Obblighi dei dirigenti di aree nei confronti degli amministratori locali

Risposta al quesito del Dr. Angelo Maria Savazzi

Quesiti
di Savazzi Angelo Maria
17 Febbraio 2023

Questo Ente ha alle proprie dipendenze alcuni Dirigenti, che sono a capo ciascuno di un'Area Dipartimentale diversa, Area destinata ad un settore specifico dell’attività comunale. 

Si chiede quali obblighi siano a carico dei dirigenti nei confronti degli Amministratori locali; in modo particolare, si chiede quali azioni i Dirigenti siano obbligati ad operare nei confronti dei rispettivi Assessori di competenza e quali azioni siano invece soggette a pura discrezionalità, senza alcun obbligo specifico.

Per azioni si intende anche, ad esempio:

Le informative all'assessore di competenza devono obbligatoriamente pervenire dal dirigente oppure possono essere fornite anche da un responsabile o dipendente del settore interessato?

Quali azioni il dirigente non può autonomamente promuovere senza il rispetto delle decisioni a livello politico?

Inoltre si chiede quali siano gli eventuali procedimenti disciplinari che si possono adottare nei confronti del dirigente in caso di mancato rispetto della linea politica stabilita dall’assessore di competenza.

Nel contempo, si chiede anche quali siano invece gli obblighi degli Assessori nei confronti dei Dirigenti dei settori di propria competenza.

 

Risposta

Nelle amministrazioni pubbliche, in materia di organizzazione del lavoro pubblico e, in generale di disciplina del rapporto di lavoro insiste il principio della separazione o meglio della distinzione dei compiti spettanti agli organi di vertice politico-amministrativi e quelli spettanti ai dirigenti in quanto espressione del potere datoriale. Questa distinzione che ha anche un fondamento costituzionale trova nel DLgs. 165/2001 il riferimento normativo fondamentale, unitamente al Testo unico sull’ordinamento degli enti locali (DLgs. 267/2000, da qui in avanti TUEL) e le altre disposizioni di legge in materia di organizzazione e lavoro nelle pubbliche amministrazioni; tra i due testi normativi esiste una forte integrazione, grazie al rinvio mobile di quest’ultimo alle disposizioni del DLgs. 29/1993 e successive modificazioni ed integrazioni (oggi il Testo Unico sul Pubblico Impiego, DLgs. 165/2001). Questo rinvio mobile risolve, in via generale, le molte problematiche che si presentano nell’ipotesi di contrasto tra le disposizioni contenute nei due testi normativi.

Tra l’organizzazione e i rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche vi è un forte rapporto di complementarietà in quanto con pubblico impiego si definisce quel rapporto professionale, stabile, continuativo e retribuito che si instaura con le pubbliche amministrazioni e che è funzionale al perseguimento dei fini istituzionali. Le vicende che riguardano i rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e l’effettiva possibilità di queste ultime di perseguire i fini istituzionali trovano nell’assetto organizzativo l’elemento imprescindibile di collegamento.

Ed è proprio nell’assetto organizzativo, in senso lato, che si sviluppano le competenze degli organi di vertice politico-amministrativi, e propriamente in quella porzione dell’assetto organizzativo che viene chiamata “macro-organizzazione”, e le competenze di quei dipendenti pubblici cui sono assegnate le funzioni dirigenziali e che in virtù di ciò adottano atti cosiddetti di “micro-organizzazione”, con i poteri dei privati datori di lavoro, che concernono il migliore utilizzo delle risorse (finanziarie, professionali e strumentali) a disposizione per lo svolgimento dei compiti istituzionalmente affidatigli e degli obiettivi connessi agli incarichi.

I tipici atti di macro-organizzazione sono rinvenibili, secondo l’art. 2, comma 1, del DLgs. 165/2001, nelle linee fondamentali di organizzazione degli uffici, nell’individuazione degli uffici di maggiore rilevanza e nei modi di conferimento della titolarità dei medesimi e nella determinazione delle dotazioni organiche complessive. Rientrano in tali tipologie di atti tutti quelli che sono funzionali e propedeutici all’acquisizione di nuove figure professionali.

Gli atti di micro-organizzazione sono incorporati in determinazioni proprie dei dirigenti pubblici adottate nell’esercizio della capacità di diritto privato del datore di lavoro e si ricavano da due disposizioni del DLgs. 165/2001, in particolare gli artt. 2, comma 3, e 5, comma 2; in quest’ultima disposizione viene precisato che le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, nel rispetto del principio di pari opportunità, e in particolare la direzione e l'organizzazione del lavoro nell'ambito degli uffici, sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro,  fatte salve la sola informazione ai sindacati ovvero le ulteriori forme di partecipazione, ove previsti nei contratti collettivi nazionali. Ciò deve avvenire nell’ambito delle disposizioni di legge e degli atti di macro-organizzazione adottati dagli organi di vertice politico-amministrativo. L’esclusività dell’attribuzione delle determinazione agli organi preposti alla gestione non ammette interferenze e ribadisce quella linea di demarcazione che costituisce un elemento di fondamentale rilevanza nel rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; l’unica interferenza possibile, comunque affidata agli organi di controllo interno, è la verifica della rispondenza delle determinazioni agli atti di macro-organizzazione, anche al fine di proporre l'adozione di eventuali interventi correttivi e di fornire elementi per l'adozione delle misure previste nei confronti dei responsabili della gestione.

Il mancato esercizio delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo che si realizza con l’inerzia degli organi di governo e, per esempio, con la mancata adozione di norme statutarie e regolamentali in ordine alle linee fondamentali di organizzazione degli uffici, qualora determini vuoti di potere gestorio-amministrativo, non vale a giustificare e legittimare l’interferenza di organi politici nell’ambito delle competenze proprie della dirigenza amministrativa; in sostanza se l’ordinamento interno non consente di individuare quale dirigente sia responsabile dell’adozione di un determinato atto che in virtù del principio di separazione spetterebbe ai dirigenti, ciò non consente all’organo di governo di assumere i provvedimenti in assenza di un  dirigente competente. Infatti, secondo l’autorevole e consolidato orientamento della Cassazione, il principio di separazione è inderogabile qualsiasi sia la ragione della deroga (Cass. Sent. 31091/2018, Sent. 20916/2019).

Compiti dei dirigenti

Il DLgs. 165/2001 individua all’art. 4, comma 2, i compiti dei dirigenti tra i quali rientrano “l’adozione degli atti e procedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo” con la conseguente imputazione della responsabilità dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati. Come si vede rientrano nel perimetro direzionale tutti gli atti di gestione e tutti compiti di organizzazione delle risorse umane e di controllo/valutazione.

Lo stesso citato art. 4 precisa che eventuali deroghe alle predette attribuzioni possono essere definite solo con disposizioni legislative e, inoltre, gli ordinamenti interni delle singole amministrazioni devono adeguarsi al principio della separazione.

L’art. 17 del DLgs. 165/2001 restituisce l’ampiezza dei contenuti gestionali con riguardo alle funzioni assegnate ai dirigenti con importanti riflessi sulla gestione dei rapporti di lavoro, laddove i dirigenti, nell’ambito dei compiti di direzione e di organizzazione, sono chiamati a:

  1. curare l’attuazione dei progetti adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate;
  2. dirigere, coordinare e controllare l'attività degli uffici e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia;
  3. concorrere all'individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono preposti anche al fine dell'elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale;
  4. gestire il personale e le risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici;
  5. valutare il personale assegnato ai propri uffici, nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica e tra le aree, nonché della corresponsione di indennità e premi incentivanti.

Si tratta di funzioni che permeano la genesi e la gestione dei rapporti di lavoro; i dirigenti, infatti, da un lato devono essere in grado di delineare i profili professionali necessari per sviluppare i compiti istituzionali connessi ai processi presidiati e per perseguire gli obiettivi affidatigli (e, nel contempo, individuare ed evidenziare eventuali eccedenze di personale), e dall’altro devono essere in grado di dirigere, coordinare, controllare e valutare il personale assegnato, utilizzando le leve associate a ciascuno di questi segmenti del potere datoriale.

Il richiamato art. 107 del TUEL definisce la linea di demarcazione tra compiti degli organi di governo e funzioni dei dirigenti laddove stabilisce che “Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti” e impone a questi ultimi di conformarsi al “principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita a dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”. Ai dirigenti, sempre secondo lo stesso art. 107, spettano “tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale”.

La responsabilità dirigenziale

La responsabilità dirigenziale è una figura autonoma di responsabilità che lascia intatte le altre forme di responsabilità che possono interessare i dirigenti in quanto dipendenti pubblici. È disciplinata dall’art. 21 del DLgs. 165/2001 il quale, appunto, mantiene ferma “l’eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo”.

Si tratta di ipotesi di responsabilità professionale, legata alla particolare natura degli incarichi dirigenziali e alla componente manageriale di tali incarichi, che consente alle amministrazioni di rimuovere un dirigente dimostratosi inidoneo all’incarico e che si sviluppa in relazione a due distinte ipotesi.

La prima ipotesi di responsabilità dirigenziale è connessa al mancato raggiungimento degli obiettivi rilevato attraverso il sistema di misurazione e valutazione della performance che l’amministrazione deve avere adottato in base all’art. 7 del DLgs. 150/2009; in assenza di ulteriori specificazioni si deve ritenere che gli obiettivi di riferimento siano quelli individuali, previsti dall’art. 9, comma 1, lettera b) del citato decreto e quelli connessi agli indicatori relativi all’unità organizzativa della quale il dirigente ha la responsabilità, previsti dalla lettera a) del medesimo comma.

La seconda ipotesi riguarda l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente.

Il verificarsi di dette ipotesi comporta, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel DLgs. 165/2001 e nei contratti collettivi, l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. Ciò significa che al dirigente che rimane nei ruoli dell’amministrazione deve essere assegnato un altro incarico di natura dirigenziale (un’altra unità organizzativa, per esempio).

In relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può, inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.

Una ulteriore ipotesi di responsabilità dirigenziale, che prevede una diversa sanzione, è prevista dal comma 1-bis dell’art. 21 del DLgs. 165/2001, secondo il quale al dirigente nei confronti del quale sia stata accertata, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, secondo le procedure previste dalla legge e dai contratti collettivi nazionali, la colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione, la retribuzione di risultato è decurtata, sentito il Comitato dei garanti, in relazione alla gravità della violazione, di una quota fino all'ottanta per cento. Si tratta di un effetto diretto sulla retribuzione di risultato che è indipendente dall’esito della valutazione della performance individuale cui detta retribuzione è collegata; quindi la sanzione della riduzione si applica sull’importo della retribuzione di risultato spettante all’esito di tale valutazione.

In tutte e tre le ipotesi sopra descritte è necessario procedere all’attivazione di un contenzioso che implica una precisa contestazione degli addebiti, quindi il contraddittorio, cioè la possibilità del dirigente di esporre le proprie ragioni entro un termine ragionevole. La concreta applicazione della norma richiede disposizioni di dettaglio nell’ambito del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi che devono indicare le modalità di costituzione del comitato dei garanti cui è affidato, in base all’art. 22 del DLgs. 165/2001, il compito di esprimere un parere prima dell’adozione dei provvedimenti sanzionatori. Lo stesso regolamento deve, poi, definire il corretto perimetro di operatività anche rispetto alle altre forme di responsabilità e, in particolare, quella disciplinare prevista per insufficiente rendimento dall’art. 55-quater del medesimo decreto.

Infatti, le amministrazioni hanno il dovere di adeguare i propri ordinamenti, per effetto dell’art. 27 del DLgs. 165/2001 secondo il quale le amministrazioni adeguano i propri ordinamenti tenendo conto delle relative peculiarità per cui è da escludere, come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione (per tutti, Sent. n. 32258/2019), la possibilità di non prevedere, per esempio, il comitato dei garanti quale organo preposto ad esprimere il parere (non vincolante) prima del provvedimento definitivo (seppure entro il termine perentorio di 45 giorni dalla richiesta, decorsi i quali si prescinde dal parere).

La Cassazione ha avuto modo di soffermarsi sulla natura della responsabilità dirigenziale e dei caratteri distintivi rispetto alla responsabilità disciplinare, per ultimo con la sentenza n. 32258/2019. In particolare, con riferimento al criterio discretivo fra le due diverse forme di responsabilità è stato evidenziato (in tale senso anche Cass. Sent. nn. 1753, 14773, 24905 del 2017 e n. 11161/2018) che, mentre la responsabilità disciplinare presuppone il colpevole inadempimento di obblighi che gravano sul prestatore, rilevante in sé, a prescindere dall'incidenza sui risultati dell'attività amministrativa e della gestione, la responsabilità dirigenziale è sempre strettamente correlata al raggiungimento degli obiettivi e persegue la finalità di consentire la rimozione tempestiva del dirigente rivelatosi inidoneo alla funzione, in modo da garantire l'attuazione del principio di efficienza e di buon andamento degli uffici pubblici.

Anche nel caso di "inosservanza delle direttive imputabili al dirigente", ossia di comportamento che potrebbe essere astrattamente ricondotto all'una o all'altra forma di responsabilità, il discrimine va ravvisato nel collegamento con la verifica complessiva dei risultati, sicché l'addebito assumerà valenza solo disciplinare nella ipotesi in cui l'amministrazione ritenga che la violazione in sé dell'ordine e della direttiva, in quanto inadempimento contrattuale, debba essere sanzionata; dovrà, invece, essere ricondotta alla responsabilità dirigenziale qualora la violazione medesima abbia inciso negativamente sulle prestazioni richieste al dirigente ed alla struttura dallo stesso diretta. La Cassazione ha, inoltre, precisato, che la responsabilità dirigenziale non si potrà ritenere sussistente per il solo fatto che sia stata contestata la violazione di direttive, perché ciò equivarrebbe all'espungere in via definitiva dall'ambito della responsabilità disciplinare del dirigente l'inadempimento consistito nell'omessa ottemperanza agli ordini impartiti dal datore di lavoro.

La commistione fra le due forme di responsabilità sarà, quindi, ipotizzabile solo qualora la contestazione presenti aspetti che la rendano contemporaneamente sussumibile nell'una e nell'altra forma di responsabilità, il che si verifica nell'ipotesi in cui il procedimento venga avviato con riferimento ad una pluralità di addebiti, di cui alcuni riconducibili alla responsabilità disciplinare altri a quella dirigenziale.

Dagli orientamenti della suprema Corte emerge che la responsabilità dirigenziale per "violazione di direttive", proprio perché presuppone uno stretto collegamento con il raggiungimento dei risultati programmati, deve riferirsi a quelle direttive che siano strumentali al perseguimento dell'obiettivo assegnato al dirigente perché solo in tal caso la loro violazione può incidere negativamente sul risultato, in via anticipata rispetto alla verifica finale. Ed infatti non si può confondere il rispetto delle direttive con il corretto adempimento degli altri obblighi che discendono dal rapporto di lavoro con il dirigente (diligenza, perizia, lealtà, correttezza e buona fede tanto nel proprio diretto agire quanto nell'esercizio dei poteri di direzione e vigilanza sul personale sottoposto): la loro violazione, in sé e per sé considerata, mentre può essere ritenuta idonea a ledere il vincolo fiduciario che deve legare il dirigente all'amministrazione, non rileva ai fini della responsabilità dirigenziale, nella quale ciò che conta è il mancato raggiungimento del risultato.

Nel rapporto dirigenziale, quindi, il potere di recesso del datore di lavoro pubblico è condizionato all'emissione del parere obbligatorio del Comitato dei garanti, solo nell’ipotesi che si sia in presenza di addebiti riconducibili alla responsabilità dirigenziale.

Risposte ai quesiti

  1. i dirigenti sono tenuti ad attuare gli atti di indirizzo e le direttive dell’organo di vertice politico che non devono essere tali da interferire con il potere gestorio che è di scplu8vica competenza dei dirigenti;
  2. nell’ambito della leale cooperazione i dirigenti devono informare l’organo politico di vertice delle eventuali problematiche che impediscono o rallentano l’attuazione degli atti di indirizzo e delle direttive nonché degli atti programmatori.  In questo contesto devono fornire ogni utile indicazione sulle possibili alternative perseguibili ed essere parte attiva nella formulazione delle proposte di atti deliberativi.
  3. Sulle attività gestionali non sono ammesse interferenze da parte dell’organo politico di vertice.
  4. I dirigenti rappresentano i riferimenti fondamentali dell’organo politico di vertice per cui è opportuni che le informative siano veicolate dal dirigente, fermo restando la possibilità di interlocuzioni dirette con un dipendente che devono comunque essere condivise dal dirigente.
  5. Per i dirigenti è prevista una specifica ipotesi di responsabilità professionale, la responsabilità dirigenziale disciplinata dall’art. 21 del DLgs. 165/2001, il cui contenuto è stato esposto in precedenza.

dott. Angelo Maria Savazzi    16 febbraio 2023


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