Subentro dei componenti appartenenti al nucleo familiare nel contratto di locazione delle case popolari
Risposta del Dott. Eugenio De Carlo
Risposta di Andrea Dallatomasina
QuesitiSi chiede se sia possibile avvalersi di una dichiarazione di assenso del proprietario di un’immobile che non risiede presso tale abitazione e dichiara di concedere in uso lo stesso ad un familiare, senza contratto che funga da titolo abitativo.
Preliminarmente si ricorda l’anagrafe deve essere una fotografia dell’esistente, pertanto l’intera disciplina anagrafica è ispirata al principio della reale situazione di fatto, prescindendo da altre considerazioni che pur rilevano in altri ambiti operativi della Pubblica Amministrazione. Il principio informatore dell’anagrafe è la res facti e ad esso bisogna sempre riferirsi per risolvere ogni problema di natura anagrafica.
Deve sempre sussistere la coincidenza tra il fatto e la sua rappresentazione amministrativa.
Ricordo che la Sentenza della Cassazione n. 1738 del 14 marzo 1986 ha stabilito che “La residenza di una persona è determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, cioè dall’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali; questa stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o a svolgere altre attività fuori dal Comune di residenza, sempre che conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali”.
La Circolare del Ministero dell’Interno 14 Settembre 1991, n. 21, riporta testualmente “Infatti ai sensi del codice civile la residenza è il luogo di abituale dimora, cioè il luogo ove abitualmente si esplica la vita familiare e sociale: il concetto di residenza resta così distinto da quello di domicilio, che indica il luogo ove si svolgono gli affari e gli interessi del soggetto e dunque solitamente il luogo di lavoro. Vero è che la giurisprudenza ha distinto nell'ambito del concetto di residenza un elemento oggettivo, costituito dalla stabile permanenza in un luogo, ed un elemento soggettivo, costituito dalla volontà di rimanervi (cfr., ad esempio, Cass.5 febbraio 1985, n. 791, Cassazione Sez. II 14 marzo 1986,n. 1738 e, precedentemente, Cassazione Sez. I 21 giugno 1955 n. 1925, Cassazione Sez. I 17 ottobre 1955 n. 3226, Cassazione Sez. II 17 gennaio 1972 n. 126, ecc.), tuttavia anche l'elemento soggettivo non può restare all'interno del soggetto, non può essere una mera intenzione, bensì deve essere "rivelato dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali " (Cassazione, Sez. II, 14 marzo 1986, n. 1738),cioè deve essere reso conoscibile ai consociati attraverso la condotta del soggetto. Ne deriva che la residenza è comunque una situazione di fatto, alla quale deve tendenzialmente corrispondere una situazione di diritto contenuta nelle risultanze anagrafiche. Pertanto la mera dichiarazione resa da un soggetto all'ufficiale dell'anagrafe di non voler risultare residente in un certo comune o, viceversa, di voler risultare residente non è di per sè sufficiente a determinare la cancellazione o l'iscrizione nell'anagrafe, occorrendo che il soggetto interessato provveda ad instaurare una situazione di fatto conforme a tale dichiarazione.”
Per una corretta interpretazione dell'articolo 5 del Decreto Legge 28 marzo 2014, n. 47, che, non bisogna mai dimenticarlo, si pone in contrasto con le norme e i principi fondanti di tutto l’ordinamento giuridico anagrafico, occorre fare riferimento alla Circolare del Ministero dell'interno n. 14 del 6 agosto 2014, che precisa: "...Al fine di chiarire la portata della disposizione in argomento è utile osservare che la volontà del legislatore, così come rilevabile dagli atti parlamentari, sia stata quella di consentire il "...ripristino delle situazioni di legalità compromesse dalla sussistenza di fatti penalmente rilevanti", posto che "...l'attuale quadro normativo consente a coloro i quali abbiano occupato abusivamente un edificio di ottenervi la residenza...". La Circolare riporta anche un estratto della Relazione di accompagnamento dell'Atto Senato n. 1413, dove si esprime con chiarezza questo principio.
In conclusione, l'articolo 5 del Decreto Legge 28 marzo 2014, n. 47, non ha la finalità di scardinare il principio anagrafico in base al quale l'iscrizione deve corrispondere alla reale condizione abitativa di fatto; né con tale norma, il legislatore poteva pretendere di entrare nel merito di questioni private, di natura civilistica, attinenti i diritti e i doveri dei proprietari e dei loro inquilini.
Ma, soprattutto, la norma non dispone che ai fini del diritto/dovere all’iscrizione anagrafica sia necessario “il consenso del proprietario o del gestore dell’immobile”; né, tanto meno, dispone l'obbligo di esibire contratti di locazione o di altra natura.
L’articolo 5 del Decreto Legge 28 marzo 2014, n. 47 vieta l’iscrizione in immobili occupati abusivamente senza titolo.
Se l’occupante non è abusivo, l’assenso del proprietario o del gestore all’iscrizione anagrafica NON serve affatto e non ha alcuna rilevanza ai fini del “DIRITTO/DOVERE” all’iscrizione anagrafica; se l'occupante ha il consenso del proprietario o il gestore dell’immobile, ovviamente, non serve il possesso di alcun atto o contratto.
La finalità della norma in questione va ricercata, esclusivamente, nella necessità di ottenere il ripristino di situazioni di legalità compromesse da "FATTI PENALMENTE RILEVANTI", quali sono proprio le occupazioni violente di immobili altrui, mediante invasione dell'edificio, sfondamento delle porte, e azioni similari (situazioni che spesso sono rappresentate sui giornali e nei telegiornali locali e nazionali). Nulla a che fare con le ipotesi di ingresso con l'utilizzo della chiave consegnata dal proprietario o dall’inquilino già residente nell’immobile.
Peraltro, anche eventuali clausole contrattuali (vincoli o limitazioni all'utilizzo o all'ospitalità) valgono come impegni fra privati (come tutte le clausole contrattuali e come la stessa quantificazione del canone d'affitto), ma non rientrano nell'oggetto dell'articolo 5 del Decreto Legge 28 marzo 2014, n. 47.
Fatte le dovute premesse quello che l’ufficiale d’anagrafe deve fare in questi casi in cui non vi è la presenza di un contratto d’affitto (o comodato d’uso gratuito) intestato al richiedente in quanto familiare del proprietario è di accettare l’istanza di mutazione/iscrizione anagrafica indicando nel punto 6 del modulo di cambio di residenza la qualità di famigliare del proprietario (oppure allegando il consenso scritto e firmato del proprietario all’occupazione), inviare la comunicazione dell’avvio del procedimento prevista sia dall’articolo 7 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 che dall’articolo 13 comma 3bis del dPR 30 maggio 1989, n. 223 a coloro che possono avere un pregiudizio (ad esempio intestatario scheda, intestatario del contratto d’affitto o proprietario dell’abitazione).
Assegnare un tempo per fare osservazioni ed attendere.
Per concludere quindi l’occupazione è da ritenersi abusiva solamente quando chi occupa l’immobile ne è entrato in possesso con la violenza (tipico il caso di chi sfonda la porta di ingresso dell’abitazione) e la situazione è stata resa nota all’Autorità Giudiziaria con apposita denuncia; certamente non è un occupante abusivo chi ha ricevuto dal proprietario dell’alloggio le chiavi dell’abitazione ma non ha un contratto, chi addirittura è titolare di un contratto di utilizzo dell’immobile, chi risulta ospite del locatario, ecc.
19 Settembre 2023 Andrea Dallatomasina
Per i clienti Halley: ricorrente QD n. 2921, sintomo n. 2952
Risposta del Dott. Eugenio De Carlo
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T.a.r. per la Sicilia, sezione V - Sentenza 30 aprile 2025, n. 946
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