi di irregolarità ma può essere conformata al modello legale: in tal caso l’ufficio tecnico comunale, sempre con provvedimento motivato, invita il privato a provvedere prescrivendo le misure necessarie, con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l'adozione di queste ultime. Alla scadenza del termine, se il privato dimostrerà di essersi adeguato alle prescrizioni richieste l’attività potrà essere svolta; se le verifiche evidenzieranno invece che il privato non si è adeguato alle prescrizioni richieste, l’attività si considera vietata e verranno adottati provvedimenti di sospensione e/o demolizione.
La terza ipotesi è quella in cui si accertano attestazioni non veritiere o di pericolo per la tutela dell'interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale: in tal caso l’ufficio dispone la sospensione dell'attività intrapresa. 
Ricordiamo, altresì, che è illegittimo il provvedimento di sospensione della SCIA che non contenga il termine di durata della sospensione: ed infatti, ai sensi dell’art. 21-quater della Legge n. 241/1990, detto termine deve essere “esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze” (TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 15 giugno 2022, n. 1704).

Ipotesi patologiche: cosa fare dopo i 30 giorni

Secondo costante orientamento, al decorrere del termine per l’esercizio del potere inibitorio-repressivo, la SCIA costituisce titolo abilitativo definitivamente valido ed efficace. Pertanto, l’ufficio conserva un residuale potere di autotutela (TAR Lombardia, Brescia, sez. II, sent. 11 luglio 2022, n. 682; TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 28 agosto 2023, n. 4903; Salerno, sez. II, sent. 27 novembre 2023, n. 2758), da esercitarsi nel rispetto dei presupposti di legge, previa comunicazione di avvio del procedimento di secondo grado. Tale prerogativa residuale condivide, infatti, i principi regolatori legislativamente sanciti, in materia di autotutela, con particolare riguardo: 

  • alla necessità dell'avvio di un apposito procedimento in contraddittorio;
  • al rispetto del limite del termine ragionevole (nel termine massimo di 12 mesi);
  • alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in gioco, idonea a giustificare la frustrazione dell'affidamento incolpevole maturato in capo al segnalante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio. 

Errori da evitare dopo i 30 giorni

Considerato che il termine dei 30 giorni dalla presentazione della SCIA è perentorio (TAR Lombardia, Brescia, sez. II, sent. 11 luglio 2022, n. 682) per l’esercizio dei poteri conformativi e/o inibitori, trascorso tale termine, è illegittimo adottare:

  • una diffida a non proseguire le opere (TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 13 aprile 2023, n. 842);
  • un’ordinanza di sospensione dei lavori (TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 13 aprile 2023, n. 842);
  • un’ordinanza di demolizione (TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. 3 novembre 2022, n. 1935).

Diversamente opinando, si finirebbe per negare ogni rilevanza alla prescrizione di legge secondo cui l'Amministrazione può e deve inibire i lavori entro trenta giorni e si introdurrebbe nel sistema un elemento di profonda incertezza (TAR Lazio, Latina, sez. I, sent. 6 giugno 2018, n. 290; TAR Lombardia, Milano, sez. I, sent. 29 dicembre 2016, n. 2488; TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 2 dicembre 2021, n. 2611).

La comunicazione di avvio del procedimento nel caso dell’adozione dei provvedimenti inibitori

La giurisprudenza amministrativa è da tempo orientata nell’escludere che in materia di SCIA vadano attivate le garanzie partecipative ex artt. 7 e 10-bis della Legge n. 241/1990, prima dell’esercizio dei relativi poteri di controllo e inibitori; in tal senso cfr. TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 11 aprile 2022, n. 920, secondo cui: “La SCIA non è qualificabile come provvedimento amministrativo, ma come atto in tutto e per tutto del privato, al quale non si applica la disciplina dell’art. 10 bis della L. n. 241 del 1990. La natura giuridica della segnalazione certificata di inizio attività - che non è una vera e propria istanza di parte per l’avvio di un procedimento amministrativo poi conclusosi in forma tacita, bensì una dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività ammessa direttamente dalla legge - induce ad escludere che l’autorità procedente debba comunicare al segnalante l’avvio del procedimento o il preavviso di rigetto ex art. 10 bis della L. n. 241 del 1990, prima dell'esercizio dei relativi poteri di controllo e inibitori” (conforme: TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 3 dicembre 2021, n. 7787).
Similmente, il TAR Lombardia, Brescia, sez. II, nella sent. 2 luglio 2018, n. 646, ha affermato che “Proprio la natura giuridica della segnalazione certificata di inizio attività (ed a maggior ragione della comunicazione di inizio lavori asseverata) - che non è istanza di parte per l’avvio di un procedimento amministrativo poi conclusosi in forma tacita, ma è dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività ammessa direttamente dalla legge - esclude che debba trovare applicazione l’istituto della comunicazione di avvio del procedimento o del preavviso di rigetto ex art. 10 bis L. 7 agosto 1990, n. 241”.
In più, trattandosi di un provvedimento sostanzialmente vincolato, per i concreti risvolti assunti dalla vicenda su cui il Comune è stato chiamato ad intervenire, ogni apporto procedimentale sia da un punto di vista stragiudiziale che da un punto di vista processuale, appare senz’altro superfluo ed inidoneo a mutare il corso della decisione intrapresa dalla P.A. (TAR Campania, Salerno, sez. III, sent. 21 settembre 2023, n. 2028).

La comunicazione di avvio del procedimento nel caso dell’annullamento

Al contrario dell’ipotesi di cui al punto precedente, la comunicazione di avvio del procedimento è doverosa nel caso di esercizio del potere di annullamento (TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 27 novembre 2023, n. 2758).
È, quindi, illegittimo l’esercizio dei poteri di autotutela spettanti al Comune con riferimento all’annullamento di una SCIA non preceduta dalla comunicazione dell’avvio del procedimento e senza l’attivazione di alcuna altra forma di interlocuzione con l’interessato. L’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento e di instaurare un contraddittorio effettivo con i soggetti direttamente interessati assume maggior spessore in casi in cui, come quello in esame, l’Amministrazione esercita il potere di autotutela annullando quello che la giurisprudenza ha definito il diniego di esercizio nei termini di legge del potere inibitorio, ossia un’inerzia con cui, di fatto, l’amministrazione ha consentito il consolidarsi di una posizione soggettiva favorevole per l’interessato. Detto obbligo, dunque, trova la sua ragion d’essere primaria nell’indiscussa idoneità dei provvedimenti cc.dd. di “secondo grado” ad incidere su posizioni giuridiche ormai acquisite e, quindi, sull’affidamento ingenerato negli interessati dagli atti di “primo grado” (TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sent. 8 novembre 2016, n. 11054; conformi: TAR Lazio, Latina, sez. I, sent. 31 agosto 2016, n. 536; TAR Lombardia, Milano, sez. I, sent. 8 giugno 2016, n. 1141; TAR Veneto, sez. II, sent. 17 settembre 2019, n. 985).

SCIA priva dell’autorizzazione paesaggistica

Secondo l’art. 22, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001, il quale detta la disciplina degli interventi subordinati a S.C.I.A., “la realizzazione degli interventi di cui al presente Capo che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica, paesaggistico-ambientale o dell’assetto idrogeologico, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative”. 
La norma impone, quindi, al presentatore della SCIA di munirsi, prima d’intraprendere i lavori oggetto della segnalazione, anche della prescritta autorizzazione di settore, la quale tuttavia nel caso di specie non risulta essere stata né richiesta, né tantomeno assentita: con la conseguenza dell’inefficacia radicale, già ab origine, del titolo edilizio di provenienza privata. 
La giurisprudenza amministrativa si è espressa, infatti, nel senso che, per tutti gli interventi realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività previa autorizzazione paesaggistica, in assenza del rilascio di quest’ultima, la SCIA non ha effetto, e l'intervento realizzato deve pertanto considerarsi eseguito senza titolo (TAR Molise, sez. I, sent. 20 luglio 2022, n. 261).

SCIA inesatta o incompleta e potere inibitorio

La giurisprudenza ha, più volte, chiarito che in presenza di una SCIA inesatta o incompleta, permane sempre e comunque il potere di inibire l’attività segnalata (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 18 giugno 2014, n. 1601; TAR Campania, Napoli, sez. II, 25 luglio 2016, n. 3869; sez. VII, 10 gennaio 2019, n. 143; TAR Liguria, Genova, sez. I, 10 maggio 2019, n. 436).
Affinché la SCIA (o la DIA) possa essere idonea allo scopo, sono necessarie la sussistenza e la completezza della relativa documentazione, dovendo la stessa, anche se intesa quale atto del privato, corrispondere al modello legale per poter produrre effetti” (Consiglio di Stato n. 2799/2021, n. 2584/2018, n. 1416/2014)
Essa è inidonea a costituire valido ed efficace titolo abilitativo “tacito”, posto che soltanto una SCIA completa legittima l’esercizio dell’attività edilizia. Le conseguenze immediate sono: l’intervento edilizio eventualmente avviato o compiuto si qualifica avvenuto in assenza dei presupposti di legge; le opere risultano abusive perché compiute in assenza del relativo titolo edilizio (TAR Toscana, sez. III, sent. 13 maggio 2022, n. 663).

SCIA con falsa rappresentazione dei fatti negli elaborati grafici 

Per consolidato orientamento giurisprudenziale, nell'ipotesi in cui sia accertata una falsa rappresentazione dei fatti negli elaborati grafici presentati a corredo della segnalazione certificata di inizio attività, l'Amministrazione può procedere all'annullamento in autotutela di quest'ultima anche oltre il termine di dodici mesi di cui all'art. 21-nonies della Legge n. 241/1990 (Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 8 novembre 2018, n. 6308).
La giurisprudenza amministrativa ha da tempo affermato, infatti, che il comma 2 bis dell’art. 21 nonies della Legge n. 241/1990 va interpretato nel senso che “la falsa rappresentazione dei fatti da parte del privato (configurabile anche in presenza del solo silenzio su circostanze rilevanti) comporta l'inapplicabilità del termine di diciotto mesi per l'annullamento d'ufficio introdotto, nell'art. 21-nonies, l. n. 241 cit., dall'art. 6, l. 7 agosto 2015 n. 124, e perciò senza neppure richiedere alcun accertamento processuale penale” (Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 8 novembre 2018, n. 6308; sent. 18 luglio 2018, n. 4374; sez. V, sent. 27 giugno 2018, n. 3940; conforme TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 14 gennaio 2022, n. 300).

Sanzione per le opere realizzate in difformità dalla SCIA 

Nel caso di opere in difformità dalla SCIA, l’unica sanzione applicabile è quella pecuniaria ex art. 37, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, a norma del quale “la realizzazione di interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro”.
È illegittima, pertanto, l’ingiunzione della misura repressivo-ripristinatoria (TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 27 novembre 2019, n. 2116).

SCIA in sanatoria e rideterminazione dell’oblazione

L’oblazione per la SCIA in sanatoria rientra nel più ampio genere del contributo di costruzione, costituendo la stessa una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione funzionali all’intervento edilizio posto in essere dal privato (cfr., sul punto, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 15 maggio 2020, n. 828).
Quanto al termine entro il quale è consentito agli Uffici comunali esigere il pagamento delle differenze dovute a titolo di contributo di costruzione non versato nella misura integrale, lo stesso va individuato in quello di prescrizione decennale, nulla avendo a che fare tale aspetto con il titolo edilizio cui è collegato. Quest’ultimo, infatti, si perfeziona indipendentemente dalla corresponsione degli oneri di urbanizzazione, come si ricava implicitamente dal disposto di cui all’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001, in cui si prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria rapportata all’entità del contributo in caso di mancato pagamento, o per il suo ritardo, con la possibilità per i Comuni di tutelarsi mediante la riscossione coattiva (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 10 maggio 2018, n. 1242; 15 marzo 2018, n. 730; 14 novembre 2017, n. 2173). Una eccezione a tale regola può essere rinvenuta soltanto in materia di condono edilizio, dove per la formazione del titolo è, tra l’altro, “indispensabile dimostrare l’avvenuto pagamento degli oneri di concessione che, secondo la giurisprudenza, deve essere effettuato per l’intero, non essendo sufficiente, al fine del maturare del silenzio assenso, il versamento di semplici acconti” (cfr. Consiglio di Stato, IV, 17 maggio 2018, n. 2930; 30 giugno 2010, n. 4174; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 13 ottobre 2020, n. 1888; 30 maggio 2019, n. 1240).
Pertanto, in linea con la più autorevole giurisprudenza, va rimarcato che “gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico [con la conseguenza che] l’applicazione delle tabelle parametriche da parte dell’amministrazione comunale, per quanto complessa, costituisce comunque una operazione contabile che, essendo al privato ben note dette tabelle, questi può verificare nella sua esattezza, anzitutto con l’ausilio del progettista che l’assiste nella presentazione della propria istanza, con un ordinario sforzo di diligenza, richiedibile secondo il canone della buona fede al debitore già solo, e anzitutto, nel suo stesso interesse, per evitare che gli venga richiesto meno o più del dovuto. (…) La complessità delle operazioni di calcolo o l’eventuale incertezza nell’applicazione di alcune tabelle o coefficienti determinativi, dovuti a ragioni di ordine tecnico, non sono eventi estranei o ignoti alla sfera del debitore, che invece con l’ordinaria diligenza, richiesta dagli artt. 1175 e 1375 c.c., può e deve controllarne l’esattezza sin dal primo atto di loro determinazione” (Consiglio di Stato, Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 12).
Peraltro la quantificazione del contributo di costruzione, essendo, come già in precedenza rilevato, un’attività di natura paritetica e non autoritativa, impedisce che “a tali rapporti di natura meramente obbligatoria e agli atti iure gestionis, di carattere contabile e aventi finalità liquidatoria, adottati dal Comune, si applichi la disciplina dell’autotutela di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 o, più in generale, la disciplina dettata dalla stessa l. n. 241 del 1990 per gli atti provvedimentali espressivi di potestà pubblicistica. 
(…) Il carattere paritetico del rapporto, va solo qui aggiunto, non esclude la doverosità della rideterminazione quante volte la pubblica amministrazione si accorga che l’iniziale determinazione degli oneri di urbanizzazione sia dipesa da un’inesatta applicazione delle tabelle o anche da un semplice errore di calcolo. 
(…) Il Comune è pur sempre, infatti, titolare del potere-dovere di richiedere il contributo di costruzione secondo i parametri e nei limiti fissati dalla legge e dalle disposizioni regolamentari integrative fissate dalle Regioni, facendone una applicazione vincolata alla predeterminazione di coefficienti, che il privato deve conoscere e ben può verificare. 
(…) Discende da quanto detto che gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio” (Consiglio di Stato, Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 12).
Da quanto evidenziato, discende la piena legittimità della rideterminazione in aumento della somma dovuta a titolo oblazione effettuata nel pieno (e ampio) rispetto del termine di prescrizione decennale, decorrente dal momento in cui è sorta la relativa obbligazione (TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, sent. 21 ottobre 2022, n. 817).

Articolo di Mario Petrulli

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